§23 – Nessun uomo è illegale

Berlino, la lotta di un gruppo di rifugiati per il riconoscimento dei loro diritti. La storia della nascita di un movimento, dalle prime manifestazioni del 2012 fino all’occupazione della Gerhart-Hauptmann Schule nel quartiere di Kreuzberg

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/07/SaraGarizzo.jpg[/author_image] [author_info]di Sara Garizzo, da Berlino, @LaPresidentessaAppassionata di Storie, in ogni loro forma, vive a Berlino da sei anni, dove studia e lavora.[/author_info] [/author]

Coautori: Mariella Kipulu e Davide Di Palo
con foto di Andrea Linss, Michele Lapini e Oliver Feldhaus
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10 luglio 2014 – Da un paio di settimane per le vie di Berlino, non si fa altro che parlare de “La Scuola”. La Scuola in Ohlauerstrasse, la Gerhart-Hauptmann Schule, la Scuola vicino al Görlitzer Park, La Scuola di Kreuzberg, La Scuola, quella dove vivono i rifugiati. Si vocifera che sia stata chiusa per sempre.
Ancora c’è qualche passante ignaro, qualche turista, che alla vista della camionette della polizia all’ingresso, si domanda cosa sia successo nella Scuola. Forse qualcosa di criminale, forse ne hanno parlato i giornali.

Quella che segue e precede gli eventi di martedì 24 giugno nella Scuola di Ohlauerstrasse è innanzi tutto una storia fatta di incertezza. È fatta anche di paura, di minacce, di violenza fisica e verbale. Ma è anche una storia di lotta, amore e solidarietà nella quale sono proprio i protagonisti a portare il messaggio di speranza più forte: libertà di movimento, diritto di residenza, casa, lavoro, dignità per tutti.

Foto di Andrea Linss

Foto di Andrea Linss

Come molte di queste storie, anche questa si svolge in un clima di sospensione della democrazia, quella che nei Paesi occidentali diamo per scontata insieme a molti dei basilari diritti che pensiamo di avere, ma che non appartengono a tutti. In primis c’è il diritto a costruirsi un futuro.

Perché nessuno a questo mondo vuole solo sopravvivere e se quella è l’unica opzione che ti viene data, sei solo tu che puoi scegliere di dartene un’altra, per quanto estrema possa sembrare. E molto spesso siamo proprio noi, che pensiamo di sapere come funziona, ad ignorare il valore di questa scelta.
Per poter a pieno comprendere gli avvenimenti degli ultimi giorni, bisogna dunque capire che cos’è La Scuola e il perché della sua esistenza.

Non é facile stabilire dove e quando tutto ha inizio, trattandosi questa di una lotta per i diritti dei rifugiati e migranti iniziata già da molto tempo. Gli avvenimenti che nello specifico hanno portato all’occupazione della Scuola e al successivo sgombero forzato risalgono infatti ad un paio d’anni fa.

Nell’agosto 2012, dopo una serie di riunioni e manifestazioni nelle singole città tedesche, dai vari gruppi di “non-citizens” sparsi per la Germania si giunge al comune accordo su un necessario intervento unitario. Nei mesi a seguire, grazie anche all’appoggio di molti sostenitori e attivisti politici tedeschi e non, viene creata una rete di organizzazioni che riesce a coordinare una marcia per Berlino. Partendo di comune accordo l’8 settembre, una parte dei manifestanti si reca a Berlino a piedi, un’altra in bus, fornendo informazioni sulla propria situazione di fuga e incertezza nelle varie città sul cammino e raccogliendo consensi così come nuovi partecipanti lungo la via.
Entrambi i gruppi si incontrano dopo 28 giorni in una fredda Berlino autunnale. Nonostante la marcia abbia scosso una parte dell’opinione pubblica e mobilitato un gran numero di persone lungo il suo cammino, la risonanza politica è minima e l’ attenzione alle richieste dei sans papiers non è sufficiente a cambiare realmente la loro condizione.
I migranti chiedono di avere diritto ad una vita dignitosa, che comporterebbe innanzitutto non essere costretti a vivere in dei lager: “Le strutture adibite” o “centri di raccolta”, così vengono chiamate, ma i rifugiati li chiamano lager.

Qui è freddo, piove nelle tende, a volte non possiamo fare una doccia per giorni. Ma è meglio che vivere nel “Lager”, qui siamo liberi, possiamo incontrare amici, andare e tornare quando vogliamo” (Napuli Langa).

