Tre passi verso l’ignoto

Iran, Algeria, Arabia Saudita: in poco tempo, tre pilastri dello scacchiere mediorientale potrebbero cambiare leadership. In un contesto già in fiamme, con successioni che potrebbero essere tutt’altro che pacifiche

 

 di Christian Elia
@eliachr

 

10 settembre 2014 – Un’operazione d’urgenza. La Guida Suprema della Rivoluzione Islamica in Iran, ayatollah Alì Khamenei, 75enne, ha tranquillizzato gli iraniani, almeno quelli che gli sono affezionati, definendo l’intervento ‘’nulla di grave”, ma invitando comunque tutti a fare una preghiera per lui.

Fonti non confermate parlano di un intervento alla prostata, ma non è questo il punto. Non lo sapremo mai, come da copione quando si parla della salute dei leader di tutto il mondo. Il punto è che Khamenei, che ha ricevuto il potere dalle mani dell’ayatollah Khomeini, il leader della rivoluzione del 1979 che rovesciò la monarchia in Iran.

Un’investitura che, fin dall’inizio dell’insurrezione, passando per il biennio di lotta feroce contro le altre anime della rivoluzione iraniana – quelle laiche, di sinistra – portarono alla Repubblica Islamica nel 1981. Khomeini Guida Suprema, Khamenei presidente. Morto Khomeini nel 1989, Khamenei gli è semplicemente succeduto, con una continuità che nessuno ha mai messo in dubbio. Per meglio dire si, visto che il suo grande rivale Alì Montazeri si ritirò in rotta con la linea che la Rivoluzione aveva preso, mentre Khamenei scampò a un attentato alla sua vita nel 1981. A parte questo, la successione pareva scontata.

Senza retorica, però, il suo ciclo potrebbe volgere al termine. Da anni, ormai, si vocifera delle sue condizioni di salute e l’intervento di questi giorni non è certo un segnale di senso opposto. Cosa c’è dopo Khamanei? Questo è un passaggio su cui riflettere.

 

Ali Khamenei

Ali Khamenei

 

Lo stato iraniano non è una realtà improvvisata. I giochi di potere si muovono da tempo, ma non è chiaro quale linea prevarrà. L’attuale presidente Rohani è, nonostante la miopia dei media occidentali, il rappresentante di un nuovo corso, votato alla cooperazione internazionale, in rotta con l’isolazionismo di Ahmadinejad. Ma la sua linea, che dall’Iraq alla Siria, passando per l’agenda atomica, pare orientata a rapporti rilassati con gli Stati Uniti, potrebbe non piacere ai falchi. Khamenei, per ora, tiene tutto a bada. Ma dopo?

Un altro grande attore dello scacchiere Nord Africa – Vicino e Medio Oriente, già di per sè in fiamme, potrebbe vedere un nuovo problema esplodere nel suo cuore: l’Arabia Saudita.

Arci nemica dell’Iran, Paese con il quale è in corso una grave Guerra fredda da anni, in corso in altri paesi conto terzi, Riad è governata dalla famiglia Saud. In realtà, come dice il nome stesso, l’Arabia Saudita è la famiglia Saud. Solo che re Abd’Allah – in carica da nove anni – ha 90 anni. Anche le sue condizioni di salute sono avvolte nel mistero, ma la sua età parla di una fine vicina.

E’ l’ultimo figlio dell’uomo che ha fondato con la benedizione degli inglesi prima e degli statunitensi dopo il reame saudita. Non esiste più chi può ostentare un’appartenenza diretta. Una nuvola bianca di nipoti e potenziali candidati al trono si affollano attorno al suo letto. Ha 25 figli, ma ci sono gli eredi degli altri fratelli. Nonché i parenti dei figli che il fondatore della dinastia ha avuto da altre mogli. Un paio di candidati alla successione sono morti nel frattempo, ma che l’eredità non sia chiara è stato implicitamente reso palese dallo stesso Abd’Allah, che nel 2006 ha creato il consiglio di Bay’ah, organo di consultazione di saggi che dovrebbe dare il suo parere sul’erede. Gli altri, però, nessuno dei quali vanta la diretta discendenza da Saud padre, accetteranno la decisione?

 

Abd'Allah Saud

Abd’Allah Saud

 

Iran, Arabia Saudita. E Algeria. Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, classe 1937, è al potere dal 1999. Ha modificato la Costituzione per ottenere un nuovo mandato, che scadrà nel 2019. Solo che per votare Bouteflika è arrivato in sedia a rotelle, accompagnato in una situazione che pareva quasi di assenza.

I suoi problemi di salute sono noti, da tempo. I continui ricoveri in Francia coincidono con lunghe assenza dal Paese; l’ultima della quali è durata ottanta giorni. Un Paese, per risorse energetiche e per posizione geopolitica, è davvero un punto chiave per il Nord Africa.

Bouteflika non vanta il carisma (religioso) di Khamenei o (dinastico) di Abd’Allah Saud, ma è stato un elemento di equilibrio decisivo per porre fine alla sanguinosa guerra civile che ha devastato l’Algeria negli anni Novanta, dove gli islamisti radicali e i militari si sono affrontati senza esclusione di colpi . Nel 1999, Boutef (come lo chiamano gli algerini) è riuscito a riportare (almeno eseriormente) i militari nelle caserme, varando una politica di distensione con gli islamisti che pur lasciando largamente impuniti i crimini commessi durante il conflitto dagli uni e dagli altri, ha pacificato il Paese.

 

Abdelaziz Bouteflika

Abdelaziz Bouteflika

Che succederà ora? Bouteflika è comunuqe uno degli ultimi del gruppo dirigente che ha guidato l’Algeria all’indipendenza dalla Francia dopo un lungo e doloroso conflitto negli anni Sessanta. Certo, uno di quelli con lo stato di servizio meno trasparente e meno nobile, ma comunque di quel gruppo di ‘partigiani’.

Chi potrebbe prendere il suo posto? I problemi, in Algeria, non mancano, sono solo silenti. Gruppi armati islamisti sono ancora ben radicati in zone desertiche del Paese, la regione della Cabilia, spesso repressa, è sempre tenuta sotto controllo, il confine con la Libia è un ginepraio dopo la caduta di Gheddafi. Ecco, diciamo che il successore di Bouteflika riceverà un’agenda scottante, che potrebbe diventare esplosiva. Con l’esercito che, sul modello egiziano, potrebbe decidere di riprendere un controllo diretto del Paese.

Tre grandi paesi, tre passaggi di potere in un tempo che potrebbe essere molto ravvicinato. Tre pilastri degli equilibri della regione che già adesso è lacerata dai conflitti in Iraq e Siria, dalla questione palestinese, dalla Libia allo sbando, dal golpe in Egitto, dalle lacerazioni settarie in Libano, dalle divisioni in Yemen. Bisognerà muoversi per tempo, auspicando una presenza occidentale – per una volta – costruttiva e volta magari a sostenere voci innovative e democratiche nella regione.

 

 

 

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