Una candela e una pioggia di razzi

Una festa di compleanno, il bombardamento su Gaza e Stand by me cantata a cappella per calmare i figli. Il racconto di uno scrittore

di Ahmad Yacoub, Unione Scrittori e Giornalisti Palestinesi

 

16 agosto 2014 – Linda, mia figlia, stava pensando e immaginando il suo compleanno da un mese. Tutti i giorni mi portava il programma che aveva preparato e che cambiava continuamente. Linda voleva una gran festa, voleva invitare tutti i suoi compagni di classe, i vicini e quelli con cui condivide le lezioni di musica e ginnastica.

Voleva che comprassi regali per ciascuno dei partecipanti alla festa, come ringraziamento per essere venuti e per i regali che le avrebbero fatto.

Linda voleva comprare cento palloncini di tutti i colori e dimensioni, che io avrei dovuto gonfiare. Voleva comprare un vestito nuovo da flamenco, voleva andare dal parrucchiere per tagliarsi i capelli á la garçonne e, ovviamente, voleva una torta con la sua foto fatta di crema, e con sapore al caramello. Voleva vari tipi di succhi di frutta. Voleva musica flamenco e di Shakira. Voleva e voleva.

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E visto che sono un debole, ho detto: “va bene, il giorno prima preparerò la maggior parte delle cose che chiede”. Ma all’improvviso sono esplosi dei razzi nel cielo di Gaza, la terra si muoveva come durante il terremoto, i caccia F-16 e i droni andavano e venivano scaricando una pioggia di missili. Anche i miliziani di Hamas lanciavano razzi e la catastrofe sembrava vicina.

Soffriamo mancanza di elettricità da anni, ma l’assenza di luce in tempo di guerra crea un’immagine spettrale della città. Se non c’è l’elettricità significa che non c’è nemmeno l’acqua, significa che bisogna salire le scale fino all’undicesimo piano del palazzo in cui vivo con la mia famiglia, in un quartiere della costa settentrionale della città di Gaza.

L’assenza di luce è assenza di vita e adesso con i bombardamenti si sta mettendo fine alla vita di molti. Linda era molto triste, ha pianto solo perché ha perso la sua festa di compleanno e mi chiedeva “Cosa dirò alle mie amiche e ai miei amici?”. Ha pianto anche perché si è persa i regali.

Io le ho promesso che organizzeremo una festa quando la catastrofe bellica sarà finita, e che sarà come lei vuole. Ma dentro di me mi chiedo se sopravviveremo. Molte volte mi pento di essermi sposato e aver avuto figli. Mi domando che colpa hanno queste creature e ripeto dentro di me: “Forse i popoli colonizzati non devono avere figli?”.

Le vere vittime sono i bambini. Quanta paura hanno? Quanti traumi subiscono? Quanti ricordi orribili immagazzinano nella loro memoria? E nel subconscio? Che tipo di personalità avranno questi bambini con tutta la violenza che stanno assorbendo?

I bambini del quartiere giocano a qualcosa che non sia la guerra? Io stesso ho avuto un’infanzia piena di sofferenza, risultato di varie guerre che ho vissuto. Ho dovuto leggere molto e in varie lingue, ho dovuto viaggiare in altri paesi e vivere culture distinte, ho dovuto discutere molto e passare per diverse esperienze, ho dovuto perdere molte cose. Tutto per arrivare alla tolleranza.
Spesso non do risposte alle domande dei miei figli sulle immagini tragiche che passano in televisione e dico “ve lo spiego dopo”, ma poi non lo faccio mai.
Gli eventi attuali però mi mettono in difficoltà in certi momenti con i miei figli, nel quartiere, a scuola. Perché loro parlano di tutto e conoscono la tragica storia. Adonís, mio figlio maggiore (10 anni) mi chiede: perché devo adattarmi alla guerra? Perché non sono nato in un paese senza guerra? Perché non possiamo viaggiare? Perché gli israeliani chiudono le frontiere? Perché ci attaccano? E perché noi li attacchiamo? E perché, perché, perché…

Nadim, il piccolo (4 anni), capisce di cosa parla Adonís e si mette la mano destra vicino alla testa e inizia a cantare l’inno nazionale palestinese, con la sua pronuncia infantile e Linda intanto insiste con voler festeggiare il suo compleanno. La città è chiusa, le strade sono vuote, un panorama triste e umiliante.

