Le armi di Assad in Italia

Domani il trasbordo dell’arsenale chimico siriano nel porto di Gioia Tauro. Le preoccupazioni della comunità locale e il silenzio dei responsabili sull’intera operazione

 

di Antonio Marafioti
@AMarafioti

 

1 luglio 2014 – Tra poco meno di ventiquattrore il porto di Gioia Tauro ospiterà una delle più importanti operazioni militari in territorio italiano degli ultimi anni: il trasbordo di un carico di sostanze chimiche siriane dalla nave danese Ark Futura alla porta container della Ready Reserve Force statunitense, Cape Ray. L’Opac, Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha da giorni reso noto le proporzioni del contenuto dei sessanta container provenienti dal porto siriano di Latakia, “560 tonnelate”, ma non ancora l’esatta natura delle sostanze che verranno caricate a bordo del vascello Usa per essere trasportate in acque internazionali dove si procederà alla loro distruzione mediante un processo di idrolisi.

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Ci si domanda, per la precisione, se lo scalo calabrese sia adeguatamente preparato a un’operazione di questa portata e se la popolazione di ben tre comuni, Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando, possa essere messa in totale sicurezza in caso di pericolo. Infine la terza incognita: ancora non è stato fatto sapere se le operazioni di trasbordo avverranno in acqua o su terra ferma.

Le risposte sono vaghe perché sulle tecniche che verranno impiegate per l’intervento vige il più stretto riserbo. Si sa che le porte d’accesso ai tre paesi costieri verranno blindate, così come lo spazio marittimo e quello aereo per un raggio d’azione di un chilometro e cento metri dal punto dei lavori.
Sarà questa la zona rossa alla quale avranno accesso solamente i trenta addetti del Medicenter container terminal che dovranno spostare il carico dal bastimento danese a quello statunitense. Vicino a loro Carabinieri, agenti di polizia, vigili del fuoco, esperti internazionali e una serie di operatori medici fra i quali quelli provenienti dalla Cina che ha inviato in Calabria dieci ambulanze attrezzate in caso di contagio chimico.

Al di qua del perimetro dei lavori, invece, sembrerebbe esserci ancora una certa confusione. A parte le dichiarazioni di circostanza dell’ammiraglio John Kirby, portavoce del Pentagono, che ha assicurato che «la neutralizzazione sarà condotta in modo sicuro e nel rispetto dell’ambiente. Nessun residuo di questa operazione verrà rilasciato in mare», l’unico dato certo comunicato nelle ultime ore dal Viminale è quello secondo cui i vigili del fuoco saranno dotati di un’apparecchiatura Sigis 2 per il rilevamento di gas pericolosi.

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Dal comune di San Ferdinando e dalla Protezione civile giungono informazioni contraddittorie che, se da una parte rassicurano sulla solidità dei piani d’emergenza, dall’altra rinviano al governo di Roma e alla comunità internazionale le responsabilità del caso.
Il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi, ha dichiarato in un’intervista telefonica che la città è pronta a «subire questa imposizione dall’alto e ad accettarla solo per obbedire a una logica di Stato». Una decisione, quella di permettere l’entrata dei container nel porto calabrese, che lo stesso primo cittadino giudica «irresponsabile». Sulla strategia di gestione di una possibile crisi Madafferi ha sostenuto: «Abbiamo lavorato insieme alla prefettura che si è fatta carico di preparare lo schema di pianificazione». Sul luogo, oltre le ambulanze, saranno adibite tende che ospiteranno camere di decontaminazione e un pronto soccorso. L’azienda sanitaria provinciale è mobilitata e, aggiunge l’amministratore, «dal punto di vista tecnico sono state prese tutte le misure possibili e immaginabili».
Certezza che sembra venire meno quando gli si chiede che cosa preveda il piano di evacuazione della zona in caso di pericolo. «Bisogna stare in casa, cercare di tappare le porte e le finestre e prendere le normali precauzioni», risponde Madafferi.

