Ucraina: soluzione alla “bosniaca”?

Il convoglio russo e il congelamento del conflitto. Soluzione alla “bosniaca”?

di Matteo Zola, da Eastjournal

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24 agosto 2014 – Il convoglio umanitario russo è entrato in Ucraina, senza l’autorizzazione di Kiev, tramite il valico di Izvaryne controllato dai separatisti. Da giorni le guardie di frontiera ucraine lo trattenevano al confine per “ulteriori ispezioni” dopo che alcuni camion erano stati trovati semivuoti. Cosa contenevano? Armi da contrabbandare ai separatisti, secondo Kiev. Ma a essere contrabbandate sono state anzitutto le paure. Le autorità ucraine temono l’invasione e accusano Mosca di ammassare truppe al confine. Non solo: secondo Kiev il convoglio “umanitario” sarebbe un cavallo di Troia, un modo per entrare nel paese e congelare il conflitto. Un conflitto che, tra le migliaia di vittime, registra anche la morte di Mykola Zelenec, console onorario della Lituania a Lugansk, rapito e ucciso dai separatisti filorussi.

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Il convoglio umanitario e le sue 

Nei piani di Mosca il convoglio umanitario – ben 280 camion carichi di cibo, acqua, medicine, alimenti per bambini, gruppi elettrogeni – sarebbe dovuto transitare da Karkhiv, in Ucraina, e proseguire verso Lugansk e Donetsk con l’appoggio dell’esercito ucraino. Kiev, negando qualsiasi accordo con Mosca in tal senso, ha mandato messaggi contraddittori, dicendosi ora disponibile al dialogo, ora invece accusando Mosca. Il convoglio, partito dalla periferia di Mosca nella notte del 12 agosto, ha raggiunto la città di Voronezh due giorni dopo.

Da Voronezh si diramano due strade: a est c’è quella per Kursk e poi Kharkiv, in Ucraina, verso il territorio controllato dai governativi. A sud c’è quella per Kamensk-Shakthinsky, da cui poi parte la strada per Krasnodon e Lugansk attraverso il territorio controllato dai separatisti. La mattina del 15 agosto le intenzioni di Mosca sono parse evidenti: imboccando la strada verso sud, il convoglio ha rinunciato a transitare da Karkhiv rinunciando quindi a qualsiasi collaborazione con le autorità ucraine e la Croce Rossa internazionale, come invece era stato annunciato. Arrivato a Kamensk-Shakthinsky il convoglio è rimasto in attesa di sviluppi diplomatici ormai impossibili.

Kiev ha trattenuto il convoglio sul confine, adducendo motivazioni burocratiche, finché non è venuto l’ordine di passare da Izvaryne, attraverso il territorio occupato dai separatisti, violando così la sovranità ucraina. Gli osservatori Osce hanno contato 227 camion entrati in territorio ucraino in sei gruppi. Il governo ucraino ha reagito dichiarando che si tratta di una “invasione diretta” mentre Mosca ha replicato che “attendere ancora sarebbe stato inammissibile”. Washington ha invitato Mosca a ritirare il convoglio se non vuole “subire le conseguenze delle sue azioni” e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, è volata a Kiev per parlare con Poroshenko mentre anche Bruxelles condanna l’azione russa. Intanto i camion russi sembrano aver ripreso la strada del ritorno dopo aver consegnato il loro carico alle autorità ribelli di Lugansk.

L’assedio di Donetsk e il congelamento del conflitto

Tra il 25 e il 26 luglio cominciava la battaglia di Donetsk. Dopo che a metà luglio i separatisti, incalzati dall’offensiva dell’esercito ucraino, hanno lasciato Sloviansk, Artemivsk, Druzhkivka e Kramatorsk, la strada verso Donetsk era spianata e una vittoria delle forze governative sembra imminente. Ma Donetsk non è una città come le altre. Con più di un milione di abitanti, è uno dei più importanti centri industriali del paese e non si può colpirla con l’artiglieria pesante, come avvenuto a Sloviansk, né bombardare i villaggi circostanti. Non si può, anche perché così ha detto Rinat Akhmetov, l’oligarca degli oligarchi, l’uomo più potente del paese, che a Donetsk ha i suoi interessi e le sue aziende, oltre che la sua base di consenso e potere. Così, quando i ribelli hanno cominciato a ripiegare da Sloviansk, Akhmetov è andato in televisione a dire che “bisogna lottare per l’unità del paese” ma è necessario “un dialogo con i ribelli” perché “Donetsk non può essere bombardata, non si possono distruggere le città, i villaggi, non si possono distruggere le infrastrutture”.

Così le forze ucraine hanno cominciato un lungo assedio, e le forze ribelli – consapevoli di ciò che le attendeva – hanno fatto saltare i ponti che conducono in città, chiudendo in trappola i civili che cercavano di fuggire. Costretti a combattere villaggio per villaggio, strada per strada, i soldati di Kiev hanno dovuto rallentare la loro avanzata. Il prezzo da pagare per questa guerra di logoramento è l’altissimo numero di vittime che, a metà agosto, con la città ancora saldamente in mano ai ribelli, ammonta già a più di duemila. L’invio di un convoglio umanitario da parte di Mosca si motiva proprio per dare sollievo ai civili e – giocoforza – dare respiro e soccorso alle autorità ribelli.

Una soluzione alla “bosniaca”?

 A Kiev si teme che la presenza “umanitaria” russa renda permanente l’occupazione delle regioni orientali aprendo la strada a nuove annessioni o, più realisticamente, a un tavolo di trattative che veda la Russia in posizione di vantaggio consentendole rivendicazioni di vario genere. Fin dall’inizio del conflitto la Russia ha chiesto un assetto di tipo federale per la ‘nuova’ Ucraina in modo tale da mantenere la propria influenza sulle regioni orientali. Tale richiesta ha incontrato il favore di oligarchi come Akhmetov. Da tempo sembra profilarsi una soluzione alla “bosniaca”, per la quale l’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk e/o la Crimea vengano riconosciute come entità autonome all’interno dello stato ucraino, vicine più a Mosca che a Kiev. Esattamente quanto accaduto in Bosnia Erzegovina dove gli accordi di pace di Dayton hanno istituito una Repubblica Srpska autonoma, benché parte della Repubblica federale di Bosnia Erzegovina, più vicina a Belgrado che a Sarajevo, e che influenza in tal modo il governo centrale. Inutile dire che questa situazione avvantaggerebbe Mosca a scapito di Kiev, offrendo un pretesto per future secessioni.

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