Aguzziamo le orecchie

La vecchia Europa che non perde il pelo, il nuovo che avanza?, l’eredità politica del Sub Comandante Marcos


di Angelo Miotto

 

29 maggio 2014 – Supponiamo che quello che leggiamo sui mezzi di informazione, di diverse aree politiche e tendenze, sia vero. O perlomeno verosimile.

E quindi. Supponiamo che sia vero che in Europa ci abbiano detto e strombazzato che avremmo votato non solo per la lista che più ci convincesse, addirittura con il privilegio raro di esprimere delle preferenze, ma addirittura con una riforma a metà che ci permettesse anche di indicare sempre con il nostro voto – unico strumento di potere nella democrazia rappresentativa – anche per il candidato alla Presidenza della Commissione europea.

E supponiamo, ma la realtà ci scavalca, che questo proprio non venga nemmeno preso in considerazione, dal momento che mentre Juncker per i moderati e destri e Schulz per i socialisti europei hanno dichiarato di cercare una maggioranza da proporre, mentre nello stesso tempo i singoli governi riuniti a Bruxelles si stanno accordando, mediatore Van Rompuy, per cercare una personalità esterna e forte per la candidatura alla presidenza dell’Unione.

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Qualcuno si spinge a dire, addirittura, Christine Lagarde, la signora del Fondo Monetario Internazionale, con qualche causa pendente, ma pazienza. Allora supponendo che tutto sia verosimile il quesito più semplice che affiora sulle nostre labbra è quello che potrebbe pronunciare il più naif dei bambini. Ma perché?

Perché esibire in bella mostra una riforma nel senso popolare e democratico, coinvolgente e poi un secondo dopo che ci siamo espressi, per chi si è espresso ovviamente, la mano viene ritirata e si torna alle solite e logore logiche di quell’Europa che abbiamo imparato a detestare non perché anti o scettici, ma perché profondamente sbagliata dalla fondamenta.

L’astensionismo a livello europeo è un dato che dovrebbe far riflettere e se quello che supponiamo è vero non si può che prevedere un progressivo e continuo sentimento di disaffezione per qualcosa che dovrebbe essere profondamente nostro e si rivela sempre di altri. Altri che, detto per inciso, hanno già dato bella mostra di non azzeccare nessun tipo di politica di progresso o di benessere per questi famosi, vaticinati, auspicati e irrealizzati e forse irrealizzabili Stati uniti d’Europa. Una solenne presa per i fondelli, detto fuori dai denti.

E veniamo in Italia, dove il voto utile, scrivevamo in un editoriale alla vigilia del voto, sarebbe stato quello che impedisse la voglia di larghe intese, come modello non solo consumato, ma ormai evidentemente controproducente per il benessere di noi cittadini europei. La lista Tsipras si sta agitando verso il proprio futuro con annunci che vanno dalla costituzione in chiave nazionale, l’Altra Italia, ad articoli e analisi (vedi l’intervista su Repubblica di ieri) che dicono che Sel litigherà su questa direzione di futuro: chi vorrebbe andare con il Pd e Renzi per governare e chi non è d’accordo. Ma in ogni caso una decisione andrà presa e l’indecisione preanuncia scontro e ancora una volta divisione. Sempre nella Lista del greco una dei fondatori, Barbara Spinelli,  rimane convinta di un avvicinamento verso il Movimento 5 Stelle, mossa che già in campagna elettorale aveva causato allarme fra gli stessi sostenitori della formazione che dopo il successo  – cioè raggiungere il 4%  – sta tornando a frammentarsi, come era evidente a moti anche prima delle elezioni e come è stato taciuto a fini elettorali.
E se supponiamo che sia verosimile il senso di scoraggiamento di cui sopra torna a stringere un nodo alla gola: come è possibile che un patrimonio di una campagna elettorale di molti finisca di nuovo in balia delle decisioni di pochi?

Conferenza stampa di presentazione dei candidati e del logo delle liste L'Altra Europa con Tsipras

Ci sarebbe da aprire il dibattito sul ruolo delle intellettualità dirigenti che aspirano a dare una visione di futuro alla massa, ma già le parole dicono che saremmo in un campo piuttosto anacronistico, rispetto agli strumenti e alle esigenze di partecipazione e coinvolgimento che esistono oggi. Meglio,  voglia di rivendicare una appartenenza, uno schierarsi su valori e ideali, che si respirano in gran parte di quell’elettorato che è riuscito convincendo anche suocere e zie a far arrivare la lista del greco al fatidico e agognato 4%.

E mentre supponiamo mesti, risuonano sulle nostre pagine e nelle nostre orecchie le parole del Sub Comandante Marcos, che non c’è più, ma con un saluto al nuovo Sub, Galeano, grazie a un potente rito di passaggio che ha ucciso il personaggio così famoso per restituirci un uomo nuovo, che ha preso il nome da uno degli ultimi assassinati dai paramilitari.
Nella poesia della retorica, in senso nobilissimo, zapatista, in quei versi che vengono declamati e che riuniscono non solo pensiero, ma prassi, lotta fisica, sangue versato, c’è quell’elemento rivoluzionario che ancora non riusciamo a prendere, a mutuare, a rendere fattore ispirativo e costituente di nuove soggettività collettive che possano incidere davvero sulle nostre vite.

Scrive il comandante, nel suo saluto finale: Es nuestra convicción y nuestra práctica que para rebelarse y luchar no son necesarios ni líderes ni caudillos ni mesías ni salvadores. Para luchar sólo se necesitan un poco de vergüenza, un tanto de dignidad y mucha organización.

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In tante analisi che abbiamo letto e imparato, condiviso o contestato dall’apparizione sulla scena della guerrilla zapatista, che spara caracoles e condivisione, che si arma di servizi per la comunità, che costruisce senza cemento rapporti più solidi di qualsiasi colata che erode le nostre terre, lo zapatismo ha sempre avuto un pensiero pragmatico e allo stesso tempo poetico di avanguardia.

Quell’avanguardia che ci piace, dove uno vale uno non è una menzogna calata dall’alto, ma una prassi naturale, dove l’amore per la terra e la sete di emancipazione, anche culturale, diventa il fine ultimo dell’esistenza politica e terrena.

Supponiamo che un messaggio di tal fatta si insinui nottetempo dentro il cranio di quanti continuano a voler imporre la propria posizione di potere a dispetto degli altri, quelli che devono subire la violenza con la carezza del sentirsi dire che ‘avete partecipato al gioco democratico’. Sono mondi, diversi, eppure un insegnamento arriva dalla selva Lacandona.
È un messaggio di speranza e di tenacia. Aguzzate, aguzziamo, le orecchie.

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