Nei lager non si ha libertà di uscire quando si desidera, spesso non si possono ricevere visite se non in orari prestabiliti, non c’è possibilità di una vita comune e, nei peggiori dei casi, purtroppo la maggior parte, non c’è protezione da attacchi di gruppi neonazisti.
Le rivendicazioni dei sans papiers riguardano il diritto al lavoro, alla libera circolazione, il diritto di residenza e una gestione accurata della loro situazione, caso per caso, da parte dello stato tedesco.
Ed infine uno stop immediato alle deportazioni.

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Foto di Andrea Linss
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La lotta dei migranti per i propri diritti non finisce con l’arrivo a Berlino, è anzi proprio nella capitale che prende un’altra forma e continua più forte, con echi sempre più difficili da ignorare. Poco dopo l’arrivo della carovana, un gruppo di circa 22 partecipanti alla marcia dà vita ad un presidio e avvia uno sciopero della fame davanti a uno dei monumenti simbolo della Germania: la porta di Brandenburgo, nel centro politico di Berlino e a poche centinaia di metri di distanza dalla sede del Parlamento tedesco.
Non molto dopo e non molto distante, una parte dei sans papiers crea una tendopoli ad Oranienplatz, una delle piazze centrali del quartiere di Kreuzberg, considerato un must seen dalle guide turistiche della capitale.
Proprio qui vengono allestite diverse tende adibite a posti letto, un grande tendone da circo blu e bianco dove ritrovarsi per le attività comuni e una tenda al centro della piazza: l’Infopoint. In quest’ultimo si offrivano consulenze ai rifugiati così come agli stupiti abitanti del quartiere che, in pochi giorni, hanno assistito inconsapevoli dalle finestre delle proprie casa alla nascita di quello che si rivelerà essere un vero e proprio movimento.

Le convinzioni sono chiare e forti nelle menti, ma l’inverno a Berlino è duro, e se oggi sulle tende scende la pioggia, domani arriverà la neve.

“We are doing this to gain the right to live and work like human beings,” he explains. “Of course it’s a bad option for us to stay in the tents – it’s noisy, it smells bad, it’s cold at night and there are rats – but at least you are seen. If you leave, nobody hears you.” (Uno degli abitanti della tendopoli di Oranienplatz)

A partecipare alla protesta ci sono anche donne e bambini, per i quali le condizioni di vita a O-Platz, così viene chiamata, sono troppo precarie per potervi affrontare l’inverno. In O-Platz si vive in tende spesso condivise tra più persone, i letti sono costituiti da travi di legno arrangiate e materassi, non ci sono docce e una sola toilette. Nella piazza vivono tra gli 80 e i 100 attivisti.
Viste le condizioni precarie, l’8 dicembre del 2012 un gruppo decide quindi di occupare l’edificio della non lontana Gerhart-Hauptmann Schule, una scuola superiore dismessa situata nella Ohlauerstrasse, anch’essa nel quartiere di Kreuzberg.
Lo scopo è di crearvi un centro informativo e un riparo per l’inverno, innanzitutto per donne e bambini, e con il tempo anche per altri abitanti della piazza-stato, legalmente non riconosciuta ma tollerata.

Alla notizia, una parte degli attivisti ancora in sciopero della fame alla porta di Brandeburgo può prendere fiato, e sicura del fatto che la lotta continui altrove, cessa lo sciopero della fame e si trasferisce nella scuola o nella tendopoli in Oranienplatz.

Foto di Andrea Linss

Foto di Andrea Linss

A seguito delle varie proteste, che nel dicembre dello stesso anno culminano in un presidio permanente dinanzi alla sede amministrativa del comune di Kreuzberg-Friedrichshain, i sans papiers ricevono l’autorizzazione firmata dal sindaco del quartiere a soggiornare nella scuola fino almeno al mese di marzo 2013.
Le istituzioni, davanti all’inverno berlinese, mettono da parte le divergenze cedendo il posto all’umanità.

Così nasce La Scuola: aule di lezione arredate con mobili di fortuna per crearne stanze, corridoi con ancora appesi vecchi planisferi, vecchi libri di testo accatastati negli angoli. I servizi su ogni piano, con toilette e lavandini, ma una sola doccia per quelli che in pochi mesi diventeranno circa 400 abitanti.

Se da una parte La Scuola prendeva forma, vedeva comparire le prime cucine, televisioni, si iniziavano sentire le voci dei migranti salutarsi per nome nei i corridoi allontanando così il ricordo delle fredde aule di un liceo, dall’altra parte il sogno di Oranienplatz si sgretolava e spariva con l’arrivo della primavera.
Con promesse di abitazioni consone, un corso di lingua, una pausa dai controlli della polizia e dalla paura delle espulsioni forzate, il Senato riesce a convincere buona parte degli attivisti a inserire i propri dati su una lista.
Viene chiesto il nome, il cognome, il Paese di provenienza ed una fototessera. Secondo le promesse della senatrice per l’immigrazione della città di Berlino Dilet Kolat, ogni richiesta d’asilo verrà trattata singolarmente. Non andò così, buona parte delle richieste era già stata respinta al momento dell’offerta.

