La vittoria dell’Italia

Erano rimasti di sasso. Con gli occhi socchiusi e i due bicchieri sospesi a metà strada tra il tavolo e le labbra ancora umide di vino. La voce di Pavarotti, lontana, soffocata in una scatola di legno

 “L’arte nel suo mistero,
le diverse bellezze insiem confonde”…


da Berlino Nicola Sessa
@NicolajSessa

 

27 giugno 2014 – È Recondita Armonia! I due tedeschi guardavano, estasiati, la fotografia del Canal Grande tratta da una versione deluxe de “Il Viaggio in Italia” di Goethe: «Es ist ein Traum», è un sogno. “Questo vino, questa voce. L’Italia”. L’oste seguiva distrattamente una partita di calcio, Uruguay contro Italia, e appoggiato al banco con la testa racchiusa tra le spalle guardava compiaciuto quella coppia così pittorica: grossa e rubiconda lei, con un vestito floreale; smilzo e pallido con una maglia da gondoliere a strisce bianche e blu, lui. Dissimulando una certa indolenza, decise di uscire dal recinto del bancone – che in verità assomigliava di più a una barchetta da naufrago assemblata con vecchie tavole dai colori mediterranei…

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Aveva deciso di abboccare all’amo dei due discreti tedeschi che a suo avviso – ne era convinto – provavano a catturare la sua attenzione per avviare una conversazione. «Vi piace il vino? È un Barbaresco del 2009, nebbiolo in purezza». Le gote del donnone arrossirono ancora un pizzico in più. La mano pienotta con le fattezze di una briosche, provava a portare al naso gli aromi pieni di quel vino che si era risvegliato dopo cinque anni di torpore: ventiquattro mesi in una grande botte di rovere di Slavonia, altrettanti nella bottiglia Albeisa. «È un miracolo», disse lei, con una bella pronuncia in italiano al netto della classica r arrotata. «Ma non volevamo disturbarla, sta guardando la partita?».

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«Ja… Nein… Veramente, no. E poi stiamo perdendo… manca poco. Il mondiale è finito», disse l’oste tra l’imbarazzo di essere stato scoperto mentre seguiva la partita, e il fastidio di dover ammettere – ma con nonchalance – la sconfitta calcistica.

«Mi posso sedere con voi?».

«Ja, gerne!».

«In realtà oggi l’Italia ha vinto qualcosa di molto più importante», disse l’oste avvicinandosi alla coppia e guardandosi intorno sospettoso come stesse per rivelare un prezioso segreto.

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«L’Unesco ha dichiarato il territorio delle Langhe-Roero-Monferrato, patrimonio culturale dell’umanità», disse con un ghigno di soddisfazione, abbandonando la schiena sulla spalliera di una vecchia sedia acquistata da uno svuotacantine libanese.

«Paesaggistico, vorrà dire, non culturale», provò a correggere il gondoliere pallido.

«No. Culturale. Vale a dire che anche il vino che state bevendo è patrimonio dell’Umanità. È patrimonio, la tradizione, ogni singola cantina che produce una bottiglia di Barolo o di Barbaresco, di Nebbiolo o di Barbera. È patrimonio dell’Umanità il grappolo pieno di vita, le mani dalle unghie nere che affondano nelle zolle della terra, le storie che si raccontano dietro ogni singola bottiglia, il sacrificio e l’amore. L’attesa, la pazienza, la speranza che una gelata di troppo al momento sbagliato non mandi in rovina un’annata. È patrimonio dell’Umanità quell’insieme di uomini e donne che sorvegliano guardinghi i filari di vite la loro laboriosa attenzione. È patrimonio la scelta sapiente dei legni, la testardaggine di uomini come Bartolo Mascarello che si sono opposti alla modernizzazione del Barolo, alla barrique e ai blend…».

«C’è una bottiglia meravigliosa di Barolo» – continuò l’oste – «di Bartolo Mascarello, per l’appunto, che nel 1994 – non una delle migliori annate, in verità – ne disegnò personalmente l’etichetta: si chiamava “No B – No Barrique, No Berlusconi”…».

I tedeschi scoppiarono in una risata fragorosa… «Che meraviglia che siete, voi italiani…Si capisce da queste cose, che alla lunga vi rialzerete sempre, anche dopo una cocente sconfitta».

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