La passione secondo Luca (Sofri). Anzi, secondo noi

Twitter frigge. Le dichiarazioni di Luca Sofri, direttore de Il Post, al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia hanno scatenato un vivace cinguettìo. Tema: la passione. Svolgimento: in tutti i lavori uno per passione può anche fare cose gratuite, senza legarle per forza a un valore monetario. Le frasi precise sono nel corpo di questo dialogo che ha bisogno della vostra immaginazione.

Esterno giorno, un tavolino sotto un tendone di un bar Segafredo, Milano. QLAUS, il peggio che c’è in noi, la firma collettiva che firma le pepate invettive sul nostro giornale (quello con le diaboliche corna) è di fronte a me. Scorriamo i tweet con il pollice sui nostri smartphone, una sigaretta brucia appoggiata sul posacenere di vetro tondo. L’argomento non può essere che la passione secondo Luca, Sofri. E ci viene voglia di intervista, che parte da una domanda e che dalle risposte si trasforma in un dialogo.

 

Angelo Miotto intervista QLAUS. O viceversa?

 

AM: Nome?

QL: Lo sai benissimo. QLAUS. Tutto maiuscolo, possibilmente.

 

AM: Che lavoro fai?

QL: Non sono interessato a divulgare informazioni personali su di me. Fatti bastare il dato che per Q Code critico, soprattutto. E giudico, moltissimo. Sono cattivo, ma non sono “un” cattivo; sono piuttosto una testa cornuta.


AM:
Esatto, scrivi sul nostro giornale online. Ma non sei pagato per farlo. Perché allora scrivi?

QL: Se fossi il capellone slavo e sgrammaticato che ha vinto Masterpiece, l’immondo talent sui casi umani che vogliono fare gli scrittori e dove appunto vincono i capelloni slavi sgrammaticati, ti risponderei che scrivo perché “ho capito che mi piaceva scrivere, che dovevo scrivere, e che non sapevo come non scrivere”. Ma sarebbe una cazzata, perché quello è appunto scrivere, mica pubblicare. La verità è che scrivo perché poi voglio essere LETTO. Se scrivo su Q Code è perché Q Code è così coraggioso da ospitarmi, e far sì che io venga letto. Perché Q Code non mi paghi però lo chiedo a te.


AM:
Q Code non ti paga perché non ha soldi.

QL: Ecco, però questo non va bene: i soldi servono. Con i soldi uno si compra la mozzarella (quella industriale, che notoriamente costa meno), va a travestiti, paga il biglietto del rarissimo museo dei ferri da stiro, si fa fregare dalle cure miracolose, si compra insomma le cose necessarie per vivere. E anche quelle superflue, ché non stiamo nella DDR, cazzo.


AM:
Quindi tu non ritieni che, come ha detto qualche giorno fa Luca Sofri, qualunque tipo di lavoro possa conoscere anche delle retribuzioni, delle soddisfazioni che non sono necessariamente monetizzate? Lui dice “anche”, quindi non dice “tutte”…

QL: Sì, ho letto e ascoltato le parole di Sofri e ho colto bene il distinguo. Certo è che il messaggio che è passato, quello con cui poi sono stati fatti alcuni titoli di alcuni giornali, è che chi scrive può accontentarsi della “soddisfazione della passione”. In realtà non è questo ciò che Sofri ha detto, ma ritengo che abbia comunque sbagliato.


AM:
Perché?

QL: Lo sai meglio di me. I giornali chiudono e i giornalisti pagati in modo dignitoso sono ormai sempre meno. Spesso per molti di essi la soddisfazione della passione è l’unica cosa che li fa continuare, ma è difficile barattarla con la mozzarella (perfino quella industriale, che notoriamente costa meno). Sofri mi pare parli da una posizione di privilegio. Da chi parla da quella posizione mi aspetto come minimo una maggiore grazia.


