PEPERONI: SA(P)LÒ

[note color=”000000″] Sono passati almeno 10 anni dall’uscita di ognuno dei film che rivisiteremo in questo spazio, eppure, nel bene o nel male, nulla pare essere cambiato. Pare che le tematiche siano più attuali del previsto. Dunque, si ripropongono, proprio come i peperoni. Speriamo solo di digerirli il prima possibile. [/note] [author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/07/Schermata-2013-07-12-alle-14.20.02.png[/author_image] [author_info]Alice Bellini. Scrittrice, si laurea in cinematografia tra Londra e New York. Non è una critica di nulla, ma le piace dire la sua, sapendo che, comunque, la risposta a tutto è inevitabilmente 42.[/author_info] [/author]

1 maggio 2014 – 1975. Pier Paolo Pasolini, che il nome si presenta da sé. E il suo ultimo film, Salò e le 120 giornate di Sodoma. Con lo stomaco stretto e le mani che sudano. E gli occhi che si chiudono spontanei su scene che la sensibilità non riesce a sostenere, se non, forse, a piccole dosi.

Scene che il mondo del cinema non aveva mai visto e mai avrebbe più rivisto. Perché sono scene di una realisticità sprezzante e inconfutabile. Perché ciò che sconvolge di più i sensi e le emozioni non sono le azioni che accadono sullo schermo, ma il fatto che l’essere umano ne sia effettivamente capace. Capace di essere così perverso e così crudele. Capace di essere così putrefatto. Sapere che la putrefazione di alcune scene è solamente un millesimo dell’orrore molto più grande che la Storia ci ha messo davanti, dalle guerre e le dittature, all’inquisizione e il colonialismo, fino ad arrivare a un tipo di putrefazione più sottile, più scaltra e meglio architettata, ma non per questo meno sadica, fatta di corruzione, massoni, condannati che parlano in TV durante talk show domenicali e standing ovation per l’operato di ignobili assassini. Una putrefazione fatta di benessere, grandi navi, talent show, social life e carriere.

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A scandalizzarsi davanti a un film come Salò sono capaci tutti. La vera sensibilità si vede nello scandalo e nella ripugnanza che si prova dinnanzi a determinati avvenimenti reali, di fronte a cui, sempre più spesso, si alzano le spalle e si volta la testa, scusando il proprio menefreghismo con il fatto che, tanto, non c’è soluzione. Perché la violenza di un applauso pronto ad acclamare chi ha ucciso un innocente non è forse mille volte più raccapricciante di una pellicola come questa? Non è mille volte più crudele, irrispettoso e perverso di ciò che le vittime di Salò subiscono?

“La vera anarchia è nel potere”. Ormai non ci sono più dubbi. Ed è solo quando questa realtà ci farà inorridire che saremo degni e autorizzati ad inorridire anche di fronte alle scene di Salò. Fino a quel momento, qualsiasi orrore sarà classificabile come banale “schifo” e noi non saremo altro che individui meschini, a cui serve il sangue per sentire dolore. E anche in quel caso, ce ne dimentichiamo subito.

Ciò che si è persa di vista è la capacità di capire che tutto, assolutamente tutto quello che succede in ogni singola parte del mondo dipende anche e soprattutto da noi, per il semplice fatto che lasciamo che accada. Passiamo le nostre vite alla ricerca dell’onnipotenza. A voler vivere meglio, più a lungo, eternamente, se possibile. Eppure, là dove davvero possiamo in maniera quasi onnipotente, non muoviamo un dito.

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Se la vera anarchia sta nel potere è perché ognuno di noi permette che sia così. O comunque la maggioranza. Il fatto che ci sia stato il bisogno di una Resistenza contro il fascismo non è perché i fascisti erano duri da annientare, ma perché la maggioranza lasciava che il fascismo avvenisse, proprio come oggi continua a dilagare nelle sue forme più varie e celate, senza che nessuno ne prenda effettivamente atto. E così, nel mentre, continua a mietere le sue vittime, o a umiliare quelle già mietute.

Perché il fascismo non sono Mussolini, le camicie nere, o le ronde, il coprifuoco o la guerra. È fascista qualsiasi decisione imposta in maniera violenta, ledendo alla libertà e la dignità di altri individui. È fascista la necessità di proteggersi dalle forze dell’ordine. È fascista una morte fatta di percosse. Sono fascisti gli assassini. Sono fascisti gli applausi agli assassini. Ed è fascista la noncuranza in merito a quegli applausi. È fascista la mancanza d’informazione. È fascista la guerra scatenata sui civili innocenti. Il finanziamento agli F35. I tagli a sanità e istruzione. Il precariato.

E tutto questo è Salò.

Salò che tanto ci fa accapponare la pelle ma che comunque non c’induce a pensare che le perversioni che mostra non sono nulla di diverso da ciò a cui assistiamo, giorno dopo giorno, e dal quale codardamente ci allontaniamo, trovando le scuse più varie e banali.

Un’azione si fa dunque sempre più urgente. Quella di smetterla di scandalizzarsi e autocensurarsi, di essere perbenisti e accordanti, metterci in ascolto del mondo e cominciare a cambiare, nei fatti, ciò che è putrefatto. Dare il primo esempio del cambiamento che vorremmo vedere. Rendere il potere una forma di ordine, piuttosto che di violenza e morte. In una parola, prendersi le proprie responsabilità, non per spartire le colpe, ma per assegnare i compiti che servono per poter applaudire solo ciò che merita davvero di essere applaudito e provare smisurato orrore di fronte a tutto il resto. 

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