Solo le persone il cui nome compare sulla lista ottengono un pass, ovvero una carta di identificazione plastificata con tutti i dati citati sopra e recante la scritta “Partecipante al progetto Oranienplatz” che dà diritto ad una stanza in una delle abitazioni. Sul retro del pass si può leggere chiaro, ma in tedesco, “questo documento non ha nessun valore legale”. L’unica condizione posta per ottenere questo presunto documento è smantellare le tende di O-Platz.

Questa condizione portò ad una scissione degli attivisti e rifugiati: una parte crede nelle parole del Senato e, con la speranza di un po’ di pace e di ottenere un permesso di soggiorno, decide di distruggere la tendopoli.
È una mattina di primavera e dagli addetti comunali vengono prontamente forniti martelli e altri strumenti adeguati ad eseguire il compito.
A tentare di bloccarli, coloro che fino a pochi minuti prima erano i compagni di resistenza. Si rifiutano di credere alle promesse e vedono nelle manovre del Senato un modo per dividerli puntando sulle debolezze di chi è spesso psicologicamente traumatizzato, di chi ha vissuto in condizioni precarie per mesi ed in fuga da ormai anni.
La soluzione proposta non comprende nessuna garanzia a livello di permesso di circolazione, soggiorno e lavoro. Richieste che nel 2012 fecero partire la protesta in primo luogo.

They put a rope on our neck, they want to control us. This is really, really what the people signed. They don’t know about it. […] In 6 months, they’ll be deported. It’s a game for the Senat, it’s a big game.” (May, richiedente asilo, 8 aprile 2014)

L’8 aprile 2014, dopo ormai quasi due anni di presenza, la tanto discussa tendopoli di Oranienplatz veniva smantellata dagli stessi che l’avevano allestita, evitando così alla polizia di dover intervenire e creare immagini o situazioni spiacevoli agli occhi dell’opinione pubblica.
Tutti coloro che hanno il pass, hanno diritto a ricevere una sistemazione temporanea. L’ufficio immigrazione adesso ha un indirizzo al quale mandare le lettere, e da un paio di mesi fa buon uso di queste informazioni mandando lettere di espulsione. E’ tutto più facile grazie alla lista, sulla quale sono segnati sia l’abitazione a loro assegnata che il Paese di provenienza.
Da aprile chi non ha accettato l’accordo vive quindi nella Scuola, insieme a chi è appena arrivato in Germania e non sa dove andare, e quelli che hanno fiutato un inganno nella lista e lasciato le case messe a disposizione.

“No, i’m not happy because there is no political solution” (Patrick, rifugiato, 8 Aprile 2014)

Con il tempo nella Scuola arriva sempre più gente, diventa anche polo di disperati, delinquenti e curiosi.
Ma rimane La Scuola, e nessuno vuole lasciarla se non per una reale possibilità di restare in Germania e avere diritto di crearsi una vita. Nessuno lascerebbe La Scuola, nemmeno per andare in un centro di accoglienza, nel quale sicuramente c’è più di un bagno per 400 persone, ma non c’è la libertà. La libertà di decidere della propria giornata e dei propri spostamenti, la possibilità di invitare amici e mangiare insieme quando si vuole.
Ed è così che, in una scuola sovraffollata e non adibita ad abitazione, le persone vivevano un’illusione di libertà, o perlomeno di tranquillità, aspettando qualcosa di meglio. Nella Scuola si mangia insieme, si parla anche se non si capisce la lingua dell’interlocutore, si guardano i film, si studia il tedesco, si litiga, si è stanchi e ci si dispera, ma si è liberi.

I am a political Refugee. Actually what we’re protesting against is for the right to stay, right to walk, right for education, right for health. […] These are part of our rights, what we are waiting for?”

È il 24 di giugno, un martedì, e per noi invece, la storia comincia con un tam-tam di messaggi, telefonate e un appello alla radio: la Scuola in Ohlauerstrasse viene sgomberata. Abbiamo bisogno di supporto. Per favore diffondete.

