Fino alla fine

 La Palestina batte le Filippine, vince il torneo, e si qualifica per la Coppa d’Asia

 

di Christian Elia

1 giugno 2014 – La postura è quella di Cristiano Ronaldo. Maglia numero 7, come il fenomeno portoghese fresco campione d’Europa con il Real Madrid. Il pistolero: mani in vita, gambe larghe, ben piantate per terra. Il pallone è fermo, immobile, prima del calcio di punizione dal limite.

In barriera la consueta lotta greco-romana per prendere posizione, un’abitudine che rassicura. A calciare son pronti in due, in quella terra dell’incertezza dove possono perdersi i portieri avversari. Tira il primo, di sinistro, aggirando la barriera? O tira l’altro, di destro? Tira il secondo, che non è Cristiano Ronaldo, ma è Ashraf Al Fawaghra.

 

 

Ashraf è palestinese. La sua squadra è la Palestina. Gli avversari sono I calciatori della nazionale delle Filippine. E’ la finale della Challenge Asian Cup, torneo ufficiale che garantisce al vincitore la qualificazione diretta alla prossima Coppa d’Asia.

Ashraf fa due passi, tira un destro velenoso, potente e preciso, che si insacca imparabile alla sinistra del portiere.  La Palestina vince per 1-0, la gioia è incontenibile, in campo e fuori, ma soprattutto in Palestina, dove centinaia di migliaia di televisori sono sintonizzati sulla partita.

Può sembrare poco, può sembrare una normale partita di una normale competizione calcistica. E’ molto di più per la Palestina occupata, che aspetta uno stato dal 1948.  Un simbolo di resistenza in vita, mentre per la FIFA e i vertici del calcio ancora non fanno sentire al loro voce per sanzionare Israele e le sue politiche di apartheid che colpiscono i calciatori palestinesi come tutti gli altri.

Il calcio non è la vita, ma gli somiglia moltissimo. E la Palestina non molla. Una vittoria di buon auspicio, da godere fino in fondo, come tutto quello che viene guadagnato e sofferto, perché nessuno ti ha mai regalato nulla, anzi.

Appuntamento alla Coppa d’Asia, allora, in Australia. Continuando ad aspettare, resistere e lottare per esistere. Perché una partita non è mai finita fino a quando non è finita, e tutto può succedere. Nessuno lo sa meglio di un palestinese.

 

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