miotto-qlaus-al-barAM:
Ecco, forse tutti vi state focalizzando su quello che Sofri fa di lavoro, il giornalista, ma in realtà lui parla di TUTTI i lavori. Quindi possiamo dire che in teoria anche un macellaio può avere delle soddisfazioni tali da lavorare gratis? O un agente antisommossa, oppure uno spazzino…

QL: Sulla soddisfazione non monetaria che provano un macellaio e un agente antisommossa non ho dubbi. Peraltro è la stessa soddisfazione. Per il resto mi pare che Sofri dica delle ovvietà. Peggio: spende un sacco di parole per dirne sostanzialmente poche altre, e quasi tutte criticabili. Innanzi tutto sostiene che per lavorare bene serve la passione; beh, sai che scoperta. Poi aggiunge che talvolta uno la passione può farsela bastare. Il problema è che NON BASTA. Forse basta a lui, che lavora ed è pagato per fare le cose che sarebbe disposto a fare gratis. Ma le farebbe gratis proprio perché normalmente gliele pagano.


AM:
Ma al Festival del Giornalismo è andato a titolo gratuito. Per la passione, appunto.

QL: E sticazzi. In Italia ci sono giornalisti bravissimi che sono *costretti* a LAVORARE GRATIS, il che è un po’ diverso dallo *scegliere* di PARTECIPARE GRATIS al Festival del Giornalismo, tanto per fare l’esempio che fa lui. Che poi diciamoci la verità: Sofri non ha nemmeno grosse spese di styling o di viaggio. Con le sue camicie a maniche rimboccate e i suoi gilet ha un look piuttosto economico da preservare. Con un bagaglio a mano è a posto per una settimana, e in più non è particolarmente alto, quindi un posto sul divano di un amico lo raccatta sempre.


AM:
“Esistono quantità di altre motivazioni e occasioni in cui possiamo liberamente lavorare gratis senza sentirci sfruttati”. Sofri dice testualmente così. Eppure la furia che hanno scatenato le sue parole non sta proprio nel contrario? Lavorare per 30 euro lordi al pezzo non è essere sfruttati e sostanzialmente lavorare gratis e per di più senza nessuna soddisfazione?

QL: Io vorrei proporre a Sofri, che scrive bene quasi quanto me, di contattarti per collaborare gratuitamente con Q Code. Una bella rubrica monotematica quotidiana su Bon Iver non gliela nega nessuno. Siccome è un cantante per cui so che ha una grande passione, sono certo che non si sentirebbe affatto sfruttato se gli chiedessi di scrivere la sua rubrica OGNI GIORNO. GRATUITAMENTE.


AM:
Una rubrica QUOTIDIANA su Bon Iver?

QL: La passione è passione, non si discute.


AM:
Ma anche i lettori sono i lettori.

QL: E qui ti volevo, anzi volevo lui. Il suo discorso è un discorso che va bene se scrivi per una fanzine, o se sei un blogger. In ogni caso, se hai tra i 15 e i 20 anni. Al limite, se tuo padre è così ricco o così eroso dai sensi di colpa da mantenerti e tu puoi permetterti di vivere come uno studente del DAMS a cinquant’anni. La verità è che su Q Code Sofri durerebbe una settimana. Perché anche lui mangia la mozzarella (quella di bufala vergine di Eataly, suppongo), quindi anche lui deve LAVORARE, passione o non passione. La sua fortuna è che, a differenza di molti, quando Sofri lavora (cioè quando viene pagato per quello che fa) Sofri fa il giornalista. Ecco perché può permettersi di non farsi pagare (ma ogni tanto, mica sempre).


AM:
Perché quella cosa che fa gratis altrove gliela pagano.

QL: Esatto, e il punto è tutto qui, se ci pensi. Il suo discorso vale se fai il giornalista e decidi di esibirti gratuitamente come sosia di Elvis al matrimonio di tuo cugino. Ma se di lavoro fai il sosia di Elvis, hai bisogno che tuo cugino ti paghi, sennò addio mozzarella (quella industriale, nel caso del sosia di Elvis).

