Tristezza, per favore, vai via

Il nuovo libro di Alberto Riva, dove il Brasile non è mai solo una cartolina, tra calcio e politica

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-20-alle-18.34.04.png[/author_image] [author_info]di Marcello Sacco, da Lisbona. Nato a Lecce, vive da anni a Lisbona, dove lavora come professore, traduttore e giornalista freelance. La sua pubblicazione più recente è “Salazar. Ascesa e caduta di un dittatore tecnico” (Besa 2014)[/author_info] [/author]

10 giugno 2014 – Pure i contestatori, diceva Pasolini, tornati a casa dopo una giornata di lotta, guardano Canzonissima. Varrà anche per i recenti movimenti brasiliani e il futebol? Resteranno tutti col fiato sospeso al primo dribbling di Neymar? Certo è che da quest’altra parte dell’Atlantico, più che le disuguaglianze sociali nel primo Paese dei Brics, fanno notizia i ritardi nella costruzione degli stadi, paura che qualcosa possa guastare la festa quasi pronta del campionato mondiale che inizia il prossimo 12 giugno. Se solo qualche decennio fa il mondo fu capace di chiudere un occhio (anche due) sull’Argentina del generale Videla, meno problemi di coscienza solleverà il Brasile caotico ma democratico, forse perfino un po’ socialista, di Lula e Dilma.

E approfittando del calcio come linguaggio mondiale, la casa editrice Il Saggiatore ha saggiamente rispedito in libreria, in una veste rifatta e arricchita di nuovi reportage, un bellissimo libro la cui prima edizione risale al 2008. Allora si intitolava Seguire i papagalli fino alla fine. Voci di Rio de Janeiro, oggi è Tristezza per favore vai via. Storie brasiliane.

 

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L’autore, Alberto Riva, pratica sia la scrittura romanzesca sia quella giornalistica e con questo ritratto mai superficiale del Brasile ci offre un esempio di quel genere ibrido che circola sotto l’etichetta di nonfictional novel o giornalismo narrativo, da non incartarci la frutta il giorno dopo, perché capace di reggere l’onore e l’onere della rilegatura in volume, da conservare e riaprire come una piccola enciclopedia di storie pronte a saltar fuori dalla pagina e invadervi la casa. Un’enciclopedia di Pandora, insomma.

Tristezza… ha un suo baricentro geografico che il primo sottotitolo dichiarava apertamente: Rio de Janeiro. Qui passano e si incrociano tutte le storie in esso frullate. Vi si narra l’architettura antigravitazionale di Oscar Niemeyer e la poesia di Vinícius de Moraes, il poeta diplomatico che, quasi come un fiorentino del ‘500, vedeva l’antico mito di Orfeo rinascere nei balli dei neri della favela e ne estrapolava un nuovo stile di “recitar cantando”, magari spalmato sullo swing di Tom Jobim, che intanto al pianoforte reinventava il samba negli appartamenti di Ipanema e Leblon come Chopin aveva riscritto il folclore polacco per i salotti parigini; c’è poi la storia brasiliana vecchia e recente, fra la rabbia degli schiavi atavicamente in rivolta e la parabola di un dittatore populista ed enigmatico come Getúlio Vargas, la cui biografia sembra un capitolo stralciato da Cent’anni di solitudine; e naturalmente c’è il carnevale più famoso al mondo, che in fondo altro non è che una sfilata di storie, un enredo (cioè trama, plot, ma anche semplice canovaccio da comici dell’arte) che dà appunto origine al samba-enredo, il tormentone musicale che accompagna i carri allegorici fin dentro il sambodromo, quasi una processione religiosa al rovescio (o non sarebbe carnascialesca).

Non poteva mancare ovviamente il futebol, trattato per quello che malgrado tutto ancora rappresenta: uno dei pochi serbatoi di memoria autenticamente collettiva e (inter)nazional-popolare; con la saudade – sentimento banale come una bella canzone – sempre pronta a colpirci a gamba tesa per una forma di sport che forse non esiste più.

Riemerge da testimonianze come quella raccolta in uno dei brani aggiunti in questa nuova edizione, quando il fotografo Luiz Carlos Barreto parla dell’ala destra Garrincha che un giorno, contro la Fiorentina, dribblò tutta la difesa, dribblò il portiere, lo fece cadere e aspettò che si rialzasse per dribblarlo ancora, prima di entrare in rete con la palla al piede. Un calcio poco finalistico, ossia più concentrato sul piacere autoerotico del palleggio che sul goal, anglicismo che – ce lo dimentichiamo spesso – significa meta, traguardo, obiettivo, quindi anche crescita, ricchezza, surplus, Pil… Chissà cosa ne pensa oggi Neymar, che gioca in una nazionale dei Brics allenata da un signore, Luiz Felipão Scolari, che la magistratura portoghese sta indagando per una fuga dal fisco da sette milioni di euro.

 

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