#HumanGaza6

Raccontando delle persone, delle vite, delle giornate di quelli che la guerra la pagano


di Q Code mag
@QcodeMag

 

15 luglio 2014 – L’ennesima punizione collettiva alla quale viene sottoposta la popolazione civile di Gaza, come tutte le altre, non porterà a nessun risultato. Sempre che il risultato non sia quello di nuovi lutti, di nuove distruzioni, di un odio che non potrà che crescere, ingrossando le fila di coloro che non hanno più alcuna fiducia in una soluzione giusta del conflitto.

Il governo israeliano, attraverso il suo esercito, ancora una volta scatena una pioggia di fuoco in risposta al lancio di razzi di qualche gruppo, come se ne fossero responsabili i civili di tutta la Striscia di Gaza. Che dieci anni fa, mentre festeggiavano la fine di un’occupazione, si sono resi conto di essere finiti reclusi in una prigione a cielo aperto. Cielo dal quale, a cicli alterni, piovono bombe.

Questa raccolta di pensieri (in quindici righe) vuole essere un racconto ‘altro’ di Gaza, reso da coloro che hanno avuto per i motivi più diversi la fortuna di incontrare l’umanità di Gaza, quella che non viene mai raccontata, da media che si ricordano di Gaza solo quando c’è un attacco, come se la vita a Gaza non fosse un inferno quotidiano. Ma anche nell’inferno la vita esiste e resiste, sempre, ogni giorno. Ed è questa resistenza di umanità che questa raccolta di voci vuole raccontare. 
Perché a un popolo si può togliere la libertà, ma non gli si può togliere l’umanità.

Se siete mai stati a Gaza, mandateci le vostre quindici righe a: redazione@qcodemag.it

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La città e l’orizzonte, di Daud Al-Ahmar, reporter

In molti modi si può raggiungere Gaza, per mare, per terra, per aria; questo pensa il provvisto di uniforme. Chi la conosce, invece, sa bene che l’entrata è fragile e possono volerci decenni di pazienza. Eppure, a colui che viaggia e vuole sapere, può capitare che un giorno un guizzo di vento su cui cavalca la voce beata di Fairuz, lo scaraventi d’improvviso dentro un vecchio taxi giallo, il cui parabrezza incrinato sorride al pelo viola del villoso cruscotto e i fronzoli che pendono dallo specchietto tintinnano orgogliosi al ritmo sconnesso della carreggiata.

Clacson, ragli d’asino, motori a scoppio e tuc-tuc esuberanti invadono le corsie di vita. La Moschea e la Chiesa, da secoli dirimpettaie, sognano il tramonto, quando il silenzio cala sulla Striscia e si può gustare in santa pace il fumo dolce di un narghilè alla mela.
Ma prima che mediterraneo e sole si concedano la loro fugace tenerezza quotidiana, all’ospite straniero verrà imbandita una tavola d’onore; un vassoio strabordante di riso speziato e carne sarà riferimento a tutti i piattini d’intorno: piccoli satelliti di yoghurt, insalate e datteri che attraggono l’acquolina terrestre. Il commiato è un minuto immenso come l’universo quando il caffe’ svela il suo segreto di cardamomo.

A fine giornata c’è la spiaggia con le stelle, e il viaggiatore rivive gli incontri della giornata; il sorriso sdentato di due piccole felicità, un neonato datogli tra le braccia in segno di fiducia, le camicie intorno ai bracci abbronzati dei contadini, la nobile ostinazione delle donne contro tutto la sporco del mondo.
L’ospite e’ preda di un benessere inaspettato, non sa spiegarselo ma si sente meno straniero. L’elettricità tornerà domani ma lui non se ne avvede perché le lampare dei pescatori sono già coraggio in mezzo al mare: luci più lontane pattugliano l’orizzonte. C’è anche uno strano ronzio nell’aria, ma si può russare ben più forte dei droni.
Gli abitanti di Gaza hanno un rapporto tutto loro con l’orizzonte: l’idea di libertà che li determina riesce a spingerlo sempre un po’ più in là. C’è chi dice che un giorno il loro orizzonte sarà più chiaro a nord; chi replica che verso occidente alcuni comincino finalmente a intravederlo.
Ma gli abitanti mettono in guardia il viaggiatore: senza l’idea di libertà qualsiasi orizzonte può essere la più terribile delle prigioni.

 

 


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