Draga mama

Dal 28 aprile i cittadini dell’ex repubblica sovietica della Moldova possono viaggiare nell’Unione europea senza il visto. “Una giornata storica e una vittoria per tutti”, ha detto il primo ministro Iurie Leanca. Con conseguenze anche per le molte “madri a distanza” che lavorano nel nostro Paese e per i loro figli, gli orfani sociali

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/07/10466779_580788015372016_2068133903_n.jpg[/author_image] [author_info]testo e foto di Federica Araco. Nata a Roma, nel 1980, è giornalista freelance e si occupa di temi sociali, culturali e ambientali e in particolare di dinamiche migratorie. Dal 2008 collabora con la rivista delle culture del Mediterraneo www.babelmed.net come redattrice della versione in lingua italiana, traduttrice dal francese e dall’inglese e giornalista. Come freelance ha realizzato il fotoreportage Azadi, libertà, sui richiedenti asilo e rifugiati politici curdi del centro socio-culturale autogestito Ararat di Roma, insieme a Laura Santopietro e Paolo Fumanti. Dragă Mamă, cara mamma, è il suo primo lavoro individuale. Si sta attualmente occupando del fenomeno dei bambini in carcere e delle mule, le “corriere della droga”, presso l’istituto penitenziario Rebibbia di Roma e della comunità sorda in Kenya in collaborazione con la fotografa Nicoletta Valdisteno. Ha collaborato e pubblicato presso: LiMes, Internazionale, Oltreillimes.net, The trip Magazine e LEFT. [/author_info] [/author]

5 luglio 2014 – Valentina ha piccoli occhi azzurri e curiosi, che si riempiono di gioia quando parla del suo Paese, la Moldova, e della verde campagna attorno a Chisinau dove ha lasciato tre figli ormai grandi e un marito, premuroso e molto solo. È arrivata a Roma nel 2003 su un pullman in transito per la Germania con in mano una piccola valigia e un contratto di lavoro per un’azienda tedesca.

Senza conoscere una parola di italiano, grazie al contatto avuto da una compaesana, ha cominciato a lavorare come badante per due anziani che la trattavano come una figlia. Ora fa la colf e abita in un appartamento nella periferia sud della Capitale: un lungo corridoio su cui si affacciano tutte le camere, un piccolo bagno e una cucina dove c’è sempre una pentola sul fuoco.

Vive insieme ad altre moldave, tutte “madri a distanza”, come lei. La storia di Valentina non è molto diversa da quella di Tatjana, Petra, Nadea, Olga e di centinaia di altre mamme e mogli provenienti dai Paesi dell’Est Europa. Lavoratrici instancabili, lontane dai propri cari, queste donne migranti vivono in mezzo a noi come figure invisibili e silenziose, piene d’amore e di nostalgia.

Secondo il Rapporto annuale sulla presenza degli immigrati 2013 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, quella moldava è al settimo posto tra le comunità straniere presenti in Italia. I dati aggiornati al primo gennaio 2013 registravano 150mila persone, prevalentemente donne (il 67 per cento) tra i 18 e i 49 anni. Fonti non ufficiali riferiscono che gli irregolari sarebbero circa 300mila. Il principale settore di attività per i lavoratori di origine moldava è quello dei servizi pubblici, sociali e alle persone, che assorbe il 47 per cento degli occupati.

 

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Rispetto agli altri Paesi dell’Europa centro orientale, l’incidenza delle donne nel flusso migratorio verso l’Italia è nettamente superiore, anche per via del contesto di impiego che richiede una manodopera perlopiù femminile. “Si tratta di una emigrazione molto anomala”, scrive Lazzaroni in La famiglia chiusa nel welfare nascosto. “Nascendo dal tracollo di uno Stato molto strutturato e investendo persone non più giovanissime, assume i caratteri, come loro stesse dicono, di un “esilio” (il termine più ricorrente nelle interviste e nei colloqui è comunque “sacrificio”)”.

Il dramma degli orfani sociali. L’aspetto più doloroso di questo sradicamento riguarda l’abbandono dei figli che, rimasti nel Paese di origine, sono affidati alle cure dei mariti, quando possibile, dei nonni o di altri membri della famiglia. Questi “children left behind” risentono fortemente della mancanza del supporto affettivo e della presenza delle loro madri. Secondo l’International Organization for Migration, Mission to Moldova (IOM), nel Paese il 62,6 per cento dei bambini vive senza uno o entrambi i genitori.

