I nodi gordiani del Libano

Intervista a Mario Abou Zeid, analista di Carnegie Middle East Strategic Studies di Beirut

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di Alessandra Fava, da Beirut

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13 marzo 2014 – Il Libano dei prossimi mesi è legato a due nodi gordiani: le scelte di Hezbollah e la situazione siriana. La pensa così un analista di Carnegie Middle East Strategic Studies a Beirut. Mario Abou Zeid segue il Medio Oriente e il Nord Africa per il think tank che si avvale di decine di consulenti e analisti e ha nel consiglio d’amministrazione un diplomatico saudita (il principe Turki Al Faisal), figure preminenti della Banca del Barein e del Kuwait. Insomma un board decisamente legato ai Paesi del Golfo. La sede è nel cuore di Beirut, a un passo di piazza dei Martiri, in un palazzo sorvegliato dall’esercito.

Dall’uccisione di Hariri nel 2005 un terzo del tempo è passato per il Libano senza un governo. Che cosa dovrebbero fare i politici per rafforzare lo Stato?

C’è molta speranza in questo governo. Ma bisogna dire che secondo la Costituzione è comunque un governo ad interim perché le elezioni presidenziali sono fissate tra tre mesi. In effetti il governo deve preparare le elezioni presidenziali. Più che altro, bisogna considerare con chiarezza il coinvolgimento di Hezbollah nella crisi siriana e la sua partecipazione militare. Ci sono due grandi retoriche nella politica libanese: metà della gente è a favore dell’intervento in Siria e metà contro. Questo ha portato a un blocco totale, non solo nelle istituzioni, nel governo. Quindi anche se grazie a qualche compromesso si è arrivati ad avere un governo, superando lo stallo degli ultimi mesi, i problemi tornano al pettine con il Comitato governativo deputato a varare una carta politica. Al decimo incontro non hanno ancora trovato una formula (e si rischia che cada nei prossimi giorni ndr).

Quindi una delle sfide è il documento politico. Hezbollah e 8 Marzo vogliono che siano mantenuti le tre parole (esercito, popolo e resistenza) mentre l’alleanza 14 marzo chiede che si metta per iscritto che il Libano non farà nessun intervento militare fuori del suo territorio. Questo servirebbe anche a disarmare l’esercito di Hezbollah…

Il Comitato deve scrivere l’agenda politica, ma non trova un accordo.

Qualche giorno fa sembrava che fosse stato trovato un accordo scrivendo che il Libano avrebbe reagito in caso di una nuova invasione israeliana. Ma nelle ultime ore le cose sembrano più confuse. Non è così?

Cercano di creare una formula per legittimare la resistenza perché dopo l’accordo che mise fine alla guerra civile, resistenza era una parola menzionata in tutti i governi. Ma la possibilità per Hezbollah di avere armi e armi pesanti sta in quella parola, quindi Hezbollah non permetterà a nessun governo di rimuovere la parola dalla carta politica.

Anche l’esercito è un elemento chiave per Hezbollah?

Certo. Creare la connessione anche con l’esercito è l’obiettivo principale. Non vogliono scontri con l’esercito. Hezbollah in sostanza dice: siccome l’esercito è debole e poco equipaggiato, siamo i soli che possiamo difendere il Paese. Siamo i soli in grado di combattere Israele. Ma oggi sono in Siria, non per difendere il proprio Paese, ma per i loro interessi. Sappiamo che le linee di rifornimento militare di Hezbollah oggi sono in Siria. Quindi sono tra i protagonisti del conflitto siriano e gran parte dell’opinione pubblica libanese è conscia che Hezbollah non è là per difendere il Libano. Uno degli episodi chiave è l’attacco aereo di Israele a un convoglio di Hezbollah di giorni fa.

Israele sa che sono nel governo, non possono attaccare e dovrebbero cercare una soluzione diplomatica piuttosto.

Hezbollah vuole ricomporre anche la sua immagine pubblica. Dimostrare: la resistenza siamo noi. Quindi io credo che questo incidente non sia stata una sorpresa, ma è un modo per far pressioni sull’opinione pubblica circa la necessità di inserire la parola resistenza nella carta. Nella dichiarazione di Baaba e The National Dialog Session si discute della strategia di difesa del Libano futuro in cui dovrebbe essere lo Stato a decidere quando intervenire o meno. Ma non è negli interessi di Hezbollah. Per ora sono loro che decidono se il Libano va in guerra o no. È l’unico gruppo che può reagire a un eventuale attacco israeliano. Così il dialogo nazionale è congelato. Nella dichiarazione di Baaba si parla di un Libano che si occupa degli affari interni ed è neutrale su altri conflitti. Per questo Hezbollah non vuole nessun riferimento alla Baaba Declaration nonostante a suo tempo l’abbiano firmata.

Come pensa che andrà a finire?

Non sono molto ottimista. Se Hezbollah pensa che qualche suo interesse possa essere toccato o sia messa in discussione la legittimità di avere delle armi, bloccheranno i lavori del governo. Lo abbiamo già visto quando doveva aprirsi il processo contro quattro esponenti di punta di Hezbollah, si sono dimessi in massa e hanno fatto cadere il governo. Certo qualcuno spera che Hezbollah faccia confluire uomini e armi nell’esercito nazionale, ma non è nell’interesse di Hezbollah. E poi nello scorso governo al tavolo del dialogo nazionale sedeva anche Nasrallah. C’erano tutti i leader dei partiti e non hanno trovato una soluzione e ora come fanno in poche settimane? Ho proprio dei dubbi.

Lei pensa che si terranno le elezioni a maggio come previsto?

È prematuro dirlo. Molto dipende da come si sviluppa lo scenario della regione. E poi prendiamo il portafoglio della sicurezza interna che è nelle mani dell’alleanza 14 marzo, specie i sunniti moderati e il movimento Futuro. Anche questa è una manovra tattica di Hezbollah così se continuano gli attacchi degli takfiri contro gli sciiti o a Tripoli o al confine con la Siria, possono sempre cogliere l’occasione per andare allo scontro proprio come è successo nel 2007 quando il governo decise di smantellare il network di telecomunicazioni di Hezbollah nel Paese e ci furono gli scontri fra sunniti e sciiti. Se per caso le cose vanno bene, allora ci saranno i sunniti moderati contro gli estremisti. Comunque il punto nodale resta il programma politico del governo. Altrimenti il governo collassa. Per non parlare del fatto che lo scopo finale, approvato il documento in parlamento, è varare una nuova legge elettorale.

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