Foto di Michele Lapini

Foto di Michele Lapini

I migranti che da due anni occupano la Gerahrt-Hautpmann Schule vengono trascinati in strada con tutto quello che riescono a portare, nel trambusto molti lasciano indietro documenti e permessi, la priorità è che nessuno si faccia male. All’esterno un mare di caschi neri in tenuta antisommossa, giornalisti, attivisti e curiosi che si accalcano alle transenne che delimitano l’accesso all’edificio.
Sono solo le 11 del mattino quando arrivano i primi bus adibiti al trasporto degli abitanti della scuola: la gente è confusa, non è ancora chiaro dove i bus siano diretti e c’è chi si dispera e chiede di rientrare per poter prendere il resto delle proprie cose. Le famiglie si allineano lungo il marciapiede, nei volti della gente una triste rassegnazione maschera a malapena la rabbia. Chi non accetta di salire sui bus rimane in strada o se ne va. Ufficialmente accetteranno in 200.

Secondo i portavoce dell’amministrazione del quartiere si tratta solo di un trasferimento, anzi, di un trasloco. La polizia è solo qui per aiutare e assicurarsi che tutto vada liscio. Dopo una settimana si scoprirà che gli agenti-traslocatori erano 1200, molti richiamati in via straordinaria da varie parti della Germania.

Dicono, in fondo c’era da aspettarselo. La situazione nella scuola non era più accettabile: criminalità, spaccio, scarse condizioni igieniche, accessi incontrollabili, lamentele dal vicinato. Qualcosa andava fatto per salvare l’immagine di Kreuzberg, il quartiere più visitato di Berlino. È estate e la capitale europea del divertimento non può fermarsi.
Dopo ore partiranno i primi bus. Sono diretti ai centri di Charlottenburg e Spandau, nella periferia della città. Dicono che li, ognuno avrà la sua stanza, cibo, verranno dati anche dei soldi. Forse.
L’ultimo bus però, nel tardo pomeriggio, dovrà partire vuoto. Le transenne intorno alla Gerahrt-Hautpmann Schule rimarranno lì 10 giorni.

Sembra infatti che siano in 40 i migranti che ancora si sottraggono allo sgombero. Hanno deciso di salire sul tetto della scuola di saltare giù nel caso in cui la polizia tentasse di entrare. Pare che abbiano barricato le entrate e che ci sia un forte odore di benzina. Dicono, che sono pronti a morire.

Sotto di loro, che ci guardano dal cornicione del tetto, il caos: camionette che entrano ed escono freneticamente da una nuova zona rossa, nugoli confusi di caschi e teste che si scontrano (i primi con maggiore vantaggio sui secondi), urla, voci dai megafoni. Nel cortile della scuola c’è ancora qualcuno che cerca disperatamente di entrare: è la stampa che insieme ad alcuni parlamentari cerca di farsi strada tra la polizia e i suoi portavoce.
Si spera, che possano finalmente passare, che una spiegazione venga data, ma il Senato dice di no. “Non ci serve la stampa qui, oggi”. In fondo è solo un trasloco.
Solo alle 23.00 l’annuncio: per oggi la polizia non ha in programma altre azioni. Comincia ad arrivare la gente con coperte, candele e sacchi a pelo. Siedono accanto alle transenne, qualcuno suona la chitarra. È risaputo che il programma della polizia non è affidabile come quello del cinema all’aperto.
La giornata di mercoledì serve a molti per realizzare che dal giorno prima nulla è cambiato. Eppure c’è qualcosa di diverso nell’aria. I blocchi stradali sono sempre lì, i residenti possono accedere alle loro abitazioni solo scortati dalla polizia e mostrando un documento che certifichi il domicilio. Nel corso della mattinata le voci degli occupanti ci giungono via streaming: per ovviare il divieto di accesso alla scuola i rappresentanti della stampa organizzano delle interviste online dai tavoli di un bar poco distante.

I migranti sono stanchi, ma la loro volontà è tanto solida quanto drammatica. “Se la polizia entra, ci buttiamo. Siamo stanchi di false promesse che vanno avanti da anni”.

L’indignazione è fortissima, soprattutto da parte dei media tedeschi: come è possibile che nella civilissima Germania la libertà di stampa venga sospesa così facilmente?
Nei punti nevralgici di accesso gli attivisti stabiliscono dei presidi, si cerca di fare in modo che ci sia sempre un gruppo di persone e che nulla aldilà delle transenne passi inosservato. Quando possibile si prova ad impedire l’accesso dei mezzi o a dividere l’impegno della polizia nel quartiere, organizzando cortei spontanei dalle piazze limitrofe.

Foto di Michele Lapini

Foto di Michele Lapini

In molti sono quelli che non conosco il destino degli amici che vivevano nella scuola. Nel trambusto i telefoni sono da ricaricare, non ci sono liste di nomi e tutti come possono cercano di chiedere in giro, preoccupati che la mancata reperibilità corrisponda ad un arresto, o peggio al fatto che la persona che si sta cercando di contattare sia ancora dentro la scuola. La ricerca è inoltre spesso complicata dalla consapevolezza che infiltrati della polizia possono essere ovunque: nessuno si sbottona troppo nell’era post Snowden, le informazioni devono arrivare e provenire da fonti sicure.

