Famiglie erranti

La città di Milano, capitale di una “società dello spettacolo” immersa nel corrosivo leitmotiv di un’endemica corruzione, è divenuta da diversi mesi luogo di transito dei profughi siriani. Una vicenda dai connotati suggestivi, per la eccezionalità del processo migratorio sotteso, oltre che per un’inedita prospettiva di fuga verso possibili mete per una comune salvezza.

di Simona Chiapparo e Alessandro Ingaria

@simonachiappar2 – @aleingaria

 

20 giugno 2014 – Un continuo arrivo nella stazione ferroviaria di Milano Centrale. Sono siriani: padri e madri che hanno conquistato un ulteriore nodo di transito verso una meta finale di salvezza; bambini che, prematuramente, apprendono l’arte della resistenza. Sono storie di esseri umani che affrontano la prova di sciogliere il legame con le proprie radici, in nome del legame primario con la propria vita. Storie antiche come quelle narrate nell’Antico Testamento, in cui la condizione dello sradicamento assume il valore di una scelta esistenziale per un’umanità primaria che l’uomo contemporaneo occidentale sembra aver smarrito.

Da diversi mesi la rappresentazione mediatica racconta di questi profughi, i cui corpi si concentrano periodicamente, fino ad esplodere a volte, negli spazi della stazione, per poi essere trasferiti nei centri di accoglienza. Corpi che spesso turbano gli spettatori urbani locali, così come i cittadini diffusi delle comunità digitali, per l’evidenza carnale, palese, del disagio e della sofferenza provocate dai lunghi e difficili viaggi che hanno finora compiuto. “(…) la carne non è oscena, ma ci vuole molta poesia per raccontarla (…)” scriveva Roland Barthes. La poesia sembra riecheggiare nelle parole dei responsabili di Fondazione Albero della Vita, mentre ripercorrono le tappe del processo che li ha condotti al progetto di sostegno psicosociale ai profughi siriani di transito a Milano.

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foto Germana Lavagna

 

Ottobre 2013: alcuni siriani fanno la loro comparsa nella stazione centrale. Ivano Abbruzzi, presidente di Fondazione L’Albero della Vita (FADV) e i suoi collaboratori Francesco Salvatore e Andrea Crivelli, intuiscono che non si tratta di un fenomeno episodico e marginale. Un articolo, pubblicato sulla stampa nazionale in quegli stessi giorni, evidenzia una presa di posizione del governo austriaco circa il respingimento di cittadini siriani.

L’equipe di FADV si allerta e promuove, insieme ad altre organizzazioni, tra cui Fondazione Progetto ARCA, CAIM (Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano) ed altri, la creazione di un primo luogo di accoglienza informale presso gli spazi della Stazione Centrale di Milano. L’Austria blocca definitivamente gli ingressi: inizia la “prima parte visiva” dell’emergenza. Il Comune di Milano decide di intervenire: vengono stilati accordi con la Prefettura e si individuano spazi da adibire all’accoglienza temporanea. FADV si sposta all’interno del Centro di Via Aldini, gestito da Fondazione Progetto ARCA e, presso questi spazi, comincia a definire un complesso programma di interventi dedicati elettivamente ai bambini.

 

Operatori

 

Novembre/Dicembre 2013: gli arrivi di intere famiglie siriane sono quotidiani e cospicui e collegano come un invisibile ma tenace filo rosso gli sbarchi in Sicilia (spesso bypassando i siti  a rischio di identificazione, come Lampedusa e Ragusa) con la Stazione Centrale a Milano, punto nevralgico del loro ultimo, insperato spostamento verso le nuove vie di fuga, prima di tutto la Svezia. Si attiva una rete informale di italiani solidali, con il supporto dell’organizzazione dei giovani musulmani.

