Goli Otok in vendita

La Croazia, alle prese con una grave crisi economica, pensa di mettere all’asta l’isola prigione dei tempi della rottura tra Urss e Jugoslavia

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]

24 agosto 2014 – Un agosto senza sole, un paese che necessita di fare cassa, un sito storico la cui memoria è difficile da ricordare. Sono questi gli ingredienti che caratterizzano una delle polemiche che nelle ultime settimane hanno investito le pagine interne della stampa croata.

Da alcuni mesi si parla della necessità di elevare al rango di monumento il complesso di Goli Otok, l’isola dell’Alto Adriatico dove si trovava il più aspro e terribile carcere del periodo socialista.

Correva l’anno 1948 e si profilava la rottura tra Stalin e Tito, che avrebbe portato un nuovo corso della storia e avrebbe condizionato la costruzione dello stato jugoslavo. Tuttavia, all’epoca furono in molti coloro che non riuscirono ad abbandonare dall’oggi al domani la fede nel mito sovietico e, dopo essersi opposti al nuovo corso o solamente sospettati di volerlo fare, incapparono in una selvaggia reazione da parte del regime, che lottava per la sua sopravvivenza.

Fu così che migliaia di individui furono accusati di essere “cominformisti”, quinte colonne dei sovietici nel paese e vennero perseguitati, rinchiusi, torturati. In particolare Goli Otok, dal croato “l’isola nuda” perché, battuta dal sole e dalla bora, era praticamente priva di vegetazione, divenne un carcere a cielo aperto, dove si praticavano lavori forzati e la tortura era un elemento quotidiano. Dei sedicimila prigionieri che vi passarono fino al 1956, almeno 400 persero la vita. Tra loro anche circa trecento italiani che, ironia della sorte, erano partiti volontariamente per la Jugoslavia per costruire il socialismo.

 

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Comunisti che perseguitavano altri comunisti, spesso uomini duri che provenivano da anni di militanza e che avevano esperienza delle carceri fasciste. Un ricordo che doveva essere rimosso dalla narrazione storica della Jugoslavia socialista, ma che anche oggi appare scomodo da tutti i punti di vista. Il ricordo delle loro sofferenze è stato strumentalizzato da nazionalisti di varia provenienza in quanto vittime di un regime comunista, ma la loro memoria è tuttora circondata dal silenzio, quello di chi si trovava dalla parte sbagliata della storia, sostenitori di Stalin, il cui operato di lì a qualche anno si sarebbe rivelato in tutta la sua brutalità.

Sebbene diverse associazioni operanti nel campo dei diritti umani e l’associazione stessa degli ex prigionieri abbiano più volte espresso l’opinione che l’ex carcere di Goli Otok debba essere trasformato in un complesso memoriale, il governo croato pare deciso a venderlo o a darlo in concessione a fini turistici. Dopo aver congelato il procedimento in seguito alle polemiche, gli interessati sono stati chiamati a fornire delle proposte di uso nell’autunno.

All’inizio di agosto l’associazione Ante Zemljar, che riunisce ex prigioneri di Goli Otok, ha indirizzato una lettera aperta al governo croato nella quale si chiede che il complesso divenga un centro memoriale realizzato in un’ottica interregionale, dal momento che si tratta di un luogo della memoria per i cittadini di tutti i paesi sorti dalle ceneri della ex Federazione jugoslava. “Siamo pronti a metter il nostro passato e le nostre vittime in vendita?” si sono chiesti.

La questione riguarda i rapporti con il passato regime in Croazia, dove, da una parte la strumentalizzazione politica, dall’altra il silenzio, hanno impedito fino ad ora una ricostruzione dettagliata dei fatti che occorsero nella piccola isola adriatica e soprattutto dei processi decisionali che vi portarono migliaia di individui. Riguarda anche i rapporti tra i paesi dell’area ex jugoslava e il loro legame con luoghi della memoria il cui valore andava ben oltre dei confini della repubblica nella quale si trovano. Ma anche, e soprattutto, nei paesi in crisi dell’Europa il rischio di svendere il patrimonio storico, culturale e ambientale per ripianare le traballanti finanze statali.

 

 

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