Il 23 F di re Juan Carlos

L’ambiguità del re, la disobbedienza di Tejero, il ruolo centrale dei servizi segreti militari. Era il 1981. Un rompicapo difficile da comporre: l’icona del tenente colonnello Antonio Tejero che prende in ostaggio il Parlamento è solo la superficie di un progetto che voleva ‘correggere’ la direzione politica in una Spagna ancora troppo legata all’eredità franchista per essere libera di vivere una vera Transizione.

di Angelo Miotto

3 giugno 2014.- “Quietos! Todos al suelo!”. Il verde dell’uniforme, tricornio nero sul capo, la pistola in pugno e, sotto, il paio di baffi a spiovente più famosi della storia contemporanea spagnola. Grida, confusione, stupore. È Antonio Tejero Molina, tenente colonnello della Guardia civil che irrompe alle Cortes spagnole in un pomeriggio di febbraio, il 23, mentre si vota l’investitura a premier di Leopoldo Calvo Sotelo.
Saranno diciassette ore e mezzo di cui restano registrazioni audio, video, ma nessuna traccia dell’incrocio di telefonate fra la Zarzuela, residenza dei reali, i comandi militari, il Parlamento.
Il 19 gennaio di quell’anno Adolfo Suarez, leader dell’Ucd, si era dimesso dopo insistenti pressioni e dopo aver perso il sostegno di re Juan Carlos. La Spagna uscita dalla dittatura aveva votato un referendum sulla Costituzione, approvata nel 1978. Era la Transizione democratica, che alcuni studiosi vorrebbero termini proprio con il golpe del 23-F, come viene chiamato in Spagna, mentre per molti quel processo non si è ancora sostanzialmente chiuso, accumulando ritardi anche in virtù di quello strano e fugace sollevamento.
Il disagio sociale palpabile, il contrasto sulla Legge per la decentralizzazione di competenze alle autonomie, in un Paese in cui i militari si fecero inserire come garanti dell’unità territoriale (articolo 8 della Costituzione spagnola), l’intensificarsi dell’azione armata di Eta, l’organizzazione armata basca, e soprattutto la necessità sentita e appoggiata da molti baroni dell’emiciclo parlamentario di correggere la direzione dell’azione di governo, dopo lo svuotamento dell’esperienza Suarez.
Il golpe matura in quel periodo, ma chi lo aveva ideato aveva costruito la trama con meticolosità, cercando una sponda proprio nella casa reale.

Primo: creare l’emergenza democratica.
Lunedì 23 febbraio, le 18.00 sono passate da poco, la Spagna sta ascoltando la diretta dell’elezione a presidente di Leopoldo Calvo Sotelo. Irrompe Tejero. Sale le scale fino al vicepresidente dell’Assemblea, che resiste agli ordini. I militari gridano ancora di sdraiarsi per terra, l’incredulità dei parlamentari è nei loro corpi impietriti, non reagiscono. E allora si spara. Sventagliate di mitra, pallottole che rimbombano e si vanno a conficcare sopra le teste degli onorevoli e sotto la balconata che ospitava avvocati e altre personalità presenti per l’occasione istituzionale. La radio nazionale interrompe una diretta che si fa dramma, con una suspense che rimane nelle ultime concitate parole lanciate via etere dai radiocronisti, obbligati a sdraiarsi per terra anch’essi. Silenzio. Paura e nessuna informazione per alcune ore fuori dall’edificio circondato da un cordone di agenti, nel cuore di Madrid. José Luis Rodriguez Zapatero, futuro premier nel 2004, sta studiando per un esame, molla i libri e si incolla alla radio, cerca notizie. Mariano Rajoy, premier attuale della Spagna, era a Valencia, una delle sedi golpiste più attive di quelle ore. Aveva appena terminato il servizio militare.
Inizia, dirà lo scrittore Javier Cercas ventotto anni dopo, “il grande gioco della finzione collettiva, in cui convergono tutti i nostri demoni”.