In totale, si stima che il fenomeno coinvolga 105.270 minori. Con una popolazione complessiva di appena 3,56 milioni di persone, queste statistiche evidenziano un contesto di grande disagio sociale e profonda disgregazione. Le conseguenze sono drammatiche: attualmente circa 500 minori vivono completamente abbandonati a loro stessi e sono sempre più frequenti i suicidi, specialmente tra gli adolescenti.

I dati diffusi dal governo moldavo riferiscono di 98 decessi e 311 tentativi di suicidio tra il 2008 e il 2013, e il fenomeno è in preoccupante aumento.

È frequente, inoltre, che giovani di 15-16 anni partano in pullman da soli, senza soldi né documenti, per cercare di raggiungere i loro parenti in Italia e spesso finiscono nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Nella maggior parte dei casi le vittime sono costrette a prostituirsi, molte subiscono violenza fisica o psicologica, sono portate ai lavori forzati o entrano in circuiti criminali.

Il collasso del sistema dei servizi sociali nelle ex repubbliche sovietiche ha lasciato un vuoto difficile da colmare e non sono molte le realtà in grado di intervenire in modo capillare per monitorare e arginare la situazione a livello nazionale. Nel 2008 l’IOM ha aperto in Moldova un centro che accoglie le vittime, reali o potenziali, della tratta.

La struttura ha una capienza di 24 posti, fornisce assistenza medica, giuridica, psicologica ed economica ai suoi utenti e offre corsi di formazione per il loro progressivo reinserimento nella società. “Si tratta in genere di persone molto fragili e vulnerabili che nell’80 per cento dei casi hanno subito violenze domestiche o sono in fuga da condizioni di forte disagio in famiglia”, spiega Alisa Harlamova (IOM). “Le categorie più a rischio sono le mamme single, i minori non accompagnati e gli orfani sociali, ma è in aumento anche il numero degli uomini sfruttati nei campi di lavoro in Russia, Turchia o negli Emirati Arabi. Ci sono poi gli enormi guadagni ottenuti forzando i disabili a chiedere le elemosina. Ogni anno salviamo dalla tratta circa 100 persone: 10mila negli ultimi dieci anni, di cui 3mila vittime effettive e circa 7mila potenziali”.

La Sindrome italiana

Molte donne dell’Est immigrate nel nostro Paese sviluppano una grave forma depressiva di origine sociale diagnosticata per la prima volta nel 2005 da due psichiatri ucraini, Kiselyov e Faifrynch, nota come “Sindrome italiana”.

Secondo i loro studi, sarebbero almeno due i fattori scatenanti: per la prolungata lontananza dai propri figli, le madri provano un profondo senso di colpa e, nello stesso tempo, vivono il disagio di essere in un contesto spesso ostile, dove difficilmente riescono a integrarsi. La maggior parte di loro è quasi sempre sola, chiusa nelle case dove presta servizio e non parla del proprio dolore, nascondendolo sia ai familiari rimasti in patria che al resto della comunità.

Il dottor Giuseppe Ducci, primario del reparto di psichiatria dell’ospedale San Filippo Neri di Roma, tra il 2011 e il 2013 ha ricoverato 74 persone provenienti dai Paesi dell’Est, su 170 casi di stranieri totali. In prevalenza donne romene, polacche, ucraine e moldave.

“In queste pazienti abbiamo riscontrato un quadro caratterizzato da una grave depressione con inibizione, blocco, rallentamento, tristezza vitale e sintomi psicotici, come per esempio fantasie di persecuzione. Le manifestazioni per le quali vengono ricoverati i maschi sono molto diverse, spesso riconducibili al consumo di alcool e di cocaina e con quadri psicotici piuttosto violenti”.

Questa specifica forma di depressione femminile, continua il primario, è l’unico disturbo mentale legato alla stagionalità. “Il periodo in cui i ricoveri sono più numerosi va da settembre a dicembre, in coincidenza con l’autunno, la diminuzione delle ore di luce e il ritorno dalle vacanze estive trascorse con i propri cari”. Far parte di una minoranza non integrata o scarsamente integrata è comunque un fattore di rischio per tutti i disturbi mentali, anche per quelli più gravi, spiega Ducci.

