U OCRAINA, SUL CONFINE

Una piccola premessa a Milano. Ivan abita nella sua casa di Rogoredo, periferia di Milano. Ivan lavora come muratore per un’impresa italiana e segue da lontano quello che sta succedendo nel suo paese


Testo e foto
di Nicola Bertasi

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5 ottobre 2014 – Questo racconto comincia dalle sue parole. «Io mi sento un po’ russo, un po’ ucraino e un po’ europeo. Nel mio piccolo paese di campagna convivono moldavi, rumeni, russi e ucraini. Non c’è spazio per nazionalismi. In Ucraina non c’è lavoro e molta gente è costretta a partire. Noi dell’ovest veniamo in Europa. Chi abita le regioni orientali molto spesso emigra in Russia. Io sono cresciuto in Unione Sovietica e adesso vivo qui, a Milano. Vedi ? Un po’ di là e un po’ di qua».

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U Okraina letteralmente significa “sul confine”. Una terra di frontiera che da centinaia d’anni è un ponte fra l’Europa e la Russia.

Antica patria dei Rus diKiev, l’Ucraina è stata poi divisa, riassemblata e ridivisa, subendo nel corso dei secoli l’influenza russa, austro-ungarica, polacca, rumena, turca. Seguendo il filo delle notizie di questi tempi, l’ovest dell’Ucraina sembrerebbe essere in rivolta contro le pretese russe di esercitare un’influenza sulla regione. Le testimonianze raccolte dipingono una realtà ben più complessa, dove convivono visioni diverse e storie di vita non assimilabili fra loro. Se da un lato le classi colte di Lviv rivendicano compatte la loro vicinanza all’Europa, nelle zone agricole dell’oblast di Chernivtsi, al confine con la Moldavia e la Romania, le persone raccontano un paese multietnico dove pochissimi parlano la lingua ucraina e le origini etniche non sono mai state un vero problema.

Kiev-Chernivitsi-Costiceni-Lviv. Sono state le tappe di questo viaggio. Una cosa è certa. Mentre il centro dell’attenzione della stampa mondiale è focalizzato sul tentativo di comprendere s l’Ucraina debba guardare a est oppure a ovest, la situazione economica del paese è disastrata, la corruzione da decenni dilaga, lo spettro di una guerra e dell’avanzata dei nazionalismi preoccupa molti.
U Okraina è davvero “sulla frontiera” e non è forse possibile definirla altrimenti.

Il paesaggio ucraino è costellato di vecchie fabbriche sovietiche abbandonate, campi coltivati e grandi foreste di betulle bianche. Ogni tanto si vede spuntare una cupola argentea di una qualche chiesa ortodossa, che riceve i deboli riflessi del sole e si illumina, come fosse un faro.

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Chernivtsi è una citta di 250 000 abitanti. Capoluogo della Bucovina, regione agricola dell’ovest. Nel milletrecento faceva parte della stato moldavo, è stata poi dominata dagli ottomani, dagli austro-ungarici e dai rumeni. Occupata dai nazisti durante le seconda guerra mondiale, è diventata infine parte dell’URSS, fino alia nascita dello stato ucraino. In centro ha sede una delle più importanti università del paese. Un impressionante edificio che ricorda l’architettura delle città anseatiche. La guida dell’università si chiama Dora e parla un francese impeccabile. Di origine rumena, si sente poco vicina alla piega che stanno prendendo gli avvenimenti. Preferisce non registrare l’intervista, nel timore di non avere un’opinione “gradita”.

Mykhailo Marchuk, è professore di filosofia ”Non è vero che ogni persona che parla russo desidera far parte della Russia. E’ pero vero che nell’est del paese la maggior parte delle persone è russofona. Quindi una soluzione di compromesso mi sembra l’unica strada percorribile».

Sergei, studente universitario: ”Sono molto arrabbiato con l’Europa. Avrebbe dovuto imporre sanzioni alla Russia e invece ci ha abbandonati. Il mio sogno fin da bambino e quello di vivere in Germania, vorrei essere tedesco.”

Lea, architetto originaria di Odessa: ”Qui ci sono molte risorse naturali. Abbiamo grandi industrie metallurgiche. Dobbiamo restare indipendenti perché possiamo farcela da soli. Il fenomeno che ha portato al crollo il regime di Yanukovich, ha mostrato al mondo che il nostro paese era costruito su un enorme apparato corrotto. ”

A Chernivtsi è stata allestita una piccola piazza Maidan. C’è il sempre presente gazebo di Svoboda (il partito nazionalistadi destra) che mostra i muscoli in vista delle elezioni. Al centro della piazza è stato portato un vecchio pianoforte, simbolo di quanto avvenuto a Kiev, quando un ragazzo, nel mezzo degli scontri con la polizia, ha cominciato a suonare una dolce melodia classica e per un attimo la bagarre si è fermata. ” Si dice che la musica salverà il mondo. Pensando al pianista di Kiev, ci credo davvero. La gente ha cominciato a manifestare perche non riusciva più a sopravvivere. I neonazisti, quelli di Pravyj Sektor, non erano lì dall’inizio. È una bugia costruita dal governo per giustificare le azioni violente della polizia», afferma Georgii, designer di Chernivtsi.

Il gigantesco bazar della città è stato ricavato da vecchi containers. Si trova di tutto, matrioska, fiori finti, elettrodomestici. Ma il commercio è fermo. I generi di prima necessità sono carissimi e i prezzi continuano a salire. Un cavolfiore costa oramai 1 euro mentre lo stipendio medio si aggira sui 100 euro. Via Via che ci si allontana dal centro città, il paesaggio perde quel chiaro tratto mitteleuropeo per lasciare spazio a costruzioni sovietiche in cattivo stato. Novoselycja è una cittadina di interscambio lungo la strada che porta al confine moldavo.