23f-tejero-bosh-armada
Protagonisti un gruppo di generali dello Stato maggiore, un tenente colonnello già condannato già nel 1979 per un’operazione sovversiva (Operacion Galaxya, in cui si pianificava l’assalto al Palazzo della Moncloa, sede del presidente del governo spagnolo), svariati uomini della Guardia civil e di altri corpi militari e di polizia, la III Regione militare di Valencia, agli ordini del capitano generale Jaime Milans del Bosh, gli agenti del Cesid, l’intelligence militare spagnola.
Ma soprattutto il re Juan Carlos e una persona molto vicina a lui, il secondo Capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Alfonso Armada y Comyn, che fu tutore del giovane monarca nel 1954 , capo della Segreteria del Principe nel 1965 e segretario generale della casa reale dal 1975 al 1977.
E’ una maratona ricca di colpi di scena, di telefonate incrociate, di menzogne e propaganda, di timori per la democrazia spagnola. 
A scandire il ritmo di una vicenda che si risolverà con la resa del tenente colonnello Tejero e altri militari dopo un discorso notturno alla nazione di re Juan Carlos, sette edizioni straordinarie del quotidiano spagnolo El Pais. La prima, a tre ore dal golpe, titola a caratteri cubitali “Con la Costituzione”.
Siamo in quella che le ricostruzioni ufficiali della giornata chiamano la fase Sam, situazione anticostituzionale massima. Era il colpo a sorpresa, lo choc istituzionale e nel Paese, destinato a creare una reazione in difesa della democrazia.
Secondo: operacion De Gaulle

La seconda fase: Operacion De Gaulle.  prende il nome da un meccanismo studiato e analizzato nella confinante Francia. L’Operacion de Gaulle, così battezzata per ricordare il passaggio dalla IV alla V Repubblica francese per mano del generale, poi eletto presidente. Per l’operazione era necessaria la presenza di un militare di rango, capace di avere l’appoggio trasversale fra i gruppi parlamentari, capace di farsi votare come presidente di un governo di unità nazionale, per presentarsi al Paese come garante della democrazia e nello stesso tempo restituire disciplina e ordine al percorso politico della Spagna.
Quell’uomo era Alfonso Armada, il secondo capo di Stato maggiore, di casa alla Zarzuela, residenza dei reali, con una cartelletta nella sua borsa che conteneva già i nomi dei futuri ministri, al 98 per cento civili, per dare vita a un governo di concentracion, dove spiccava alla vice-presidenza il socialista Felipe Gonzalez. Gli storici e gli scrittori la chiamano l’ipotesi del ‘golpe blando’, all’interno di una cornice costituzionale: un militare presidente, un governo di civili.


Il ruolo del re, i consigli del suo segretario particolare
Le ricostruzioni, numerosissime, che si basano su speculazioni laddove mancano i documenti ufficiali o le testimonianze accertate, hanno sempre investito direttamente la casa reale per capire quale fu il dilemma del re. Juan Carlos riceve la notizia alla Zarzuela e immediatamente saggia le posizioni dei vertici militari attraverso il suo segretario Sabino Fernandez Campo. Merita soffermarsi sulla storia di uno dei protagonisti di quelle ore: Fernandez Campo, già falangista e fra quanti si erano sollevati insieme al Caudillo, ha una carriera che lo mette continuamente in contatto con importanti figure del franchismo, della destra politica. Il re lo ha scelto per occupare il posto di Alfonso Guerra, che era stato promosso a secondo capo di Stato maggiore dell’esercito.
Il golpe è in corso, passano ore prima che il re si decida a muovere pubblicamente la sua pedina, per ristabilire l’ordine democratico. E proprio su quelle ore si costruiscono le teorie più diverse su quale sia stato, davvero, il ruolo di Juan Carlos in tutta la vicenda. Dalla cronologia di come si svolsero gli eventi è certo che il generale Armada si offrì di raggiungere la Zarzuela e di metterla sotto la sua protezione. Ma il segretario del re fermò una mossa che giudicava pericolosa. Quando un altro graduato chiamò la casa reale per sapere se il generale Armada fosse già arrivato, Campo fece diramare dall’agenzia di stampa Efe la risposta, tagliente e netta, che diede a quel graduato: “ Ilgenerale Armada non c’è, né lo si aspetta, qui alla Zarzuela”. Una frase che si presterà, come vedremo in seguito, a diverse interpretazioni di scuola opposta.

