Fedele alla linea

Germano Maccioni intervista Giovanni Lindo Ferretti per trarne un documentario che tra le righe riflette su un modo di vivere e di pensare sempre più abbandonato nel corso degli anni.

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/Juri-Saitta.jpg[/author_image] [author_info]di Juri Saitta. Nato nel 1987, laurea triennale in “Scienze della Comunicazione” e laurea magistrale in “Discipline cinematografiche. Storia, teoria, patrimonio” al DAMS di Torino. Appassionato di cinema praticamente da sempre, collabora con “FilmDOC” e “Mediacritica”.[/author_info] [/author]

25 maggio 2014 – Il rapporto tra l’uomo e la natura, il ritorno alle origini contadine di una civiltà e il modo con cui ci confrontiamo con la malattia e la morte sono le questioni che si celano nel documentario di Germano Maccioni Fedele alla linea, dedicato al cantautore ed ex leader dei C.C.C.P. Giovanni Lindo Ferretti.

L’opera ha una struttura narrativa molto classica e semplice che alterna il dialogo con il protagonista con le riprese della sua abitazione e il materiale d’archivio.

Durante l’intervista, Ferretti non affronta mai questioni direttamente politiche e sociali d’attualità, ma si concentra piuttosto sulla sua biografia, raccontando l’infanzia trascorsa in campagna e in collegio, le diverse malattie incontrate nel corso della propria vita, il rapporto con la madre e, infine, la sua odierna quotidianità, che trascorre nuovamente in mezzo alla natura.

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Fedele alla linea 3

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Trascurata volutamente la fase più conosciuta del protagonista, quella di musicista, ciò che emerge immediatamente dal film è il ritratto intimo di un personaggio apparentemente contraddittorio ma comunque carismatico e intelligente, il quale compie un percorso circolare da un mondo conservatore per passare successivamente alla ribellione giovanile e ritornare in seguito al pensiero e alla vita originari.

I momenti più interessanti dell’intervista risultano però quelli dedicati ai ragionamenti del cantautore sul rapporto tra l’uomo e il proprio ambiente, tra l’uomo e la morte e tra l’uomo e le proprie radici; tutte problematiche sulle quali Maccioni riflette in modo ampio e quasi universale.

Tutto ciò si può constatare anche da una regia volutamente statica e meditativa che dedica numerose inquadrature all’ambientazione: le montagne, la semplice e umile cascina, i cavalli tanto amati dal musicista (che infatti aprono e chiudono il film) e i grandi macchinari medici (non a caso ripresi con uno sguardo stupito di chi assista a qualcosa di strano e fantascientifico).

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Fedele alla linea 1

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In tale prospettiva, il protagonista passa quasi in secondo piano rispetto al contesto che lo circonda per diventare un esempio di come l’uomo possa rapportarsi alla vita e al paesaggio rurale, cercando di ricordare le proprie provenienze storiche e culturali. In fondo Ferretti, dopo aver seguito i sogni di rivoluzione e trasformazione radicale, cerca adesso di recuperare un mondo che sta scomparendo: lo dimostra egli stesso quando racconta dello spettacolo tradizionale che tiene ogni anno e lo conferma il lento ritmo narrativo, impegnato a rispecchiare quello della vita di campagna.

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È soprattutto in quest’ottica che Fedele alla linea, nella sua semplicità, risulta un lavoro pregevole e interessante: non tanto per i suoi singoli elementi cinematografici, quanto per un insieme che trae da una sola intervista delle frasi e delle immagini che rimandano a un significato più grande e generale su un modello di vita e di pensiero spesso ignorato o dimenticato.

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