Regione sull’orlo di una crisi di nervi

I veneti e il Veneto ai tempi dell’indipendentismo

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/08/IMG_4409.jpg[/author_image] [author_info]di Samuel Bregolin. Diplomato come perito agrario, ha seguito letteratura contemporanea a Bologna. Si occupa di agricoltura biologica, reportage, poesia, giornalismo e viaggio. Ha viaggiato in Francia, Italia, Inghilterra, Spagna, Ex-Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Turchia, Tunisia e Marocco. Ama raccogliere e raccontare storie dal basso e dalla strada. Ha collaborato con Il Reporter, Colonnarotta, Lindro e Turisti non a Caso. Collabora con Viaggiare i Balcani, OggiViaggi, Il circolo del Manifesto di Bologna, Articolo3, Il Reportage, Qcode Mag. [/author_info] [/author]

14 aprile 2014 – Nelle ultime settimane si è tornati a parlare di indipendentismo veneto: causa scatenante è stato il referendum organizzato dall’imprenditore veneto Gianluca Busato che avrebbe superato i due milioni di voti favorevoli, in virtù del quale lo stesso Busato aggiunge: «Decretiamo decaduta la sovranità italiana: da oggi gli imprenditori veneti sono legittimati a non pagare le tazze».
Si associa la notizia di un caterpillar blindato armato di cannoncino, rinominato “Tanko”, ritrovato dai Ros di Brescia che un gruppo di estremisti intendeva utilizzare per alcune azioni militari a San Marco.

Sarebbe bastato un semplice caterpillar per fare paura allo Stato? È il primo quesito di una storia che sembrerebbe scritta per diventare la sceneggiatura perfetta di un film di Mario Monicelli.

Il gruppo di serenissimi, registrati dai microfoni dei carabinieri al ristorante “El Graner” parlano di luoghi sicuri dove nascondere il Tanko, di recupero di mezzi economici, di come l’indipendentismo veneto alla fin fine ritorni sempre al carro armato artigianale, costruito in garage con pezzi improvvisati e si ricorda con passione e nostalgia l’impresa dei Serenissimi nel 1997, quando riuscirono ad occupare il campanile di San Marco.
I Serenissimi parlano di Kossovo e ambasciate a Belgrado, d’indipendentismo vietato dalla costituzione italiana e che perciò va preso con la forza, per dare una patria al popolo veneto. Avrà il Veneto delle reali affinità con la situazione kossovara? Un’altra domanda che esigerebbe maggiori delucidazioni.

 

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I 24 esponenti di “L’allenza” così come è stato denominato il movimento che riunisce i Serenissimi, Brescia Patria, Veneto Stato e il movimento indipendentista sardo Disubbidientza sono stati ritrovati in possesso di armi da fuoco probabilmente acquistate dalla mafia albanese. Ora agli arresti nel carcere di Vicenza rischiano pesanti condanne per terrorismo ed eversione contro lo Stato.

Vanno quindi considerati dei pericolosi terroristi o dei semplici burloni carnevaleschi? Qui sarà la giustizia a decidere su che valore dare alle armi dell’Alleanza.

Gli organizzatori del referendum e alcuni sindaci del Veneto hanno immediatamente chiamato alla manifestazione in Piazza San Marco, per protestare contro gli arresti davanti al campanile della Repubblica di Venezia. Ma in quelle sere, davanti a decine di turisti che fotografano la basilica, si vedono solo alcuni celerini in assetto anti sommossa. Eseguono l’ordine di stazionare in caso di tafferugli o grandi assembramenti, che però sembrano essere inesistenti.

La maggior parte degli agenti chiacchiera, uno si toglie il casco ed estrae l’I-phone, qualcuno aiuta un gruppo di giapponesi a rintracciare il giusto traghetto per Rialto: non sembra essere una situazione particolarmente pericolosa in quella che dovrebbe essere la piazza calda della Regione sul filo della separazione violenta dallo Stato.

Lungo i tavolini dei bar della Serenissima i veneziani discutono dei disagi che causerà lo sciopero dei vaporetti nel fine settimana, alla fermata dell’Actv ci si divide tra sostenitori e oppositori delle grandi navi nel bacino di San Marco: la bella stagione e con essa le navi da crociera sta per riaprirsi.
D’indipendenza non parla praticamente nessuno e anche a cercar di tirar fuori l’argomento, nessuno sembra aver voglia di parlarne. Dove sono finiti allora i più di due milioni di veneti che a gran voce avrebbero votato per staccarsi dal resto della penisola?