La disobbedienza del tenente colonnello.
Mentre Tejero teneva in ostaggio parlamentari, giornalisti, uscieri nel palazzo del Parlamento, le attività di monitoraggio per capire quanto seguito potesse avere quel sollevamento continuano. Il personaggio più in vista, firmatario di un editto che limitava le libertà fondamentali per civili e formazioni partitiche e sindacali era il generale Milans del Bosch, comandante della III Regione militare a Valencia. A tre ore dal golpe ha inviato i suoi carri blindati per le strade della città. I vertici delle forze armate, istruiti sempre dall’operoso segretario del re, emettono un comunicato in cui affermano che reprimeranno gli attacchi contro la Costituzione.
Il passo seguente è quello che gioca Alfonso Armada: il generale raggiunge Tejero, che a sorpresa non gli permetterà di pronunciare il suo discorso al parlamento, in cui avrebbe chiesto l’adesione a un gobierno de concentracion, di coalizione, sotto la sua presidenza e con una lista di ministri già pronta. Tejero vede la lista, sono civili, a eccezione di una figura militare, si ribella di fronte a quello che percepisce come un tradimento. Il Tenente colonnello aveva fatto il lavoro sporco, in attesa di direttive, ma quell’ipotesi di ‘golpe blando’ non gli piace e nega al generale Armada il contatto con i parlamentari. Siamo alla mezzanotte del 23. Poco più di un’ora dopo il re è sugli schermi, parla alla nazione. In difesa della Costituzione, toglie terra sotto i piedi dei militari golpisti, in maniera netta. Un video che rimarrà come la legittimazione della monarchia nel nuovo scenario democratico, o per altri come la vaccinazione del Paese rispetto a spinte di tipo autoritario e militare.

Le ipotesi, il rompicapo che non quadra.
In oltre trent’anni dai fatti, le ricostruzioni sono state numerose, così come i sospetti che si sono concentrati su alcuni dei protagonisti della vicenda. Gli stessi passaggi politici degli anni successivi hanno fornito nuovi spunti rispetto alle interpretazioni o alle ipotesi sulla natura di quella manovra golpista.
Quella frase resa pubblica dal segretario generale del re, che faceva sapere che a palazzo non c’era, né si attendeva il generale Armada, protagonista dell’Operazione alla De Gaulle, è stata interpretata da Jesus Palacios, storico e saggista, come il tentativo riuscito di evitare di decapitare immediatamente il golpe in corso. Un ragionamento che appartiene a quanti pensano che l’ipotesi di un governo di coalizione, presieduto da un militare, trovasse d’accordo il re – preventivamente consultato – e anche gran parte dei gruppi parlamentari, specie delle opposizioni. I comunisti di Santiago Carrillo, ma soprattutto i socialisti di Felipe Gonzalez, il cui nome compariva nella lista dei ministri che aveva con sé lo stesso Armada nella casella della vice-presidenza.
L’ipotesi di un governo di coalizione presieduto da un militare era stata comunicata all’ambasciatore statunitense, con dei contatti fra un agente del Cesid, il servizio segreto della difesa, e l’antenna Cia della capitale. Il primo commento da Washington al golpe fu una dichiarazione sibillina: ‘non commentiamo fatti interni’, disse un responsabile della Casa Bianca, allora guidata da Ronald Reagan. Durante le ore del golpe nessuna reazione da parte della Conferenza episcopale spagnola, o dalla Confindustria, la Ceoe. Dati che parlano chiaro.
E Il 24 febbraio, tramontata l’ipotesi del golpe dopo il video del re e la resa di Tejero, il Dipartimento di Stato Usa tornerà sui propri passi spendendo alcune parole a favore della giovane Costituzione spagnola. Mentre l’agente di collegamento spagnolo che avrebbe potuto essere convocato per i suoi legami con la Cia fece perdere per sempre le sue tracce.