E’ pieno inverno: subentra la necessità di accogliere i senza fissa dimora presso il Centro di Via Aldini, l’equipe di FADV sposta le sue attività a sostegno dei minori siriani nell’ex complesso scolastico di Via F.lli Zoia, in accordo con la Cooperativa Farsi Prossimo che ne gestisce i locali. Nonostante la palese assenza del governo centrale, la prima fase dell’accoglienza ai profughi siriani prosegue con requisiti di eccezionalità rispetto al resto d’Europa, come sottolineano gli operatori di FADV e di ARCA. Febbraio 2014: il flusso di siriani sembra scemare, il Centro di Via F.lli Zoia viene chiuso per l’insofferenza degli abitanti del quartiere: tutto sembrerebbe far prevedere la fine dell’emergenza. Ma non è così, con l’inizio della primavera riprendono gli sbarchi in Sicilia.

 

Bambini alla porta

 

1 Maggio 2014: in un solo giorno si registrano 400  nuovi arrivi a Milano. “Il trucco per andare avanti è non pensare che la situazione stia migliorando” commenta Anna Pasotti, una delle operatrici. L’equipe di FADV non si arrende e rafforza le sue azioni di sostegno psico-sociale ai minori siriani e alle loro famiglie, sia presso il Centro di Lampugnano, gestito dalla Cooperativa Farsi Prossimo, sia presso il Centro di Via Aldini che, di nuovo, riprende ad ospitare i profughi. Nel Centro di Via Aldini s’incontrano famiglie, per lo più siriane, insieme a diversi palestinesi, provenienti dai campi profughi siriani. Si fermano per qualche tempo a Milano, dopo aver oltrepassato il Libano, l’Egitto o la Libia, dopo aver oltrepassato il mare fino all’Italia. Dopo esser sopravvissuti ad esperienze di violenza fisica ed emotiva.

“Bambini” è la prima parola di italiano che i piccoli siriani imparano. Non sanno cosa bene cosa significhi, ma capiscono che è una parola rassicurante che portano con sé dal primo approdo sulle coste italiane. In questa parola di accoglienza primaria, l’equipe di FADV in sinergia con gli operatori di ARCA, crea un tempo e uno spazio diverso per i piccoli siriani, allestendo presso i Centri in cui opera, laboratori di rianimazione socio-affettiva. I piccoli siriani e le loro famiglie riconoscono il calore di questa accoglienza e possono concedersi una pausa, da pochi giorni a qualche mese, in vista del prossimo ed incerto viaggio. Supportati dalla collaborazione dell’Unità di Ricerca sulla Resilienza del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, l’equipe di FADV intraprende un intervento innovativo di rigenerazione psico-emotiva a sostegno dei minori siriani.

 

Progetto bambini Siriani - Milano - operatore

Foto archivio Fondazione L’Albero della Vita

Le attività mirano a ricreare momenti di vitale quotidianità fatta di occasioni ludiche, ma anche di regole così che i bambini possano “esercitare il loro diritto fondamentale al gioco e alla socializzazione, garantendo la possibilità di essere ascoltati e considerati importanti in quanto individui, con proprie idee e necessità”, spiega Ivano Abbruzzi, presidente di FADV. Un luogo simbolico in cui riappropriarsi della propria continuità psico-corporea, affinché i traumi intercorsi non taglino, con cesure e falle, la tessitura del loro tempo psichico interiore. I piccoli siriani, grazie alle attività dei laboratori che aspettano con trepidazione, scoprono le storie dei bambini che li hanno preceduti nel Centro. Una scoperta che consente loro di sentirsi ancora vivi, nonostante tutto; di scoprirsi in contatto con gli altri bambini che si sono messi in cammino prima di loro.

Il dono che questi “bambini della mezzanotte” concedono ai volontari e agli operatori è in grado di superare qualsiasi difficoltà. FADV svolge a titolo gratuito queste azioni: evenienza non comune tra gli Enti del Terzo Settore dediti all’assistenza di rifugiati e migranti. Il sostegno psico-sociale ai bambini e alle famiglie siriane in transito è significativo per la capacità di innescare una risposta nel tessuto sociale milanese che, al di là dei facili stereotipi e di comprensibili, localizzate insofferenze, si è realmente attivato. Dall’inizio dell’emergenza, la raccolta di aiuti da parte dei cittadini milanesi per i profughi siriani non si è mai interrotta. E, tra i quindici volontari attualmente attivi presso i Centri di accoglienza, tre sono giovani madri affidatarie che, con lucidità, hanno deciso di offrire il proprio aiuto, in quanto “hanno percepito che l’emergenza siriana è una difficoltà di famiglie”.

