Welfare alla libanese

Una donna di El Mina, baraccopoli a Tripoli (104 mila abitanti), ha speso 25 mila lire libanesi (17 dollari circa) per far nascere suo figlio, una cifra ragionevole per una famiglia che vive di pesca. Ma ha la fortuna di essere stata ricoverata in un ospedale pubblico, ora chiuso per ristrutturazione. Le sue amiche hanno più problemi. Per avere lo stesso trattamento devono raggiungere un ospedale più lontano.

Da Beirut Alessandra Fava

26 febbraio 2014 – Il problema di El Mina è lo stesso di tutto il paese: non esiste un sistema vero di welfare e la sanità libanese negli ultimi decenni ha preso un imprinting neoliberista, per cui chi ha un’assicurazione privata se la cava, mentre il resto della popolazione si accontenta di un’assistenza ”secondaria”, sostanzialmente presso ambulatori legati a comunità dei vari credi religiosi, sciiti, sunniti, cristiani, greco-ortodossi e così via. Con l’arrivo di almeno un milione di profughi siriani (che si stanno aggiungendo ai 4 milioni di libanesi e 400 mila palestinesi) quella sanitaria sta diventando un’emergenza e associazioni, medici e ong sottolineano come si tratta di un settore chiave che come  educazione, abitazione e sicurezza sociale, ha bisogno di una regia statale di qualche tipo.

Beirut-Lebanon1

”Qui la salute è diventata una merce, da mettere sul mercato alla pari di un’auto o una lattina di bibita – dice Rouham Yamouot, docente della prestigiosa American University di Beirut e coordinatrice di progetti di ricerca sulla sanità in Libano e nei paesi arabi –  Di fatto questo approccio non viene contestato da medici, né da infermieri, né da nessun partito (incluso quello comunista) e da parte della gente c’è solo una risposta ”emotiva”, legata ai decessi di qualche congiunto al pronto soccorso”.
Sì, perchè se uno arriva al pronto soccorso e ha bisogno di cure immediate e non ha l’assicurazione, non viene né medicato né curato e se ha qualche malattia grave o necessita operazioni immediate per sopravvivere, muore. Interessante sapere che fino al 1975 la sanità era quasi totalmente pubblica e i malati venivano inviati in ospedali privati solo per cure particolari a spese dello stato, ma la copertura di queste cure in ospedali privati rappresentava solo il 10 per cento del budget sanitario totale. Durante la guerra civile (1975-1990) questa percentuale di copertura è salita a 80 per cento perchè i militari preferivano farsi curare in ospedali privati.

Il fenomeno poi è diventato prassi con l’aggrante che chi non è dipendente pubblico deve avere abbastanza soldi per pagare un’assicurazione sulla malattia. Così succede che in Libano ha un’assicurazione privata solo il 5 per cento della popolazione, il 45 per cento è coperto da un’assicurazione sovvenzionata dallo stato (rientrano in questa fascia i dipendenti pubblici, amministrativi, la polizia e l’esercito) e metà della popolazione non ha un bel niente (quindi almeno due milioni di persone non sono coperte). E questo succede nonostante lo stato spenda per la sanità il 6,5 per cento del Pil secondo Global Health Observatory, pari a 400 milioni di dollari nel 2006. Una quota ben più lata secondo il ministero della sanità che dice che, dal 1998 al 2001, la sanità assorbiva oltre il 12 per cento del Pil.

”La gente si avvale così delle consulenze di medici – in molti casi volontari – che prestano servizio presso ambulatori e ospedali delle varie comunità religiose  – spiega ancora Rouham – Dopo la guerra civile lo stato ha preso l’impegno di allargare il servizio pubblico e ora collabora con 200 centri, ma di fatto questi continuano a funzionare grazie alle associazioni religiose e lo stato fornisce solo qualche attrezzatura o le medicine. Questo da un lato assicura almeno le cura di base – continua la studiosa – dall’altro innesca un meccanismo infernale perchè nessuno si ribella chiedendo una sanità migliore”.
Il risultato così è che gli ospedali pubblici sono in grado di accogliere solo il 10 per cento dei pazienti che necessitano ricoveri e proliferano gli ospedali privati: a Beirut ce ne sono 11 privati e gli unici 2 pubblici (tra cui l’Hariri fino a qualche anno fa un’eccellenza) sono ora in convenzione e danno servizi peggiori di prima. Nella Bekaa ce ne sono 23 privati e 4 pubblici, nel Sud del Libano 17 privati e 2 pubblici, Mont Liban ne ha 56 privati e via dicendo. Eppure gli oltre 11mila letti ”privati”, sparpagliati con una ratio non molto chiara, spesso frutto di appoggi politici più che necessità del territorio, hanno un’utilizzo medio del 55 per cento.
”L’aspetto surreale di tutta la questione è che lo stato finanzia di fatto una buona fetta della sanità privata (una fonte riferisce il 65 per cento ndr.) – dice ancora la docente dell’AUB – Ma il medico di base in Libano non esiste o è delegato ai centri comunitari con l’aggravante che le malattie non curate subito degenerano”.

Morale, solo i malati gravi di Aids, sclerosi multipla e simili hanno una copertura totale dei costi delle cure, gli altri poco e niente.
Questa ”sanità a due velocità” come la chiama Vincent Gessier, politogo ed esperto di paesi arabi, oggi all’Istituto francese del Medio Oriente di Beirut dove di recente ha organizzato un seminario sulla sanità in Libano, si presta anche a giri di denaro non sempre chiari. Il meccanismo me lo spiega Ziad Abdel Samad, direttore di una ong, ”Network for Development Lebanon”, a un passo da Cola, la piazza dove partono i bus per il sud del Libano, sul limitare dei quartieri meridionali di Beirut abitati in maggioranza dagli sciiti. L’ong è un think thank che cerca di spiegare a ministeri e governi libanesi ma anche di altri paesi arabi, che l’equità favorisce sviluppo ed è un elemento di costruzione di uguglianza e di pace: ”in pratica in Libano non esiste un servizio di pronto soccorso – spiega Ziad – Negli ospedali, a seconda di quanto paghi, finisci in prima classe (un letto per stanza), seconda classe (due letti per stanza) e terza classe (tre letti) e il servizio è decrescente crescendo il numero dei malati. Lo stato in pratica paga una parte delle cure dando i soldi direttamente agli ospedali, non certo ai malati. Così che cosa succede? Gli ospedali gonfiano le spese, chessò, moltiplicano per quattro. Poi risulta che quasi tutte le operazioni hanno avuto delle complicazioni e quindi costi più alti. Lo stato conosce la trappola e quindi ormai rende solo una parte, sapendo che i dati sono falsificati”.

Così la sanità, specie quella legata alle cure alla donna e a bambini sotto i 3 anni, resta ancora una chimera per troppi. Nei villaggi e nelle bidonville si ricorre a rimedi antichi ed erbe per curarsi. E oggi associazioni e studiosi caldeggiano un’Obamacare libanese, con almeno l’estensione dell’assicurazione sanitari a tutti i cittadini libanesi e agli immigrati in regola.

Per approfondire:

http://gis.emro.who.int/HealthSystemObservatory/PDF/Lebanon/Health%20system%20organization.pdf

http://www.irinnews.org/report/77000/lebanon-patients-suffer-privatised-politicised-healthcare

Prospettive in un documento della Facoltà di economia e gestione economica dell’Università Saint Joseph di Beirut
http://www.fgm.usj.edu.lb/files/a62007.pdf



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