I disobbedienti di Tel Aviv

Il racconto della fatica di resistere in un Paese che pare non riconoscere quando c’è dissenso. Le voci della Tel Aviv che scende in piazza per fermare le bombe su Gaza. Le idee degli israeliani che vogliono la pace. 

di Marta Santamato Cosentino, da Tel Aviv

 Protest TEl Aviv_2aug

4 agosto 2014 – Pochi giorni fa su Il Manifesto, Stefano Sarfati Nahmad raccontava la fatica di essere ebreo e di difendere i diritti dei palestinesi. La manifestazione indetta la sera del 2 agosto dai pacifisti di Tel Aviv restituiva fedelmente questa immagine. Ed è una fatica ancora maggiore se, per quei diritti, a battersi, è un cittadino israeliano.

In piazza c’erano un centinaio di persone. Donne, uomini, bambini. Individui, entità singole che non si riconoscono in quell’86,6% della popolazione che, secondo un sondaggio pubblicato dal Jerusalem Post, appoggia le scelte del proprio governo. Avrei voluto scrivere di un Movimento numeroso, compatto e variegato che si prende le strade, sfida l’opinione dominante ed è in grado di attrarre a sé, con la forza del buon senso e della ragione, sempre più persone.

Un movimento ti protegge, permette di godere dell’appartenenza al gruppo, ti ricorda la tua identità, restituisce forza anche davanti alla sconfitte. E ti fa andare avanti. Andare avanti da soli però richiede uno sforzo, intellettuale e fisico, di gran lunga superiore, specie quando tutto va in direzione contraria. Rivendicare la propria cittadinanza, la propria religione e osteggiare pubblicamente la politica estera del proprio Paese, di questi tempi, in Israele, ha un sapore rivoluzionario.

Un ragazzo ha sollevato in aria il braccio. In mano, una manciata di ramoscelli d’ulivo. E’ rimasto così per tutto il tempo in cui il cordone di polizia lo ha spinto fino all’angolo della piazza.

Attorno i lui i cori in ebraico che una signora di mezza età ha avuto la cura di tradurre agli internazionali presenti: “Arabi ed ebrei rifiutano di essere nemici. Democrazia. Non lasceremo che il fascismo avanzi”. Fa parte della coalizione delle donne per la pace, una piattaforma di associazioni femministe, tra le promotrici dell’iniziativa insieme alle varie anime della sinistra israeliana, moderata e radicale.

Prima di venir sgomberati molti manifestanti si sono seduti per terra e hanno opposto resistenza passiva. 12 di loro sono stati arrestati e poi rilasciati nel corso della nottata. Due processati per direttissima la mattina del 3 agosto. Prima che iniziasse la dimostrazione un signore si è avvicinato e ha avuto fretta di specificare che non fosse li in qualità di sostenitore. “Sono venuto solo a vedere – ha detto – io sono di destra”. Secondo lui l’esiguo numero dei partecipanti dipendeva dal timore che, anche questa manifestazione, come quella della settimana precedente, venisse attaccata dai nazionalisti che – ha aggiunto – soffocano, con l’arroganza della forza, ogni voce fuori dal coro. “Appoggio il mio governo ma sono contro quello che sta succedendo a Gaza”. E’ sceso in piazza ma è rimasto a margine.

I dimostranti si sono dati appuntamento in centro. Il concentramento era previsto per le 8. Non hanno nemmeno fatto in tempo a srotolare gli striscioni e organizzare la partenza che, pochi minuti dopo, sono stati spinti fuori dalla piazza dalla polizia che ha cinto il gruppo fino a schiacciarlo nelle vie laterali. La manifestazione non è stata autorizzata per il pericolo di missili- ha spiegato un soldato. Eppure alle centinaia di persone sedute ai tavolini tutt’intorno al perimetro della piazza non è stato chiesto di andare al sicuro.

Alcuni attivisti, al termine della protesta, si sono incontrati sulla spiaggia di Jaffa. Non chiamateci movimento, hanno chiesto. Siamo troppo pochi, siamo una minoranza, ha spiegato Ronnie, attivista per la campagna di boicottaggio. Raccontate piuttosto che in Israele ci sono persone, con nome, cognome e differenti storie alle spalle, che si espongono in prima persona per chiedere la fine del massacro e dell’assedio di Gaza e l’occupazione dei Territori. “Pensa ai refusnik, gli obiettori di coscienza – mi ha suggerito- il loro numero non gli permette di assurgere a fenomeno di massa”.

Quest’anno sono stati 50 i firmatari, coraggiosi, di una lettera indirizzata lo scorso marzo al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Andranno in carcere perché si rifiutano di prestare servizio nell’esercito. Uno di loro era a Jaffa ieri sera. “Credo nel potere e nell’abilità della popolazione civile di creare una società più giusta- ha detto. Il mio rifiuto vuole essere espressione di questa convinzione”.

 

 

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