Libia al voto, verso una nuova legittimità

Sono le seconde elezioni politiche dalla caduta di Muammar Gheddafi. Ecco i candidati e i possibili scenari in un paese che oggi pretende una transizione democratica

 

di Alice Alunni, Ispionline

 

Il contesto politico

26 giugno 2014 – Le ultime elezioni politiche in Libia, svoltesi il 25 giugno 2014, s’inseriscono in un quadro politico sempre più polarizzato che, semplificando, vede contrapposte forze politiche e milizie islamiste e non-islamiste.

In un contesto di crescente malcontento popolare, infatti, il parlamento uscente – dominato dall’ala islamista nonostante il magro risultato elettorale del 2012 – e le milizie islamiste nell’est del paese, sono diventati oggetto di pressioni politiche e attacchi armati culminati lo scorso 16 maggio nell’Operazione Dignità guidata dal generale Khalifa Haftar contro le basi militari di due milizie islamiste a Bengasi, e seguita, due giorni dopo, da un attacco armato delle milizie di Zintan contro la sede del parlamento a Tripoli.

La legittimità del parlamento di transizione, eletto nel luglio del 2012, era in discussione dallo scorso 7 febbraio 2014 quando secondo molti, in base alla dichiarazione costituzionale dell’agosto 2011, il parlamento avrebbe dovuto recedere dall’incarico. Al contrario, quest’ultimo sembrava determinato a mantenere il suo ruolo e a rafforzare il controllo sul paese attraverso la discussa nomina – poi dichiarata in violazione della dichiarazione costituzionale dalla Corte Suprema – di un nuovo governo presieduto da Ahmed Meitig, business man originario di Misrata considerato un rappresentante dell’ala islamista in parlamento. Inoltre, i protratti conflitti interni all’organo legislativo, risoltisi in un sostanziale immobilismo, non erano certo serviti a placare la disaffezione del pubblico che in un susseguirsi di manifestazioni di piazza, a fine maggio 2014, sembrava per lo più appoggiare le operazioni armate contro le milizie nell’est e contro lo stesso parlamento.

La crociata di Khalifa Haftar contro gli islamisti, partita nell’est del paese e che lo stesso generale ha promesso di portare avanti anche a sud e a ovest, sembra aver raccolto notevole consenso politico dalle forze messe al bando dalla legge sull’isolamento politico (approvata nel maggio del 2013) tra cui membri dell’Alleanza delle Forze Nazionali (guidata da Mahmoud Jibril, uno dei grandi esclusi), diverse unità dell’esercito e della sicurezza, e alcuni leader delle milizie di Zintan.

Lo stesso Jibril ha dichiarato dalla sua pagina facebook il 22 giugno: «L’esercito si è sollevato per difendere la sua dignità e tutti noi dobbiamo offrire il nostro supporto all’esercito fino a quando non trionferà nella sua battaglia santa». Queste stesse forze politiche e armate, rinvigorite dal successo dell’azione militare e dal grande sostegno pubblico, sembrano in questa fase poco propense al dialogo nonostante le pressioni esercitate dalla comunità internazionale. Quest’ultima tuttavia aveva in precedenza invitato a risolvere lo stallo in parlamento per mezzo di nuove elezioni. Sotto il peso di tali pressioni politiche e attacchi armati, il parlamento ha così indetto nuove elezioni politiche.

I numeri

Analizzare i dati elettorali di un paese che si è da poco avviato verso una transizione democratica significa interpretarli alla luce del contesto generale. Il numero di votanti registrati per le elezioni arrivava a 1,5 milioni di cui 1,1 si era iscritto per eleggere l’Assemblea Costituente il 20 febbraio 2014, gli altri 400.000 lo hanno fatto solo a un mese dal voto. Confrontare questo dato con quello del 2012, quando formalmente 2,8 milioni di elettori risultavano registrati, è di per sé ingannevole.
Infatti, il dato numerico del 2012 è stato il frutto delle limitate capacità amministrative della Commissione Elettorale Nazionale e di un conseguente diffuso fenomeno di doppia registrazione (manuale) che dovrebbe indurci a leggere con cautela il dato numerico e a considerarlo gonfiato. Questo anche alla luce del numero dei votanti effettivi (1.7 milioni). Che al primo appuntamento elettorale, quando l’entusiasmo della popolazione è tra i più alti, si verifichi una discrepanza tra elettori registrati e votanti superiore al milione è un fenomeno raro. Anche il numero degli aventi diritto al voto, indicato per le elezioni del 2012 in 3,5 milioni, è in realtà in questa fase di transizione e in assenza di un serio censimento della popolazione difficile da quantificare.
Pertanto, volendo scegliere un numero di riferimento, questo dovrebbe essere quello di coloro che hanno votato nel 2012 (1,7 milioni) che si avvicina a quello degli elettori registrati per l’ultima tornata elettorale (1,5 milioni). Questo ci porta a concludere che la popolazione libica non ha perso del tutto l’interesse per la transizione e, nonostante la frustrazione accumulata nei primi due anni della nuova esperienza democratica, mostra ancora la volontà di esprimere il proprio voto.