La televisione passa immagini delle vittime dei bombardamenti ovunque nella Striscia di Gaza, e la maggior parte sono bambini e bambine sotto le rovine, alcuni carbonizzati, altri fatti a pezzi. Non voglio che i miei figli vedano queste immagini, così cambio canale.
C’è stato un grande dramma quando hanno detto i nomi delle vittime e una di loro era un’amica di Linda, il suo nome era sulla lista degli invitati al compleanno.

Ho un’amica ebrea, una signora di più di 80 anni, sopravvissuta all’Olocausto, nata in Palestina e che ha vissuto tra Argentina e Cile. È scrittrice in lingua spagnola e nel suo curriculum ha scritto: luogo di nascita – Palestina. Attualmente vive a Gerusalemme, ci conosciamo da anni via internet e ogni tanto ci sentiamo a voce. Si ricorda la data di nascita di Linda e ha chiamato al telefono per farle gli auguri. Linda sa dire in spagnolo “Hola, ¿Cómo estás señora?” (Buongiorno, come sta signora? ndt) e inizia a cantare Bésame mucho.

La signora ci ha parlato dei missili che sono arrivati a Gerusalemme, molto vicino a dove vive e voleva sapere se stiamo tutti bene e al sicuro dai bombardamenti israeliani. Si augura di cuore che finisca tutto e che un giorno si raggiunga una pace giusta e duratura tra i due popoli e i due stati. Anch’io mi auguro lo stesso.

Mia moglie alla fine è riuscita a preparare una torta grazie agli ingredienti che avevamo in casa. Linda ha cambiato viso quando ha visto la torta, ha iniziato a sorridere. I bambini dimenticano, ed è un miracolo. Essere felice è quello che più cercano e la felicità, anche se parziale e temporale, permette che dimentichino tutta la sofferenza. E così è giunto il momento di celebrare la festa con 5 persone, che poi sono i membri della nostra famiglia.

Nel momento in cui abbiamo scattato la foto è esploso un razzo molto vicino all’edificio (nella foto si vede il bimbo più piccolo spaventato).

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E invece di cantare Tanti auguri, abbiamo iniziato a cantare la canzone di Timón e Pumba conosciuta come Stand by me. Alcuni anni e varie guerre fa, ho imparato a fare il pagliaccio davanti ai miei figli. Quando c’è un’esplosione e loro si spaventano, sobbalzano sulle loro sedie con i visi pallidi, gli occhi privi di lacrime, le bocche aperte senza grida, lo sguardo pieno di angustia, che punta verso di me, quando mi dicono “Papà fai qualcosa per noi”, io stesso non so cosa fare, non sono un eroe e come tutti ho paura e mi spavento. Però come padre, di fronte ai miei figli, cambio la tragedia in commedia e inizio a fare il pagliaccio, e la prima volta iniziai a cantare Stand by me perché inizia dicendo “dom.. dom.. dom…” e da allora serve come psicoterapia in modo che i bimbi tirino fuori la rabbia che hanno dentro. E così niente Happy Birthday, né flamenco, né Shakira , ma dom.. dom.. dom… Timón e Pumba.

Linda ha compiuto otto anni, e in questo tempo ha vissuto l’Operazione Piombo Fuso, il dramma del 2012 e tutti gli scontri dal 2006 fino ad oggi. Quante volte lo vivrà ancora se non si mette fine a questo grave conflitto che continua da più di settant’anni?
Linda insiste, quando finirà il bombardamento organizzerà la festa che aveva immaginato. E io, dentro di me mi dico “se sopravviviamo”.

 

[traduzione Teresa Fontanelli]


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