The look of silence

“Sequel” di The Act of Killing, The Look of Silence è un documentario che parte dal genocidio indonesiano del 1965 per riflettere in modo sobrio e rigoroso sul ruolo della memoria e dell’istruzione. Dall’11 settembre nelle sale italiane

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/02/Juri-Saitta.jpg[/author_image] [author_info]di Juri Saitta. Nato nel 1987, laurea triennale in “Scienze della Comunicazione” e laurea magistrale in “Discipline cinematografiche. Storia, teoria, patrimonio” al DAMS di Torino. Appassionato di cinema praticamente da sempre, collabora con “FilmDOC” e “Mediacritica”.[/author_info] [/author] 

14 settembre 2014 – Vincitore del Gran Premio della Giuria alla 71a Mostra del Cinema di Venezia, The Look of Silence di Joshua Oppenheimer è il “seguito” di The Act of Killing e parte dallo stesso soggetto di base: il massacro dei “comunisti” compiuto in Indonesia dalle forze armate di Suharto nel 1965.

Se il documentario precedente vedeva al centro i carnefici (tuttora in libertà) che ricostruivano davanti alla telecamera i loro delitti, qui il “protagonista” è il fratello di una delle vittime, il quale interroga gli assassini, parla con altre persone coinvolte nella vicenda e guarda inoltre alcuni frammenti dell’altro lavoro di Oppenheimer.

The Look of Silence 4

Dal punto di vista narrativo e linguistico, The Look of Silence è indubbiamente più lineare e sobrio rispetto a The Act of Killing, in quanto ha una struttura basata soprattutto sui momenti di osservazione e sui dialoghi frontali, e non ha inoltre i momenti surreali e visionari del primo film. Per tali motivi l’opera in questione risulta certamente meno originale della precedente, ma in compenso possiede – nella sua apparente semplicità – una maggiore forza empatica e politica.

Infatti, risultano quasi indimenticabili gli sguardi severi e perplessi del protagonista di fronte ai “suoi” carnefici quando questi non vogliono ammettere e riconoscere le loro colpe, così come è assolutamente sconvolgente la sequenza della lezione di storia in una scuola elementare, nella quale un maestro spiega ai bambini quanto la strage del ‘65 sia stata giusta e necessaria.

Un travisamento della storia evidente e sconcertante, che si collega perfettamente con uno degli “argomenti” centrali del documentario: la memoria e come questa viene tramandata alle generazioni future.

Nel film vi sono circa cinque rapporti con il passato che corrispondono a figure precise e delineate: quella di chi racconta i propri ricordi modificandoli a proprio favore (gli assassini); quella delle persone che tramandano le loro memorie dal punto di vista di chi ha perso una battaglia (la madre del protagonista); quella di coloro che non possono ricordare (il padre con l’Alzheimer); quella di chi la vuole trovare anche per ragioni intime e personali (il protagonista stesso); infine, quella di chi la cerca da un’angolazione esterna e in qualche modo più fredda (il regista).

Dunque, da un lato vi sono memorie mistificate, impossibili e non volute, mentre dall’altro quelle cercate, riordinate e tramandate: tutti modi con i quali si guarda al passato e, indirettamente, al presente, sia dal punto di vista storico/politico sia da quello morale e psicologico.

Questioni che il documentario pone di continuo, anche attraverso i momenti in cui il protagonista – generalmente prima delle interviste – fa provare delle lenti da vista ai suoi interlocutori per costruire o modificare un paio di occhiali, in quella che è una metafora evidente sulla nostra capacità e volontà di vedere ciò che accade intorno a noi.

The Look of Silence 3

Un’allegoria chiara e mai didascalica, che risulta inoltre più sottile e complessa di quanto appaia. Infatti, le lenti sono uno strumento per osservare meglio la nostra realtà e risultano perciò una sorta di mediazione tra noi e il mondo. Quindi, vedere bene non significa per forza vedere ad occhio nudo, perché talvolta servono degli occhiali e qualcuno di fidato che li costruisca; così come per interpretare la storia e l’attualità non basta il nostro intuito o la nostra intelligenza, ma si rende indispensabile il “filtro” dell’istruzione e dell’informazione.

Così, le lenti rappresentano simbolicamente quegli strumenti culturali necessari per analizzare noi stessi e la nostra società, perché senza di questi siamo più condizionabili dalla propaganda: la vicenda del contadino semianalfabeta diventato carnefice per aver creduto alle false voci del potere ne costituisce un esempio lampante.

Ed è proprio qui che ritorna il discorso sulla necessità di tramandare la verità storica, una verità che il Paese ancora nasconde o capovolge, come dimostra la sequenza della lezione di storia.

The Look of Silence 2

The Look of Silence è, infine, un film che parte da una vicenda storica precisa per poi riflettere in modo più ampio e generale sulla responsabilità, la memoria e l’educazione. Il tutto attraverso un’idea semplice ma efficace (il confronto diretto tra vittima e carnefice) e un linguaggio cinematografico sobrio e rigoroso che utilizza delle metafore evidenti ma mai banali.

Il Gran Premio della Giuria vinto a Venezia è quindi assolutamente meritato.

 

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