Inizia un terribile stallo. È giovedì, la città si ferma per la partita Germania-Usa. Gli agenti di polizia cercano di sbirciare gli schermi attraverso i bar, regalando al presidio una paio d’ore di respiro. Nel corso della giornata c’è stata una conferenza stampa di fronte a scuola: l’amministrazione del quartiere di Kreuzberg-Friedrichshain, responsabile dello sgombero, cerca di spiegare la situazione ad una stampa inferocita.

Monika Hermann, sindaco del quartiere, e l’amministratore Hans Panhoff, entrambi dei Verdi, hanno offerto margini di trattativa ai rifugiati: chi esce non verrà perseguito per l’occupazione, i vostri casi saranno gestiti singolarmente, come per tutti coloro che già sono stati “traslocati” nei centri periferici. La sensazione è che nessuno ai piani alti della politica berlinese, men che meno di quella tedesca, voglia prendersi la responsabilità dell’emergenza, scaricando il barile ad interlocutori politici locali, privi di potere effettivo sulle richieste degli occupanti.
Ad un nulla di fatto si accompagna un ulteriore segnale di sfiducia: ad Amdy, uscito dalla scuola dopo lunghe trattative per acquistare pane ed altri generi alimentari, viene impedito di rientrare e portare viveri ai compagni. Paziente, ma stremato e arrabbiato, Amdy prende posto davanti alle transenne, che non lascerà fino alla settimana successiva. Ci racconta incredulo che per cercare di convincerlo a mollare gli hanno offerto una casa: Amdy l’ha rifiutata, ha risposto che lui vuole come tutti poter lavorare e pagarsi un appartamento regolarmente. La scuola, dove sono i suoi amici ora, è la sua casa.

Ce lo racconta in un ottimo italiano. Anche lui come noi, arriva dall’Italia per cercare un lavoro migliore e una prospettiva per il futuro. Come per noi, i documenti sono in ordine, è infatti rimasto nella scuola perché i suoi amici avevano bisogno di lui. A differenza di noi, il suo passaporto non è italiano, ma senegalese e le sue possibilità di accesso ad un lavoro qualificato o affittare un stanza sono sensibilmente inferiori alle nostre. Che pur non sono alte.

Che Berlino, e sopratutto Kreuzberg, sia cambiata, non è ormai un mistero per nessuno. Sono ormai anni che uno spietato processo di gentrificazione modifica di mese in mese il tessuto urbanistico e sociale del quartiere costringendo i vecchi abitanti a trovare casa altrove, dove affitti e costo della vita sono inferiori. Un tempo centro dell’immigrazione turca e meta prediletta degli squattrinati d’Europa, oggi Kreuzberg sembra vivere di un patinato mito anticonformista e di un turismo alternativo e finalizzato al divertimento, alimentato da una nuova ondata di migrazione interna all’Europa della crisi.
Un delicato equilibrio tra accettazione e rifiuto del cambiamento fa da cornice alla Gerhart-Hauptmann Schule e viene messo, in un certo senso per la prima volta, davanti ad una prova di resistenza su un tema caro alla storia di Berlino e del suo multietnico quartiere: il rapporto con l’autorità.

Di fronte alla polizia che militarizza le strade la gente scuote la testa, i commercianti si disperano e si dividono, ma la solidarietà ai migranti che occupano la scuola rimane solida. Tutti abbiamo diritto ad una casa, tutti abbiamo diritto di essere nelle condizioni di pagare un affitto giusto. Nessun uomo è illegale. Nessuno deve arrivare a tanto per rivendicare un trattamento umano e dei diritti basilari.

In una città che pigramente si svuota nel week end, è tantissima la gente che continua ad arrivare ai presidi nella giornate di venerdì e sabato. Abitanti nuovi e vecchi del quartiere, studenti, attivisti, persone comuni unite dall’indignazione e dal desiderio di mostrare non solo il proprio dissenso, ma soprattutto la propria solidarietà. Si allestisce rapidamente un Infopoint, gli attivisti si coordinano via Twitter, le ultime novità vengono immediatamente riportate sui social network. Si diffondono rapidamente i numeri di telefono per l’assistenza legale gratuita. Ogni passo visibile della polizia viene documentato da centinaia di cellulari. La voglia di reagire alla situazione è forte, c’è chi finalmente ha portato l’impianto per la musica e gli striscioni si sono moltiplicati.