“Trovarsi in un contesto nuovo e diverso da un punto di vista culturale e linguistico può far emergere i sintomi di malattie psichiatriche importanti. Ma, in generale, le situazioni peggiori riguardano le persone che sono state precocemente istituzionalizzate nei Paesi di origine”.

“Occhi che non si vedono si dimenticano”

Tatiana Nogailic, mediatrice culturale e presidentessa dell’Associazione donne moldave in Italia, fondata nel 2004, sostiene che gli orfani sociali e le loro madri colte da depressione debbano innanzitutto ricostruire un legame affettivo di amore e comprensione. “La soluzione non può essere solo il ritorno”, spiega, “anche perché in pochi possono permetterselo. Il ricongiungimento familiare è certamente di aiuto ma la burocrazia è molto lenta e a volte i figli, dopo tanti anni di lontananza, faticano a ricostruire con le mamme un rapporto intimo. È indispensabile che entrambi imparino gradualmente ad affrontare e gestire le difficoltà relazionali e il dolore della distanza. Nello stesso tempo, è essenziale avviare processi di integrazione nei rispettivi Paesi di residenza”.

Per accogliere e supportare la comunità immigrata, la sua associazione ha pubblicato “Moldoveni în Italia”, una guida per l’orientamento dei nuovi arrivati che offre informazioni preziose su servizi di previdenza sociale, sanatorie, procedure per il ricongiungimento familiare, contatti e numeri utili.

Le donne moldave conoscono bene i loro doveri: accudire gli anziani, mandare a casa i risparmi, pensare ai figli, ma dimenticano spesso i loro diritti. Molti datori di lavoro, per esempio, si approfittano di loro non mettendole in regola con il contratto o pagando meno di quanto pattuito. Noi abbiamo scritto sulla guida, a chiare lettere, a chi rivolgersi per chiedere aiuto in questi casi. Passando la gran parte del tempo in casa è, infatti, facilissimo che queste persone perdano il contatto con la realtà. Alcune sono segregate giorno e notte nelle abitazioni di anziani malati e non hanno né una vita privata né una vita sociale. Restano per anni come sospese, senza legami con la società italiana né rapporti con la Moldova”.

Un capitolo della guida suggerisce come mantenere un filo diretto con il Paese di origine. “Molte lavoratrici dopo dieci anni tornano a casa e si ritrovano anziane e sole – continua la mediatrice – noi dobbiamo dare loro delle opportunità per tornare arricchite e non svuotate”.

In Italia da 12 anni, anche lei ha cominciato lavorando come badante. “Non ho visto mio figlio per due anni ed è stato molto doloroso conciliare il nostro rapporto”, racconta. “Quando tornai a prenderlo aveva nove anni. Ricordo ancora la prima notte in cui dormimmo insieme: lui tremava e si svegliava perché aveva paura che io me ne andassi”. Occhi che non si vedono si dimenticano, dice un vecchio proverbio moldavo, ed è proprio questo il pericolo più grande nel rapporto a distanza tra una madre e suo figlio: “quel legame creato prima della partenza rischia di rompersi”.

Grazie al nuovo passaporto biometrico in uso da fine aprile i cittadini moldavi d’ora in poi potranno entrare in Europa per tre mesi con il visto turistico. “Siamo convinti che le ‘madri a distanza’ beneficeranno di questa maggiore apertura e che il nuovo regime di visti sia un contributo alla diminuzione del fenomeno migratorio irregolare, non solo verso l’Italia”, spiega Antonio Polosa, Chief of Mission dell’IOM a Chisinau, che continua: “Gradualmente cambieranno le dinamiche tra i genitori emigrati e i figli rimasti in Moldova: viaggiando liberamente, si potranno gradualmente esercitare meglio le funzioni parentali e di assistenza materiale alla prole lontana. Nel medio e lungo termine è plausibile aspettarsi anche un incremento dei trasferimenti dei bambini in Italia (e in altri Paesi UE) nel quadro delle riunificazioni familiari che, con le dovute procedure e garanzie, è la scelta più opportuna per il minore”.