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La legge elettorale del 2014

La leggere elettorale con la quale i cittadini libici si accingono a votare, è stata modificata rispetto a quella delle elezioni politiche del 2012 quando 80 dei 200 seggi parlamentari erano riservati a candidati rappresentanti di coalizioni e partiti politici e i restanti 120 seggi erano da attribuirsi secondo un sistema maggioritario a candidati indipendenti.

Con la presente legge elettorale 168 dei 200 seggi sono destinati a candidati indipendenti seguendo il sistema maggioritario. Differentemente dalla precedente tornata elettorale in Libia in cui si era richiesto ai partiti politici di presentare liste chiuse che alternassero un candidato di sesso maschile e uno di sesso femminile, sia orizzontalmente che verticalmente e che aveva visto le donne conquistare 32 seggi degli 80 assegnati ai partiti politici, questa volta è stata prevista una quota rosa che riserva alle donne 32 seggi.

Inoltre il requisito del diploma di laurea è stato imposto in questa competizione elettorale a differenza della precedente quando era richiesta la sola prova di alfabetismo. Il principale cambiamento degno di nota della legge elettorale è quello della distribuzione di seggi che avverrà su base del tutto indipendente e non sulla base dell’appartenenza a un partito o a una coalizione politica. Questo cambiamento si spiega alla luce di due fattori chiave. Primo fra tutti l’accanita retorica anti-partitica del regime di Muammar Gheddafi, che per 42 anni aveva bandito i partiti politici, e la conseguente mancanza di familiarità della popolazione con il concetto di partito. Oggi, il cittadino medio libico nutre forti sospetti e paranoie verso quelle entità politiche emerse nella Libia del dopo Gheddafi.
In secondo luogo, va ricordato che, a oggi, l’unico partito che ha dimostrato di saper mantenere un certo livello di coesione su scala nazionale è stato il partito Giustizia e Costruzione che rappresenta le istanze dei Fratelli musulmani in Libia. Ciò a differenza dell’Alleanza delle Forze Nazionali che, impostasi come prima forza politica nella tornata elettorale del 2012, si è poi frammentata fino a perdere il gioco politico all’interno del General National Congress dove la componente di matrice Islamista è riuscita a prevalere.
Una legge elettorale che affievolisce il principio di appartenenza politica sembra pertanto fatta su misura per indebolire i primi e rafforzare i secondi. Ciò rischia tuttavia di creare nuovi e vecchi problemi al parlamento che sarà eletto. Infatti, in questa fase tale scelta rende difficile identificare valori e progetti politici dei singoli candidati, e anche immaginare come questi valori e progetti potrebbero ricomporsi nel nuovo parlamento quanto mai bisognoso di consistenza politica e coesione per cercare di evitare il malfunzionamento precedente. Nella scorsa legislazione la mancanza di una chiara divisione di ruoli e poteri tra esecutivo e legislativo è stato uno dei problemi principali nella relazione tra governo e parlamento. A oggi questa difficoltà resta irrisolta e rischia di creare un nuovo stallo e uno scenario simile a quello della vecchia legislazione.

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Sicurezza e minoranze etniche

Nei seggi elettorali installati in tutta la Libia, salvo nella città di Derna (nell’est del paese) dove il gruppo salafita-jihadista libico Ansar al-Sharia ha imposto il proprio controllo nei mesi scorsi, è difficile prevedere se i problemi verificatisi per l’elezione dell’Assemblea Costitutente si riproporranno. A febbraio, infatti, non solo a Derna ma anche a Kufra e a Murzuq (nel sud del paese) fu impossibile votare a seguito del boicotaggio della minoranza Tabu.

Le minoranze Tabu e Tuareg, il cui numero è stimato intorno alle 20.000 persone, non possiedono un documento d’identità che permetta loro di poter votare. Anche il boicottaggio della comunità Amazigh continua dalla precedente tornata elettorale. A Zuara e Jadu i seggi non saranno contestati. Questa volta, tuttavia, anche Bengasi potrebbe essere a rischio. Anche se il generale Haftar ha dichiarato di supportare il processo politico, la mancanza di coordinazione nazionale sul piano della sicurezza rende difficile fare previsioni sulla sicurezza che il governo e le milizie riusciranno a garantire durante il prossimo appuntamento elettorale in quest’area del paese.

Volendo tirare le somme, rispetto alla competizione del 2012, il contesto elettorale di oggi appare più serio. Anche il quadro politico sta maturando così come la cultura politica dei cittadini libici, sebbene con la maggiore consapevolezza del processo politico cresca il sospetto di possibili brogli elettorali e la disaffezione per il sistema. Tutto ciò, tuttavia, rientra in un normale processo di transizione democratica.
I candidati che emergeranno vincitori da queste elezioni dovranno dimostrarsi capaci di avviare un dialogo politico non solo all’interno del parlamento ma anche con le forze al di fuori di esso, le milizie che principalmente continuano a mettere a repentaglio questa trasformazione. Un governo di unità nazionale, l’apertura di un dialogo politico e nazionale tra le forze in campo sono componenti necessari per rilanciare il processo di transizione democratica ed evitare gli scenari nefasti di guerra civile e dei conflitti somalo, afghano e iracheno che alcuni commentatori continuano a presagire per la Libia del dopo Gheddafi.

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