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Foto di Michele Lapini
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Venerdì viene concesso a tre occupanti di uscire dalla scuola e tenere una conferenza stampa sul marciapiede. I migranti rispondo alle accuse a loro rivolte in questi giorni: non siamo un pericolo, non abbiamo molotov nè intendiamo ferire i poliziotti. Vogliamo che alla stampa venga concesso di accedere alla scuola e che venga offerta una soluzione politica reale a noi e ai nostri compagni trasferiti nei centri. Se la polizia entra, siamo pronti a toglierci la vita.
Lo ripeteranno per giorni, scagliandosi contro il muro di silenzio che la crisi istituzionale provocata dall’emergenza gli para contro. Lo ripeteranno anche ad Hans Christian Ströebele, una figura leggendaria dell’attivismo berlinese e settantacinquenne parlamentare dei Verdi, che sabato incontra gli occupanti sul tetto. Nonostante l’attenzione dei media sia assoluta, la notizia stenta a decollare. Nonostante il calore della gente che si ostina a non lasciare i posti di blocco, la paura che qualcosa stia sempre per succedere non permette di dormire tranquilli.
È domenica, ed è iniziato il Ramadan.

STATEMENT FROM THE REFUGEES ON THE ROOF OF THE FORMER GERHARDT HAUPTMAN SCHULE

We are now on the roof since six days. The last days have been very hard and exhausting to us, not only because of being on the roof, but more because we are facing harrassment by the police again and again.

During the night of 27/28 June police was shaking the door and made different statements so we could not get a rest. Deprivation of sleep is only one of the methods through which they were trying to break our resistance.

La paura viene da quello che le gente non può ne vedere ne sapere, dall’incertezza delle notizie che arrivano da chi tiene le vere redini del gioco, il Senatore agli interni Henkel.
È a lui infatti che i migranti nella scuola, in gran parte rifugiati per motivi politici, si appellano, chiedendo che venga applicato il paragrafo 23 – §23 – della legge tedesca che concederebbe loro il permesso di soggiorno in attesa dell’esamina della loro richiesta di asilo. Di fatto il diritto a vivere la propria vita mentre un processo burocratico che può durare anni fa il suo corso, la possibilità di lavorare, sostenere se stessi e la propria famiglia onestamente.
La reazione di Henkel, CDU, si mantiene sulla linea dura che da sempre ha caratterizzato il suo rapporto con la protesta dei richiedenti asilo. Già nel dicembre del 2013 aveva ordinato uno sgombero della scuola, evitato grazie all’opera di mediazione della senatrice Kolat, SPD, coautrice delle misure temporanee che avevano permesso la permanenza del progetto e dei suoi abitanti. Sembra infatti che, proprio attraverso questa strategia di temporeggiamento con gli attivisti, ogni soluzione politica venga rimandata sistematicamente, nell’attesa che un gesto estremo o semplicemente maldestro giustifichi un rimpatrio verso il Paese d’origine o il primo Paese europeo ad aver accordato loro un permesso.

L’articolo 23 diventa un motto per il movimento di solidarietà che si crea intorno alla protesta, ma è in realtà il solo strumento legale al quale appigliarsi. Sono rarissimi i casi nei quali viene accordato un riconoscimento dello status di rifugiato politico o un permesso di soggiorno temporaneo che permetterebbe ai richiedenti di lavorare in Germania.

Mentre gli occupanti e i sostenitori della loro causa parlano di diritto di residenza per tutti e di presa di responsabilità da parte dei Paesi occidentali nei confronti di guerre lontane, che loro stessi finanziano con disastrose conseguenze umanitarie, nella giornata di lunedì la crisi delle istituzioni sembra definitivamente esplodere.
È il capo della polizia di Berlino a prendere finalmente parola: infuriato con l’amministrazione parla di costi stratosferici per un’operazione che finora ha coinvolto almeno 1700 agenti impegnandoli giorno e notte. Lancia un ultimatum all’amministrazione locale e al Senato, chiedendo che una decisione venga presa entro la giornata di martedì o ordinerà un ritiro delle forze dell’ordine. La seduta comunale straordinaria viene sciolta nell’imbarazzo generale a causa della protesta di alcuni attivisti presenti in aula e il sindaco Hermann rifiuta di prendersi la responsabilità di uno sgombero forzato, proponendo l’avvio di una trattativa e andando contro il Senato, favorevole invece ad un’azione di forza. In attesa di risposte, tutti trattengono il respiro in stanca attesa.

In un tesissimo martedì 1 luglio la polizia sembra infine perdere il controllo di fronte alla manifestazione degli studenti di scuole superiori e università, organizzata in favore degli occupanti della Scuola. Si contano numerosi episodi di violenza, due giovani finiscono all’ospedale con varie contusioni e bruciature da gas al peperoncino agli occhi. Dopo una settimana anche i poliziotti sono ansiosi, stanchi. Per evitare disordini mandano tweet per annunciare il cambio di turno, ad ogni furgone che passa la gente scatta.