Tatiana Nogailic è più pessimista a riguardo: “Le madri avranno la possibilità di invitare i loro figli in Italia, ma chi era in regola e aveva un alloggio autonomo già poteva farlo”, commenta. “Ma le badanti che lavorano nelle case degli anziani? Quale datore di lavoro permetterebbe a una donna di ospitare il proprio bambino? Inoltre viaggiare costa e, con la crisi che ha colpito anche questo settore, non credo che in molte potranno permetterselo. Temo che cambierà ben poco per queste persone”.

1

Roma. Valentina nel giardino di una casa all’EUR. Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il principale settore di attività per i lavoratori di origine moldava è quello dei servizi pubblici, sociali e alle persone, che assorbe il 47 per cento degli occupati.

 

 

2

Roma. Foto di famiglia. I dati aggiornati al primo gennaio 2013 riportano 150mila immigrati di origine moldava nel Paese, prevalentemente donne (il 67 per cento) tra i 18 e i 49 anni. Secondo Chisinau, la diaspora moldava coinvolge complessivamente tra le 650mila e le 800mila persone.

 

 

 

3

Roma. Il non riconoscimento dei diplomi e delle qualifiche professionali ottenute nella Repubblica di Moldova dalle istituzioni dei Paesi di destinazione costringe molte donne ad accettare lavori inadeguati rispetto al proprio livello di istruzione.

 

 

 

4

Roma. Valentina parla via Skype con una delle sue figlie rimasta in Moldova. L’89,3 % delle “madri a distanza” usa il cellulare per comunicare con i propri cari e il 50,5% il computer, almeno una o due volte a settimana, riferisce un rapporto pubblicato dall’IOM.

 

 

 

5

Roma. Il ritorno a casa dopo una giornata di lavoro. Le donne migranti, sia quelle che tornano a vivere in Moldova che quelle residenti all’estero, contribuiscono in modo determinante allo sviluppo economico del Paese. Lo dimostrano i dati diffusi dal forum “Migrant women can contribute to the development of the Country” organizzato da UN Women, UNDP e IOM Mission in Moldova nel marzo 2014.

 

 

 

6

Draga mama, “cara mamma”. Una lettera-poesia ricevuta in occasione della festa della donna.

 

 

 

7

Roma. Nella cucina dell’appartamento del Laurentino 38, alla periferia Sud della Capitale, dove abitano sei donne moldave, tutte “madri a distanza”.

 

 

 

8

Roma. La camera da letto.

 

 

 

9

Roma, Valentina in un supermercato prepara “il pacco” da inviare a casa con generi alimentari e prodotti per la casa. Rispetto agli altri Paesi dell’Europa centro-orientale, l’incidenza delle donne nel flusso migratorio verso l’Italia è nettamente superiore, anche per via del contesto di impiego che richiede una manodopera perlopiù femminile. In pullman per il ritorno a casa durante le vacanze estive. “Con l’introduzione, il 28 Aprile scorso, del regime di visti facilitati verso i Paesi UE, riteniamo che i flussi migratori tra Moldova e Italia, così come verso il resto d’Europa, rimarranno sostanzialmente stabili nel medio-lungo termine. Indicazioni preliminari mostrano un incremento di richieste per passaporti biometrici, circa 2-4 mila al mese, tuttavia il monitoraggio recentemente effettuato dalla Polizia di Frontiera moldava mostra un aumento generalmente ancora modesto nelle partenze verso l’Europa” (Antonio Polosa, Chief of Mission IOM Moldova).

 

 

 

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Hîncesti, Moldova, settembre 2013. L’ex repubblica sovietica della Moldova è il Paese che riceve il maggior supporto finanziario da parte dell’Unione europea sotto forma di progetti e bandi.

 

 

 

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Hîncesti, Moldova, settembre 2013. Valentina insieme al marito torna a casa dopo il mercato. Il 60-80 per cento delle donne migranti invia rimesse in patria per supportare le proprie famiglie. Secondo l’IOM nel 2009 il 29.3% delle famiglie moldave ricevevano rimesse dall’estero e nel 44% dei casi questo introito rappresentava almeno il 50% del loro reddito annuale. Nel 2009 per la crisi economica le rimesse dall’estero si sono ridotte di un terzo e solo alla fine del 2013 il flusso di denaro in termini assoluti ha raggiunto i livelli pre-crisi del 2007.

 

 

 

 

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