Una profilassi inutile se si pensa che a bordo della Ark Futura potrebbero esserci fusti di gas sarin, un potente agente nervino già usato dalle truppe di Bashar Al-Assad contro i ribelli nella guerra civile siriana, che contagia un essere umano per inalazione o contatto cutaneo.

Madafferi ribadisce che le strategie d’emergenza sono a disposizione, nero su bianco, di chiunque le voglia consultare e che i tre comuni hanno adeguato i piani di base della protezione civile agli effetti di eventuali contaminazioni da sostanze chimiche.
«Il sindaco parla del Coc (centro operativo comunale)», precisa Giuseppe Praticò, responsabile di una squadra di volontariato della protezione civile di San Ferdinando e Gioia Tauro. «Questi centri vengono attivati in tutte quelle circostanze critiche che prevedono un intervento sanitario in tempi rapidi. Questo caso, però, è inedito per noi e non sapremmo come comportarci in caso pericolo concreto».
Domani i lavoratori portuali non lavoreranno per tutto il tempo necessario alla chiusura delle operazioni e alla messa in sicurezza dell’area mentre, sostiene ancora Praticò, gli abitanti di San Ferdinando vicini al porto saranno invitati a spostarsi verso l’interno del paese. «Non è stato predisposto un piano d’evacuazione – racconta – perché non si conosce ancora la natura di questo materiale chimico che arriverà in porto. Sappiamo solamente che sono sostanze che viaggiano in contenitori B1 a tripla copertura. Se dovesse accadere qualcosa noi non siamo attrezzati. Penso all’ipotesi di ricoverare feriti in rianimazione: gli unici reparti in zona sono quello di Polistena, quello di Reggio Calabria e quello di Vibo Valentia che hanno pochi posti a disposizione».

Anche Praticò rivela dettagli non proprio rassicuranti riguardo al piano di sgombero: «È importante sottolineare che le misure di sicurezza sono state predisposte solo per gli addetti ai lavori, non sappiamo come comportarci se il pericolo dovesse coinvolgere la popolazione. Tuttavia ci hanno garantito che l’operazione non sarà fatta a terra, ma che il carico verrà trasbordato da nave a nave senza passare per la banchina».

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Smentisce Pino Romeo, esponente di SOS Mediterraneo, che da settimane porta avanti una battaglia contro l’intera missione. «Vorrei ricordare che il trasferimento del materiale avverrà a terra, più precisamente sulla banchina del porto che da quel momento diventerà un molo militarizzato. Non si tratta di un’operazione di pace, ma di un’azione legata a una vera e propria militarizzazione del Mediterraneo. Di questa operazione non si sa assolutamente nulla – ribadisce Romeo – non esiste un piano di evacuazione che coinvolga gli abitanti del luogo né delle istruzioni su ciò che dovrebbero fare in caso di pericolo. Tutto ciò testimonia un disinteresse totale nei confronti della popolazione e delle normative internazionali. Sto parlando della convenzione di Aarhus, un documento che garantisce la democrazia e il diritto alla trasparenza e alla partecipazione dei cittadini ai processi decisionali in materia ambientale. Il diritto all’autodeterminazione è messo sotto i piedi e fatto carta straccia».
I pericoli per Romeo sono contingenti e strutturali al contempo. La pericolosità del carico sarebbe, secondo lui, direttamente proporzionale alle carenze della sanità locale: «Se dovesse accadere qualcosa – continua – non ci sarà neanche il tempo di reazione. Se davvero quella nave trasportasse iprite, si tratterebbe di una sostanza che a contatto con la pelle porta a un contagio letale nel giro di poche ore. Le strutture ospedaliere locali, già carenti nel quotidiano, non sono attrezzate all’intervento in caso di emergenza NBCR (Nucleare, Biologico, Chimico, Radiologico). Nessun ospedale in Calabria è pronto a questa evenienza».

 

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