“No Borders Train” sfida la Fortezza Europa

Attivisti e migranti su un treno partito ieri da Milano con destinazione Svizzera, per denunciare le contraddizioni, le ipocrisie e i limiti dell’accoglienza europea

di Lorenzo Bagnoli

@Lorenzo_Bagnoli

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23 giugno 2014 – “La nostra Europa non ha confini”. Lo scrivono sui manifesti, lo gridano tra i binari della stazione Centrale. Sono i circa 200 attivisti del “No Borders Train” che provengono da tutta l’Italia del nord, da Trento fino ad Ancona, da Milano fino a Venezia. Tutte realtà che hanno partecipato, più o meno a distanza, alla Carta di Lampedusa, l’altro codice dei diritti dei migranti, quello nato dal basso e che vuole andare oltre contraddizioni e limiti dell’accoglienza all’europea. “Vogliamo denunciare le ipocrisie delle frontiere interne dell’Europa, che ha i confini solo per i migranti. E se paghi un trafficante duemila euro per passare in macchina, buchi le frontiere senza problemi”, spiega Nicola Grigion, di Melting Pot Europa, un progetto che dal 1996 racconta l’immigrazione e l’asilo in Italia e che è stato tra i principali promotori dell’evento. Così hanno deciso di prendere un treno, il treno senza confini, per raggiungere la Svizzera. Il convoglio scelto è il regionale che parte alle 16.10, che fa capolinea a Bellinzona.

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La Svizzera, secondo i dati Eurostat 2013, ha respinto 10.205 su 16.595 richieste di asilo politico.

“La Svizzera è un confine europeo particolare, sia interno che esterno all’Unione – prosegue Grigion – In più, a febbraio c’è stato un referendum per limitare gli ingressi non solo dei rifugiati e dei richiedenti asilo ma anche dei frontalieri, in particolare italiani. Tra attivisti e migranti in questo caso non ci sono differenze”. Non è una meta usuale per i migranti che lasciano Milano. Anzi, il confine elvetico è stato scelto proprio per non bruciare altre rotte a chi punta a Germania e Svezia.

Insieme agli attivisti, al binario, ci sono una cinquantina di immigrati: ghanesi, senegalesi, nigeriani, somali, eritrei, soprattutto. Nessuno dei circa 400 siriani che hanno dormito la notte prima nei nove centri di accoglienza di Milano. Hanno troppa paura di essere fotosegnalati alla frontiera, per partire.

Un’assenza che pesa: l’Europa ha messo a nudo tutte le sue contraddizioni soprattutto sotto la pressione dei due milioni e mezzo di siriani che hanno raggiunto l’Unione. Ma sono quelli che hanno qualche chance per poter ricominciare fuori dall’Italia e che quindi preferiscono scegliere vie più sicure, come l’attraversamento in macchina, con i passeur.

Chi sale sul treno è in Italia già da anni. Ha già avuto completato il percorso di accoglienza qui e fatica ad inserirsi nel mondo del lavoro. Come Albert. Due occhi grandi e rossi. Stanchi. Ghanese, è arrivato in Italia nel 2011, con l’Emergenza Nord Africa. È stato accolto dalla Caritas di Padova, che dopo tre anni però non ha potuto più tenere tutti i migranti che sono arrivati con l’emergenza. Non ha permesso di soggiorno: non è mai riuscito a trovare un lavoro, nonostante i corsi per diventare operaio specializzato. “Sono costretto a spostarmi altrove, spero di poter trovare una buona soluzione da altre parti”, racconta. La famiglia aspetta le sue rimesse. Charity ha un figlio di 18 anni in Nigeria, dove è nato. Non lo vede da quando di anni ne aveva 10. È dal 2002 che le sue impronte digitali circolano nei database dei “clandestini” approdati nella Fortezza Europa. La prima volta passa da Ceuta e Melilla, la seconda arriva in aereo in Olanda, la terza a Lampedusa, via mare. Era il 2011: “Sono stanco. Per me il problema non è nemmeno il lavoro. Ho bisogno dei documenti, voglio tornare in Nigeria”, racconta. Ha fatto a Roma domanda di asilo politico e da nove mesi attende una risposta.

Difficile poter scrivere un lieto fine alla sua storia: quand’era in Spagna è stato fermato dalla Guardia civil per possesso di droga. Ha scontato qualche mese di carcere e il precedente rende impossibile una pratica d’asilo. Nella sua stessa situazione sono la maggior parte dei migranti. Solo un gruppo di una decina di somali potrebbe avere qualche opportunità. Ma più importante della carta è la denuncia dell’ipocrisia europea, insistono gli organizzatori.

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Alle 17.30 alla pensilina di Chiasso, ci sono gli uomini delle Guardie di frontiera, insieme alla Polizia comunale e cantonale ad attendere il “No Borders Train”. I legali di Melting Pot trattano con i gendarmi all’ufficio immigrazione. Vogliono che le autorità svizzere accettino la volontà di tutti di chiedere asilo politico. Una richiesta simbolica, che solo in tre casi si trasformerà nell’avvio concreto di una pratica. Altro limite della protesta: il superamento della frontiera, al di là del simbolo, significa effettivamente una possibilità di ricominciare per sole tre persone. L’autorità di frontiera accoglie la richiesta e il gruppo si dirige al Centro di registrazione e procedura di Chiasso, dove si rilascia la domanda d’asilo.

“Ci stiamo comportando come sempre accade, non c’è nulla di straordinario. Delle 900 persone che abbiamo fermato alla frontiera nell’ultimo mese, in 850 hanno deciso di fare domanda”, spiega Davide Bassi, portavoce del Corpo guardie di confine della Regione IV. Per altro, le tre domande non sono nulla a confronto delle 61 (dato in media al mese di maggio-giugno) arrivate il giorno prima all’Ufficio immigrazione della frontiera, come scrive anche il sito della Radio svizzera italiana.

Al centro di accoglienza, i manifestanti parlano con i richiedenti che stanno oltre le recinzioni. “Nessun problema”, dicono. Sono lì da 20 giorni, dopo essere passati dall’Italia. In tutto ci resteranno 90 giorni, tempo necessario per la pratica d’asilo. Gli ospiti “sono liberi di andare in giro durante il giorno, hanno un regolamento interno da rispettare”, conclude Bassi. La partita Svizzera-movimenti si chiude con un pareggio: le autorità elvetiche ne escono con eleganza, gli attivisti portano a casa l’attenzione dei media locali e tre domande depositate. Ma il match clou è quello che si gioca a Bruxelles il prossimo il 26 e 27 giugno, quando il Consiglio europeo si riunisce anche per parlare di frontiere interne e di operazioni per la sicurezza dei confini. Ci sarà anche la refugee march protest, un gruppo di manifestanti europei a cui appartiene anche il “No Borders Train”. E per quella partita i bookmakers danno ancora una schiacciante vittoria della Fortezza Europa.

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