Domésticas – 2

Rio de Janeiro, la rivoluzione delle impiegate domestiche. Storie sull’affascinante e controverso rapporto con i nuovi ricchi carioca.

 

di Claudia Bellante, da Rio de Janeiro
foto di Mirko Cecchi

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6 luglio 2014 – Daniela ha 36 anni ed è all’ottavo mese di gravidanza. Con suo marito si sono trasferiti a Rio da poco e vengono da San Paolo, dal quartiere di Morumbi che, secondo lei, non è molto diverso da Barra. “Qui si fa tutto con la macchina, è vero, ma anche dove abitavamo prima era lo stesso. Io ci sono abituata.” Appena arrivati a Rio, Daniela e suo marito avevano trovato casa nel ricco quartiere di Leblon. “Sì, era più comodo, perché mio marito lavora lì, ma per 150 metri quadrati pagavamo 11 mila reales di affitto. Adesso abbiamo una casa di 260 metri quadrati e paghiamo 9.000 reales al mese, parcheggio e piscina condominiale inclusi.”

Daniela ha già un bambino di tre anni, Pedro, che a San Paolo è cresciuto tranquillamente senza tata. “Qui a Rio sono da sola e ho bisogno di un aiuto. Cercavo una empregada e una babá perché tra poche settimane arriverà la mia seconda figlia e su consiglio di una vicina del condominio mi sono rivolta a La Maison Belle”.

Jo e Lourdes, le sue nuove collaboratrici, sono entrambe originarie dello stato di Bahia, a Nord-Est del Brasile. “Rivolgersi a una struttura come quella di Glayci ti dà maggiori garanzie. Chi sono, da dove vengono, che esperienza hanno avuto in passato le persone che stai per assumere e perché si sono concluse, tutto è verificato e accertato.” Le ragazze dell’agenzia inoltre seguono le loro clienti non solo nella fase di ricerca ma anche dopo e se qualcosa va storto sono pronte a intervenire. “La empregada che avevo scelto inizialmente è stata male proprio pochi giorni prima di iniziare a lavorare da me e così loro me mi hanno subito cercato un’alternativa”, riporta come esempio Daniela.
Nel corso della nostra chiacchierata le chiedo se nella casa in cui è cresciuta a San Paolo c’era una empregada e che tipo di rapporto vorrebbe che sua figlia avesse con Lourdes: “Nella mia famiglia c’era Lavinia, una signora che oggi ha più di 80 anni e che per me è come una nonna, ma credo che ormai certi relazioni non esistano più e forse va bene così. Mi ricordo che da noi se Lavinia faceva qualcosa di sbagliato non si pensava nemmeno a mandarla via. Se mia mamma la riprendeva, lei si offendeva. Non era solo una semplice dipendente, ma molto di più. Era un’amica in fondo, una di famiglia. Oggi io però voglio avere la libertà di licenziare chi viene a lavorare a casa mia e non si comporta come desidero.” Jo e Lourdes non rimangono a dormire a casa di Daniela: “Non ce n’è bisogno. Nel cuarto da empregada abbiamo ricavato una cabina armadio.”

Amanda invece è cresciuta a Copacabana. Lei da piccola una babá non l’ha avuta eppure per suo figlio David è una figura fondamentale. Amanda ha 34 anni ed è socia di un’impresa che organizza eventi. Vive e lavora a Barra da otto anni. “Mia madre non lavorava e così aveva tempo per occuparsi di me. Avevamo solo una diarista che veniva ogni tanto. Io invece sono fuori tutto il giorno, ho bisogno di qualcuno che si prenda cura del mio bambino.”

Amanda è una di quelle clienti che si sono rivolte a Glayci perché “traumatizzate” da un’esperienza precedente. “La tata che avevamo, Deborah, se n’è andata da un giorno all’altro. Ha lasciato solo un bigliettino: Mi dispiace tanto, vi ringrazio di tutto. David ha solo tre anni eppure ha passato settimane triste, le era molto affezionato: lei era stata presente persino il giorno della sua nascita.” Amanda è venuta a conoscenza de La Maison Belle grazie a un programma televisivo. “Ho visto Glayci e mi sono identificata con lei che come me è una ragazza impegnata, con un lavoro, una famiglia e moltissime cose a cui pensare.” Per Amanda, che si è avvalsa del trattamento privilège, Glayci aveva selezionato tre possibili nuove babá e lei alla fine ha scelto Heloisa: “Non so, c’è stata un’immediata simpatia e poi aveva i capelli tagliati corti, ordinati. Mi è sembrata subito una persona che si prende cura di sé stessa, il che vuol dire che sa prendersi cura anche degli altri”.
Vista la sua esperienza precedente Amanda mi confessa che all’inizio c’ha messo un po’ a dare ad Heloisa tutta la confidenza che dava a Deborah e che anche per il bambino non è stato facile adattarsi: “Ma adesso, dopo tre mesi, va molto meglio” Quando Amanda si è rivolta all’agenzia ha chiesto per lei un’impiegata di un certo tipo: “Io dipendo da quella donna, lei passa più ore di me con David. Non voglio che sia una analfabeta o che le manchi un dente.”Helosia rimane a casa di Amanda dal lunedì al sabato e nel suo giorno di riposo torna a Campo Grande. Il suo stipendio è di 2.200 reales al mese: “Rispetto ad altre mie amiche che come me hanno una babà lo stipendio che le do è più alto ma lei lavora molte ore che se dovessimo conteggiarle realmente farebbero lievitare ancora di più il costo. E poi Heloisa è molto qualificata, è diversa dalle altre impiegate. Ogni giorno prepara qualcosa di diverso e salutare da mangiare, non solamente arroz e feijão”.