 

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Ci spostiamo vicino ad Agna, paese d’origine e residenza di Luigi Faccia, 60enne considerato la testa pensante dei Serenissimi che stavano tentando l’impresa con il loro tanko artigianale, colui che più di tutti perseguiva e manteneva i legami con le ambasciate di Belgrado. Colui che inseguiva il sogno di fare del Veneto un nuovo Kosovo, unendosi ad altri movimenti indipendentistici europei.
Siamo nel più importante centro di tiro al piattello della provincia, a pochissimi chilometri dalla residenza di Faccia, qui vengono atleti da tutta la regione. Dalla precisione del tiro questi appassionati dello schioppo protrebbero diventare utilissimi battaglioni di cecchini in caso di secessione violenta: eppure neanche qui nessuno parla di indipendenza. Al bancone del bar si consumano litri di caffé corretto grappa, vera e propria bevanda nazionale veneta.
I discorsi sono quelli che in regione si ha l’abitudine di sentire da decenni: «A vedere gli extracomunitari tratai meio de noialtri voevo ‘ndare en Libia, fare el passaporto libico e ritornare qua», «Mi invese gò na badante rumena chea chapa de più de mi tra contributi e pensionamenti, ea ghà anca due giorni liberi alla settimana te pensito?», «No ghé se più opportunità oramai, ea se na civiltà che muore, bisognaria trovare nuove soluzioni però come feto, co tutti i debiti chea ghà ea gente».

Debiti, forse è la parola giusta, quella che più di ogni altra potrebbe definire la regione in questo momento: i debiti nei confronti delle banche e degli istituti di credito, sono quei mutui colossali a tasso variabile che tanto a cuor leggero e con ipoteca sulla prima casa centinaia di veneti hanno aperto fino a dieci anni fa, le cui rate non pagate gravano ora pesantemente sul bilancio domestico e le cartelle Equitalia si riempiono di casi irrisolti.

Dove sono quindi questi veneti indipendentisti che a milioni si sono riversati sui personal computer per votare si al referendum?
Valerio ha 56 anni, attraversa in macchina la zona industriale del conselvano, quella che fino a pochi anni fa rappresentava il fiore all’occhiello di questa zona, indica i capannoni uno dopo l’altro: «Questo è chiuso, questo anche, questo verde è fallito, qui non vedo il portone aperto da settimane, guarda il mucchio di posta che esce dalla cassetta, a quest’ultimo in fondo alla via sta addirittura crescendo l’erba sul marciapiede». Valerio era uno dei tanti imprenditori a conto terzi della zona industriale del conselvano, uno dei tanti che ha seguito il modello veneto dell’industria artigianale, ha aperto un piccolo mutuo e ha lanciato la sua avventura negli assemblaggi meccanici.
«Negli anni d’oro avevamo anche 5 o 6 dipendenti, tutto sembrava andare bene. Poi il lavoro è andato via via diminuendo, qualche mese fa ho dovuto chiudere e dichiarare fallimento: non lavoravo da più di un anno e non potevo più permettermi neppure l’affitto». Mentre dice questo la macchina singhiozza e rallenta, Valerio parcheggia a bordo strada: è finita la benzina e i soldi per un nuovo pieno non ci sono.
Tra le imprecazioni Valerio scende, abbandona la macchina vicino al fosso, tornerà a prenderla quando sarà riuscito a farsi prestare qualche soldo, ma prima deve pensare a fare la spesa, alle bollette di gas ed energia elettrica scadute da mesi e al minimo indispensabile per la sua famiglia.

Il Veneto ha finito la benzina, ha finito i fondi, le riserve, sta raschiando con le unghie il fondo di una crisi economica nella quale si è lanciato vertiginosamente da solo, quasi a voler abbracciare un destino nefasto. Il mito del tessuto industriale a gestione familiare crolla come un castello di carte e ne resta solo la disorientata confusione, l’incapacità di far capire fuori regione i propri problemi, l’angosciosa vergogna di dover ammettere che i difetti italici si ritrovano dal primo all’ultimo anche qui in Veneto.

Perché non parlare della crisi economica in cui molte famiglie versano oggi in regione, incapaci di sostenere il costoso sistema di servizi sviluppato negli ultimi decenni?
Nella piccola frazione di San Siro, vicinissima alla Agna di Luigi Faccia, è prevista una serata in piazza con balli tradizionali veneti. Dai tavolini dei bar la popolazione del posto si avvicina e forma un semicerchio attorno ai ballerini. Qui parlano tutti rigorosamente Veneto, già un accento di Treviso o Verona è riconosciuto come straniero, l’Adige come fiume in cui riconoscere la propria identità fatta di campagna e zone artigianali industriali, di stagione per la potatura dell’uva e di campionari dei prodotti, di trattori John Deere e suv Bmw.

Passa mezz’ora o poco più, poi le musiche tradizionali venete finisco allora qualcuno collega l’I-phone alle casse e parte l’inconfondibile tarantella degli Officina Zoe. Tutti ballano, applaudono, imitano il ballo. L’unica sostanziale differenza nel clima di questa piazza da quello di molte del sud Italia è che qui si bevono esclusivamente e rigorosamente Spritz, caffè corretto e grappini bianchi.

In che cosa e dove sarebbero quindi così diversi questi veneti dal resto d’Italia?

 

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