Forse sopravvive un’invisibile, monadica civiltà dell’empatia che non attende la sia pur urgente revisione di strumenti legislativi, quali Frontex o il Trattato di Dublino e sceglie di assumersi una propria parte di responsabilità verso la specie umana cui appartiene.

13 Giugno 2014: nel giorno in cui visitiamo il laboratorio di FADV, il Centro di Via Aldini ospita 500 profughi siriani. Vorremmo continuare a parlare con gli operatori e con i volontari. Soprattutto vorremmo continuare a scambiarci sguardi con i bambini siriani che, insieme alle proprie famiglie, sono riusciti a mettersi in salvo dalla guerra inasprita a livelli talmente inauditi da produrre una massiccia rimozione difensiva da parte di gran parte dell’opinione pubblica occidentale.

 

ingresso via aldini

 

Arriviamo al piano ammezzato della Stazione di Milano Centrale, individuiamo il punto di raccordo guidato dai volontari, dalle associazioni coinvolte e dal Comune. Ci voltiamo, quasi chiamati da voci silenziose. Alle nostre spalle, famiglie e bambini. Soprattutto bambini, di varia età. Alcuni giocano, persi in uno sguardo di sospensione. Molti sono stanchi, insofferenti. Alcuni piangono, confusi. Arriva una famiglia: una giovane minuta madre, due sorelle quasi gemelle con lunga coda di capelli legati a lato, e un padre. Un padre giovane, alto, dal corpo atletico, con qualche tatuaggio e uno sguardo di estrema fierezza e risoluzione. Tiene in braccio un neonato avvolto in una copertina. È un contrasto enorme: la forza che esprimono quelle braccia e la delicatezza con cui sorreggono il neonato.

 La famiglia si guarda intorno smarrita; il giovane coraggioso padre conduce la famiglia verso una banchina su cui sedersi. Le due sorelle gemelle si concedono un attimo di distrazione, mimano un motivo di danza appena accennato, ondeggiano con le loro code di capelli come le donne nell’acqua di Klimt. La madre ora sorregge il neonato e il suo sguardo diventa più tenero. Il giovane padre si muove con decisione, scambiando parole con gli altri profughi; torna a monitorare la sua famiglia, prova a telefonare. L’esodo dei profughi siriani è un esodo di famiglie, un esodo di bambini, un esodo di padri. Uomini che guidano con determinazione i propri figli, anche se tutto è incerto e permane incerto anche dopo una lunga traversata in mare. Esseri umani che hanno deciso di scommettere quanto di più importante posseggono: la vita.

 

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foto Germana Lavagna

Siamo di fronte a loro, ma potremmo essere parte di loro, parte di questo esodo. Il confine che separa le nostre vite da quelle dei profughi siriani è sottilissimo, forse più sottile dei pochi metri che ci autorizzano a sentirci spettatori incapaci e impotenti. Quella distanza minima che genera paura in chi si ostina a sentire estraneo tutto questo, assumendo difensive posizioni xenofobe verso gli stranieri, pur non di ammettere con se stessi che questo esodo di famiglie non può che riguardare tutti noi, esuli nelle nostre piccole vite quotidiane, migranti in un mondo ostile e caotico che non ci accoglie, che lascia scivolare via le nostre storie, i nostri vissuti, rigurgitandoci senza sosta in un transito perpetuo in cui consumiamo ogni cosa che possa definirci umani.

Il progetto di accoglienza ai profughi siriani in transito a Milano è coordinato dal Comune di Milano e gestito da Fondazione Progetto Arca e Cooperativa Farsi Prossimo. Le attività a sostegno dei minori sono realizzate da Fondazione L’Albero della Vita

L’articolo è stato realizzato nell’ambito di “New Worlds”, progetto multidisciplinare di racconto delle migrazioni a cura di  Centro Studi Ksenia e Geronimo Carbonò.

 

 

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