Nel pomeriggio arriva dal Senato l’ordine di uno sgombero forzato. Dall’amministrazione del quartiere l’ordine verrà confermato in serata.
Sul tetto della scuola la musica continua a suonare. Gli occupanti, stremati, resistono. Chiamano al telefono gli amici che vegliano in perpetua attesa e incoraggiano a non mollare. Ci dedicano le loro preghiere mentre dalla strada cerchiamo di scorgere le loro bandiere, di captare il testo di un pezzo reggae che stanno ascoltando. Da un punto specifico dell’incrocio li possiamo vedere e loro possono vedere noi con un binocolo: ci scambiamo saluti che sono distanti solo in linea d’aria.

I rifugiati sul tetto della scuola, foto di Oliver Feldhaus

I rifugiati sul tetto della scuola, foto di Oliver Feldhaus

Dicono, che la polizia entrerà alle quattro del mattino, sembra una fonte sicura. Sembra, che stiano già arrivando le forze speciali inviate da Henkel. È necessario, che il maggior numero di persone possibile dorma ai posti di blocco.

Salutiamo Amdy verso le due. Lui, accanto alle transenne, ormai ci dorme ogni notte e non sa bene come fare ora che è iniziato il Ramadan. Non può fumare, ma la tensione è oggettivamente troppa.
Kreuzberg è ormai avvolta da un clima surreale. A poche centinaia di metri dalle transenne, costantemente presidiate, sembra che nulla stia succedendo. I caffè sono pieni, la gente ride, guarda le partite in notturna dal Brasile e sembra ormai essersi abituata al continuo via vai di divise e mezzi di polizia.

Dai balconi delle case pendono però un po’ ovunque striscioni fatti a mano: Refugees Welcome, §23, Solidarietà con i Rifugiati di Ohlauerstrasse. Dagli abitanti della “zona rossa” negli ultimi giorni è arrivata la solidarietà maggiore: stanchi dell’occupazione forzata della polizia e della palese violenza subita dagli occupanti, che ormai da una settimana faticano a fare entrare il cibo nella Scuola, sono scesi in strada nel pomeriggio di lunedì, invitando la gente a valicare le transenne e costringendo la polizia a ripristinare l’ordine.

Seguono picnic spontanei tra le camionette, tornei di volano improvvisati da un lato all’altro delle transenne: tentativi gioiosi di ridicolizzare una situazione ormai insostenibile. Nessuno costruisce un muro nel centro di Kreuzberg e può sperare di farla franca.

Foto di Michele Lapini

Foto di Michele Lapini

Manifestazioni di solidarietà arrivano anche dal resto della Germania: Amburgo, Colonia, Monaco, Brema, Francoforte. A Istanbul si appendono striscioni sulle cancellate dell’ambasciata tedesca, a Bruxelles un tentativo di occupazione del consolato finisce in molteplici arresti. Un gruppo di rifugiati occupa simbolicamente l’ufficio per l’immigrazione di Norimberga.
La mattina del 2 luglio arriviamo al presidio alle 6 del mattino. C’è il sole, la gente che ha dormito nei pressi delle transenne ascolta pigramente la musica di una piccolo trio di musicisti, intervenuto per dare il proprio supporto. Anche questa giornata, scorrerà nell’incertezza. Nell’attesa infinita di una svolta, nella stanchezza dipinta in faccia ai poliziotti tesi, ai manifestanti impotenti.

La polizia non vuole entrare, non vuole la responsabilità nel caso ci scappi il morto. Il Senato non vuole cedere, ma non vuole la responsabilità nel caso ci scappi il morto.

Toccherà agli avvocati dei rifugiati e ad Hans-Christian Ströebele, in qualità di portavoce dell’amministrazione del quartiere mediare con chi è rimasto dentro e discutere una soluzione di compromesso. Ströebele è tra i pochi a cui è stato dato il permesso di visitare Snowden in Russia, per il quale si dice stia combattendo la sua ultima battaglia politica. È un pezzo da novanta, ma è di Kreuzberg e un compromesso deve essere trovato prima che scoppi il pandemonio a livello nazionale. O peggio, internazionale.

Chi si prende altrimenti la responsabilità nel caso ci scappi il morto? Certe cose non succedono a Berlino, direbbe la brava gente. La parola ora spetta a loro. Quelli che stanno sul tetto. Le loro voci spariscono per ore nella tarda serata, dal tetto della Gerhart-Hauptmann Schule non arriva più musica.