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La cucina è uno dei temi alla quale La Maison Belle dedica molta attenzione. Tra i corsi personalizzati che l’agenzia propone alle aspiranti domestiche, assieme a quelli dedicati alla cura dei bambini e degli anziani, c’è n’è uno che si chiama “Culinária – A arte de fazer e servir”. Prevede 24 ore di formazione durante le quali le iscritte imparano come organizzare il menù di casa e quindi che tipo di spesa fare, come mettere tavola al momento dei pasti, ma anche come preparare cibi senza glutine o per persone diabetiche.

Glayci organizza anche dei workshop rivolti a empregadas e patroas assieme. Le partecipanti sono una ventina, alcune clienti dell’agenzia, altre no, ma tutte residenti a Barra. Il workshop al quale ho assistito io era tenuto da uno chef, Donato di Giuseppe, originario della regione Puglia, nel Sud Italia. Donato lavora al Gero, un ristorante di lusso che appartiene al gruppo Fasano, proprietario anche di un hotel a 5 stelle da poco inaugurato sulla spiaggia di Ipanema.
“Oggi pomeriggio cucinerò quattro primi, quattro secondi e quattro dolci. Le signore assisteranno alla preparazione ma poi potranno degustare i piatti che verranno serviti loro”. Il workshop dura cinque ore, dalle due del pomeriggio alle sette di sera e costa 285 reales, non poco. La location è la sala gourmet del Condominio Royal Green, che si trova all’interno del Condominio Peninsula e se non si è della zona trovarlo non è semplice.

Il Peninsula infatti viene definito un “quartiere nel quartiere” che si estende su un’area vasta 780 mila metri quadrati, equivalente all’intera zona di Leblon, ma con un indice di popolazione molto basso, visto che vi risiedono solo 28.000 persone.

“Ogni edificio qui al Peninsula ha delle sale comuni dove i condomini possano organizzare feste o attività” mi spiega Cassia, che ama cucinare. “Specialmente il pesce – mi racconta – il mio piatto forte è il risotto ai gamberi”. Cassia è una donna di 45 anni, magra, elegante e ha un negozio di scarpe per bambini, ovviamente a Barra. Lei è una delle patroas che passerà il pomeriggio gomito a gomito con diverse empregadas per imparare come si prepara, ad esempio, un pesto originale o una pasta fatta a mano. Al momento della degustazione però, i tavoli saranno separati. Arlette e Macia sono invece due donne di colore, robuste e sorridenti, che lavorano per due famiglie residenti al Garden Green. La datrice di lavoro di Arlette è in viaggio e le ha regalato il corso. Quella di Macia invece è a casa: “stasera credo finiremo tardi e quindi rimarrà senza cena – scherza lei – ma domani apprezzerà”. Sedute a fianco a loro ci sono anche Heloisa e Thalia, due donne diverse, con due storie opposte, che per un pomeriggio si sono incrociate.

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Heloisa ha 51 anni, è una signora curata, con i capelli biondi tagliati corti, un foulard intorno al collo e gli orecchini di perle. Guardandola mi chiedo se non abbia sbagliato a sedersi o se sia una patroa particolarmente aperta e liberale. Ma nessuna delle mie due ipotesi si rivela esatta: “Curo la casa al mare di una famiglia. Devo stare lì tutta la settimana anche se loro vengono solo per il week end, ma quando arrivano tutto deve essere in ordine. Non mi dispiace, la villa si trova a Margaratiba, sulla costa a sud di Rio de Janeiro. La cosa più dura è che non vedo praticamente più mio marito ma non c’era altro modo per ricominciare”.