Dopo il 23-F. Una nuova direzione per la politica spagnola.
Ma torniamo al re all’una di notte del 24 febbraio, in televisione. Si dirige alla nazione, vestito in alta uniforme. Difende la Costituzione. Un video storico che lo consacra come garante della Carta fondamentale, quindi della democrazia. C’è chi sostiene che ci fu un patto segreto fra il re e i militari: i golpisti avrebbero rinunciato allo scontro in cambio di mano libera nelle pratiche di guerra sporca antiterrorismo (il fenomeno del Gal partirà nel 1982 mietendo vittime nella terra basca su una riva e l’altra del fiume Bidasoa), e un restringimento del progetto di legge sulle autonomie, la cosiddetta Loapa, che in effetti negli anni a seguire fu modificata e poi cambiata ancora dopo un ricorso delle forze nazionaliste, basche e catalane.
Il garante dell’unità territoriale spagnola è l’esercito. Una, grande y libre è uno slogan che batteva – e batte – ancora in molti cuori sotto le divise. Quello che è certo è che la data del 23-F è uno snodo per una Transizione democratica. Per Javier Cercas, autore del pluripremiato 23- F: anatomia di un istante, proprio quella fu la fine della Transizione, l’inizio della democrazia. Mario Zubiaga docente di Scienze politiche all’Università del Paese Basco, individua nell’esperienza del golpe e nel suo esito una sorta di peccato originale destinato a influire sugli anni a venire. In una intervista per il trentesimo anniversario del golpe Ziubiaga afferma che quel fatto costituì “una sorta di avvertimento sui limiti del sistema che non si sarebbero più potuti oltrepassare. E questo fino alla prima legislatura di José Luis Rodriguez Zapatero, che per primo inizia a rivisitare il patto della Transizione, aprendo il capitolo della Memoria storica”.
Un altro cattedratico, il sociologo Carlos Sampedro ha spiegato con precisione quelli che furono a suo parere gli effetti negli anni successivi del golpe: la regressione considerevole del modello territoriale dello Stato, quindi lo stop a quello che sarebbe potuto diventare uno Stato federale. E poi, afferma Sampedro, l’utilizzare da parte del Psoe, il partito socialista spagnolo, lo spauracchio del golpe come uno dei motivi per aderire alla Nato, perché quell’adesione avrebbe creato le condizioni necessarie per arrivare a una ‘democratizzazione’ dell’esercito. Il sociologo spagnolo parla quasi della fine di un’età dell’idealismo per quanto riguarda quel partito costretto alla clandestinità durante la dittatura militare e ora invece protagonista sulla scena politica spagnola. L’allineamento alle politiche statunitensi grazie al referendum sulla Nato, ma anche il messaggio che il golpe diede alla classe politica spagnola, più che alla società, fu quello di un necessario confine invalicabile, rispetto all’eredità della Guerra civil e del franchismo. Di fatto fu il governo socialista a dare il via libera alla cosiddetta Guerra sucia (1982/1989) contro l’indipendentismo armato e politico basco, aprendo ai metodi e alle politiche di militari e servizi segreti che, spesso ancora oggi, costituiscono pezzi di Stato nello Stato.

Processi, inchieste e responsabilità.
È il 24 febbraio, mezzogiorno. Tejero capisce di non avere più spazio per portare avanti un golpe che nessuno intende supportare. Una foto lo ritrae mentre esce da una finestra del Congresso; poi saluta uno a uno gli uomini che lo hanno seguito, prima di consegnarsi nelle mani delle autorità. Alla fine il processo riguarderà 32 imputati, che verranno giudicati dalla giustizia militare e da quella ordinaria. La prima più benigna nei loro confronti, la seconda in cerca della sentenza esemplare. Per Tejero e per Armada vengono comminati 30 anni di carcere, che non sono stati scontati nella loro interezza. A diversi anni di distanza dai fatti si scoprì che anche il Cesid, il servizio segreto militare spagnolo, aveva commissionato al proprio interno un rapporto, chiamato Informe Jaudnes dal nome del graduato che svolse le indagini, contestato da alcuni agenti stessi del Cesid, poi epurati, perché videro in quella mossa dei servizi la volontà di istruire una causa per arrivare a una archiviazione auto-assolutoria del ruolo e delle responsabilità in capo all’intelligence. Jaime Pastor, professore di Scienze politiche all’Uned torna sui misteri, che rimarranno irrisolti. Ha scritto: “ Difficilmente un giorno sapremo con certezza i pro e i contro che dovette soppesare in quei momenti decisivi il re. E che poi lo portarono finalmente a non avallare il progetto del suo amico Armada. Sembra verosimile la tesi che la sua previsione fu che una volta bloccata da Tejero la variante costituzionale del golpe blando, potesse correre il rischio di vedersi trascinato verso il fallimento della versione ‘dura’ e che per questo rinnegò il tentativo. Ma ciononostante il re non avrebbe smesso di avere i suoi dubbi fino alla fine, come poi si poté comprovare nelle parole che scrisse nel telegramma che inviò quella stessa notte al generale Milans del Bosh a Valencia. C’era scritto: ‘ya no me puedo volver atrás’. Ormai non posso più tornare indietro”.

 

Una analisi che richiama altre parole, quelle del segretario del re Sabino Fernández Campo, che esercitò una grande influenza sulle sue decisioni. Anni dopo e prima di morire nell’ottobre del 2009, rispetto alle domande sui misteri del 23-F ebbe modo di dire: “lasciamo le cose come stanno, senza agitare una storia che si è già calmata. A volte chi cerca affannosamente la verità corre il rischio di incontrarla”.

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1

 



Lascia un commento