Però ora te la faccio io una domanda, direttore. E te le faccio proprio perché sei un giornalista “pieno di passione”, che poi è l’eufemismo con cui nei romanzi rosa dei tuoi tempi si indicavano le erezioni dei maschi protagonisti. Perché lavori gratis, tu?


AM:
Io non lavoro gratis. Faccio semplicemente un altro lavoro per poter fare quello che sono, un giornalista. Scrivere, osservare, raccontare, studiare e diffondere che è il lavoro che mi piace. Io lavoro sette ore al giorno aspettando che arrivi il momento in cui poter avere la possibilità di sentire le parole che escono dalla tastiera, immaginare un format, parlare con tante persone come me che sentono l’esigenza, la necessità di scrivere e costruire un progetto informativo. Lo faccio gratis, perché spero di potergli dare un valore il più presto possibile. Ma questo circolo vizioso ha un grande difetto.


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QL: Quale?

AM: Se lavori per permetterti il lavoro della passione hai poco tempo per strutturare la passione e finirai per essere risucchiato dalle esigenze economiche. Scegliere di slegare dal circuito economico la nostra passione non ha nulla a che vedere con una soddisfazione vera. Certo che alcune cose si possono fare gratuitamente. Ma la condizione di partenza è fondamentale, non si può essere così indelicati di fronte a una platea di persone che cercano una strada e che vengono tenute ferme ad aspettare un autobus che non passerà.


QL: Non dici cose tanto diverse dalle mie, eppure io sono solo una Q con le corna. 

AM: Io sogno la mattina di alzarmi e di stare in redazione, a pensare, a scrivere e costruire dei percorsi che diano alle persone la possibilità di dare una forma al loro pensiero, di esprimere un giudizio. Ma ho anche imparato una parola che regge tutta la nostra impresa editoriale, ancora in cerca del vile denaro.


QL: Vediamo se indovino: passione?

AM: No, tenacia. La passione è nulla senza la tenacia.  Quando certe sere passo le facce della redazione una a una nei miei pensieri mi sento come un generale che chiede di andare a combattere i droni armati con le baionette, e a volte anche a mani nude.


QL: Per restare nella metafora militaresca (ma non lavoravi per PeaceReporter, una volta?) si può dire che senti
le parole di Sofri come raffiche di fuoco amico?

AM: Quelle parole le sento lontane, sono vapore al vento. Se analizzi il testo, c’è una retorica che in filigrana fa capire l’estetica di quel pensiero, trasformata dai social nella vera carne, ossa, sangue che viviamo in questa nostra atomizzata realtà: non puoi svolazzare sulla passione se la gente si ammazza di fatica – e manco ci riesce a volte – per far tornare a casa 800 euro al mese , non puoi parlare di gratuità che compiace l’animo, quando le redazioni non rispondono nemmeno alle mail, quando vivi nella peggior crisi del giornalismo e non solo, di una crisi che si sono inventati per riparare le banche e che fanno pagare a noi, quando i direttori prendono centinaia di migliaia di euro e le redazioni vengono tagliate, quando si offrono cifre indegne e quando, per dirla tutta, anche chi accetta è indegno perché abbassa la soglia di sofferenza, in nome della necessità. Ecco mi piacerebbe, come per i grandi della Casta, sfidarli a un giochino: a parità di condizioni, vediamo se ce la fate. Tornate a capire e comprendere davvero e non solo con il pensiero cosa sia la miseria del rifiuto delle tue passioni in base al vincolo monetario ed economico. E allora solo dopo potremo giocare a far finta che quel sistema di valorizzazione monetaria non esista e a illuderci che nonostante tutto, sopra le nubi, brilla il sereno.

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QL:
Non avrei saputo dirlo meglio (in realtà sì, molto meglio, ma per il momento sei ancora il mio direttore).

AM: Piuttosto, Qlaus, hai un meme, una vignetta, per Sofri, tu che sei campione di invettiva?


QL:
Ehm.

AM: Ehm non è un meme, forse un acronimo.


QL:
Ehm, non mi viene in mente niente.

AM: Vedi che facciamo bene a non pagarti?

 

 

 

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