La paura, ora, è che la storia di Oranienplatz si ripeta come un disco rotto. Che una soluzione politica venga nuovamente ignorata e che si arrivi ad un accordo privo di garanzie che finirebbe per prolungare uno stallo e far tornare la voce dei migranti da dove è venuta, nel comune dimenticatoio.

Foto di Michele Lapini

Foto di Michele Lapini

La gente passeggia nervosa intorno al presidio, spesso si ferma davanti agli striscioni che riportano le richieste ufficialmente fatte dagli occupanti. Chiedono di poter rimanere nella Scuola, per continuare la loro protesta senza la paura di uno sgombero. Chiedono che la violenza dell’ultima settimana si fermi, che la polizia se ne vada, che i loro amici possano nuovamente raggiungerli per avviare progetti autogestiti, per far sentire la loro voce senza dover urlare di disperazione. Chiedono, infine, diritto di residenza per tutti. Tutta Kreuzberg con i suoi attivisti, migranti, rifugiati, curiosi, rappresentanti della stampa, politici e poliziotti, attende a naso in su che dal tetto arrivi un segnale.
Quella che segue gli eventi di mercoledì 2 luglio nella Scuola di Ohlauerstrasse, Kreuzberg, sarà nuovamente una storia fatta di incertezza. Non è facile stabilire dove, quando e se tutto ha una fine, trattandosi questa di una lotta per i diritti dei rifugiati e dei migranti iniziata già da molto tempo. Ora però conosciamo i fatti che ne hanno portato all’occupazione e allo sgombero e non possiamo più permetterci di stupirci nello scoprire che proprio quando sembrava arrivare una svolta, la storia torna invece al punto di partenza.
Nella notte tra il 2 e il 3 di luglio, dopo nove giorni di occupazione, la polizia rimuove i blocchi che separano La Scuola dal resto del quartiere. Lo fa a seguito della notizia di un avvenuto accordo tra l’amministrazione e i sans papiers che la occupano.

Il testo del compromesso, sbandierato dai Verdi come una vittoria politica e umana per tutti protagonisti di questa vicenda, non dice però niente in materia di diritto, non prevede che alcun permesso venga rilasciato, non favorisce nemmeno l’idea che una soluzione politica venga in futuro trovata. Come in tante di queste storie la parola che viene usata è “impegno”: L’amministrazione si impegnerà a rappresentare le istanze dei rifugiati al Senato.

L’accordo prevede inoltre che la protesta degli occupanti venga “legalizzata”: solo a loro verrà concesso un pass privo di alcun valore legale per entrare ed uscire dall’edificio, che rimarrà costantemente vigilato dalla polizia. Verranno avviati dei lavori di risanamento e si aprirà un centro internazionale per i rifugiati politici, che nel frattempo diventeranno parte del “Progetto Gerhart-Hauptmann Schule”. L’offerta è valida solo per una ristretta lista di partecipanti e sui dettagli della scadenza si discuterà in futuro. Amdy, è sulla lista. Ma non è felice. Gli hanno fregati, continua a ripetere. Al contrario delle centinaia di persone che la scorsa settimana han dovuto lasciare la scuola in fretta e furia, Amdy può ora entrare e raccogliere le sue cose. Sempre che sia in grado di trovarle nel mucchio che la polizia ha fatto degli averi degli abitanti.

Dicono, che l’accordo sia stato strappato ai migranti dopo ore di pressione psicologica e che questi abbiano ceduto alla fatica di una settimana esasperante e alla paura che si verificassero ulteriori episodi di violenza tra polizia e manifestanti. Sembra, che non tutti abbiano firmato. È invece certo che la protesta continuerà.

In tutta risposta, nel pomeriggio del 3 luglio il Parlamento tedesco riunito in assemblea straordinaria approva una legge che limita ulteriormente il diritto di asilo in Germania.

La stampa però, riporta l’informazione a margine: 5 milioni di euro sono stati spesi per l’azione di polizia presso La Scuola, qualcuno dovrà dare spiegazioni alla brava gente indignata. La notizia, è semplicemente un’altra.

Mentre si stillano nuove liste e le lettere dell’ufficio immigrazione continuano diligentemente ad arrivare, riapre nel silenzio l’Infopoint di Oranienplatz. La domanda che tutti abbiamo in testa è però una sola e ce la pongono proprio i protagonisti di questa incerta storia: a chi servirà fare delLa Scuola un nuovo centro internazionale per i rifugiati, quando quelli già presenti saranno già stati deportati?

“Since the beginning we put emphasis on our demand for residency, the right to stay and that the school was not our main aim. We are aware that the district is not able to fulfill this demand, but at least they could make some pressure and actively support the political demand. If there will really be an international refugee center, what will be the use if the people there get deported?”

 

Foto di Michele Lapini

Foto di Michele Lapini

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