Heloisa viene da Espírito Santo, uno stato a Sud del Brasile, ma negli ultimi dieci anni ha vissuto in Massachusetts. “Mio marito aveva un’azienda farmaceutica che purtroppo fallì e così lasciammo il Paese e raggiungemmo alcuni parenti in America. Ma dopo tanti anni sentivamo il desiderio di tornare. Un tempo stavamo bene, io avevo tre domestiche fisse in casa. Ora è tutto diverso, ora indosso un grembiule e sono qui a imparare come si fa la pasta al pesto perché la signora dalla quale lavoro adora il cibo italiano. Ci stiamo reinventando, mio marito è tornato a studiare e si è iscritto all’università e io metto al servizio delle clienti quello che mi riesce meglio e che ho fatto tutta la vita per me e la mia famiglia: curare la casa, preparare da mangiare. Ai miei tempi credo di essere stata una patroa corretta e gentile e fortunatamente ne ho trovata una così.” Thalia invece è una ragazza timida e minuta. Non parla quasi con nessuno ma osserva ogni azione dello chef e prende appunti. Indossa una divisa con dei pantaloni blu e una camicia a righe. Vive anche lei al Royal Green sei giorni su sette ed è a servizio di una familia boliviana che prima di trasferirsi a Rio ha vissuto a Houston, in Texas. “Sono arrivata un anno e mezzo fa, mia madre e le mie sorelle erano già qui. Sono tutte impiegate presso delle famiglie di Barra”. Thalia viene da Lima, come Liza, una delle prime empregadas che avevo conosciuto, ma la città che lei ha lasciato è oggi profondamente diversa da quella sporca, pericolosa e arretrata che Liza ricordava.

Oggi il Perù, così come il Brasile, ha un’economia in crescita e la vita nella capitale può essere davvero piacevole. Eppure, per molte ragazze di umili origini, le possibilità rimangono poche e andare a cercare fortuna in un altro Paese dove la moneta vale di più e i posti di lavoro non mancano, sembra essere una scelta obbligata.

“Vivo a Rocinha, nella favela. Mi sono sposata da poco con un ragazzo peruviano che sta finendo il dottorato in chimica ma ci vediamo solo la domenica. Per adesso va bene così perché voglio mettere via i soldi che guadagno per tornare a casa, a studiare ingegneria. Non farò la domestica tutta la vita.” Thalia il lavoro non l’ha trovato con la La Maison Belle, ma attraverso il passaparola, come si è sempre fatto. Fa la babá e quando le chiedo se i bambini che cura sono viziati alza gli occhi al cielo. Il suo stipendio, pur lavorando tanto quanto la signora a servizio di Amanda, è di 1.000 reales al mese, meno della metà. Eppure Thalia ha deciso di investirne una parte nel workshop, visto che a lei non l’ha offerto nessuno: “Almeno mi svago un po’ e faccio qualcosa di diverso dal solito”.

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Glayci, durante il nostro primo incontro, mi aveva detto che uno degli scopi della sua agenzia era di dare maggior rispetto e riconoscimento a una classe di lavoratori e lavoratrici che per secoli erano stati sottopagati e maltrattati. Mi aveva però lasciato parplessa il fatto che insegnare a delle donne di una certa età che “non si risponde al telefono con la bocca piena” o “non si chiama mai tesoro la padrona, ma sempre signora” o ancora “non ci si sdraia sul divano a guardare la tv quando si rimane in casa da sole”, potesse davvero essere una tappa obbligata per l’emancipazione. Oggi continuo ad avere i miei dubbi sul metodo ma sicuramente ne ho meno sul risultato.

Le clienti di Glayci potranno anche far parte di quella classe che la stampa carioca da anni definisce, non con un certo disprezzo, “emergente produttiva” e le loro case potranno anche non avere quel fascino nobile che solo la gloria passata e la successiva, inevitabile decadenza, possono conferire; ma se il loro essere attive, impegnate e moderne le porta a riconoscere il lavoro altrui e a retribuirlo come si deve, ben vengano.

Perché se tra i detrattori della nuova legge c’è anche chi sostiene che una maggiore professionalità porterà inevitabilmente a un raffreddamento dei rapporti patroa/empregada forse è giusto iniziare a domandarsi a chi conviene veramente che questi rapporti rimangano tali, ipocritamente sospesi tra l’affetto sincero e il mascherato sfruttamento. Perché se lo chiediamo a Thalia possiamo stare certi che a lei, di essere considerata “come una di famiglia” da una famglia che non è la sua, le importa poco e preferirebbe invece guadagnare di più in meno tempo per poter andare dove gli pare. A cercare una stanza, anche se piccolissima, dove vivere. Non più per fare la domestica però, ma la studentessa di ingegneria.

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