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Costiceni è un borgo di 3500 abitanti al confine con la Romania e la Moldavia. Gli abitanti sono quasi tutti migranti che partono verso i paesi europei alla ricerca di un lavoro. Che qui, praticamente, non esiste. Poi ritornano e coni risparmi costruiscono la loro casa.

Anzhela è sulla quarantina, ha vissuto diverso tempo in Italia, lavorando come collaboratrice domestica. Da qualche tempo è rientrata a Costiceni. E’ di origine moldava e ha vissuto metà della sua vita in Unione Sovietica. «Io credo che non dovremmo allontanarci troppo dalla Russia. La nostra storia è legata a quel paese. Non è il momento di entrare in Europa perché non possiamo permetterci i vostri prezzi. Bisogna cominciare dai salari. Non si può vivere con 150 euro al mese. Se lo stipendio e buono, si lavora più volentieri e magari non si deve emigrare per garantire un futuro ai propri figli. Quando c’era l’Unione Sovietica tutti avevano un mestiere, nessuno rimaneva per strada. Oggi sono disoccupata, senza alcuna speranza di trovare un lavoro e rimpiango quei tempi».

Anzhela Vasyl è figlio di Anzhela. Si è da poco laureato ed e stato assunto in un ufficio statale come funzionario. Sua madre ha dovuto pagare quattromila euro per l’assunzione. Un’enormità per la loro economia. «Vivo con mia mamma e mio nonno, mio padre è in Italia. Hanno rubato tutto e continuano a farlo. Al lavoro i miei colleghi più anziani mi raccontano che è sempre stato così. Nessuno sciopera per la paura di ripercussioni», dice Vasyl.

Ghena, insegnante di fisarmonica: «Ho studiato il russo ma con la mia famiglia parlo moldavo. Quando eravamo nell’URSS stavamo bene mentre oggi si vive di risparmi. Spero nell’Europa ma voglio vedere cosa succede alle elezioni del 25 maggio. ”

La casa della cultura di Costiceni ospita una piccola biblioteca. Ci sono libri rumeni, moldavi, ucraini e russi. Serafima è responsabile dal 1980. I libri non arrivano più e Serafima si occupa da sola di rifornire gli scaffali. «Dopo l’indipendenza ci mandavano soltanto libri in ucraino e in rumeno. Ma i nostri anziani sono abituati a leggere in russo e in moldavo. Sono io che vado a fare le scorte. Noi non conosciamo bene la cultura europea, siamo stati molto tempo legati alla Russia. Davanti alla casa della cultura c’era una statua di Lenin. Un mese fa qualcuno e venuto di notte e ha decapitato la statua. Il direttore voleva restaurarla ma gliel’hanno impedito e poi l’hanno fatta a pezzi. Chi è stato ? Non si sa… Sicuramente qualcuno di importante». Dice Serafima, bibliotecaria a Costiceni.

Ivan è idraulico. Larisa insegnante di rumeno. Sono ancora commossi per quanto successo a Kiev. Dove hanno perso la vita molte persone che lottavano per un cambio di regime, per la fine della corruzione che da decenni attanaglia il paese. Entrambi credono che le elezioni del 25 maggio saranno una data cruciale. «Il problema vero non è Europa o Russia, il problema è il lavoro – dice Ivan -. L’Ucraina deve restare indipendente, non deve dividersi. Ma la nostra economia è strettamente legata a quella russa. Senza la Russia non possiamo fare niente. Nell’est del paese, a Donetskci sono molte fabbriche che producono direttamente per i russi. Con soldi russi». «Non cambierà tutto da un giorno all’altro – prosegue Larisa -. Ci vuole tempo. Maidan è stata una possibilità per cominciare da capo, forse qualcosa succederà davvero. In questo momento io sono molto preoccupata perché credo che ci siano infiltrati di Putin nell’est del paese, personaggi oscuri, pagati per creare disordine».

Valja è casalinga: «Mancano i soldi, le pensioni sana irrisorie e non riusciamo ad aiutare i nostri ragazzi. Quello che ci interessa adesso è evitare una guerra e avere sempre il pane sul tavolo». C’è sempre qualcuno che beve un bicchiere al bar del paese. Sergej è appena rientrato dal lavoro e ordina una birra. Sorride e sfodera un italiano impeccabile. Poi una battuta in moldavo e una in ucraino con il vicino di bancone. Multiculturale, o no ?

Marino è disoccupato: «L’ottanta per cento dell’economia è controllata dalle mafie. Quando ho visto che la polizia ha cominciato a uccidere la gente a Kiev, volevo partire anch’io. Poi non sono andato, ho un bimbo piccolo. Qui da noi non ci sono nazionalisti, quelli sono a nord, a Lvov. Siamo alla frontiera; la gente conosce la lingua ucraina ma non la parla. Soltanto quando passa un russo o uno di Kiev. Tra di noi parliamo moldavo».

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Lviv è un’antica citta del nord-ovest dell’Ucraina. Fino alia fine del settecento e stata parte della Confederazione polacco-lituana. Gli Asburgo la conquistano nel 1772 e diventa cosi capitale del regno di Galizia. Vicina geograficamente e storicamente all’Europa, la popolazione di Lviv ha da subito supportato il movimento di Euromaidan.

Vira è una giovane lavoratrice. Come molti suoi coetanei di Lviv, ha partecipato agli scontri di febbraio. Vira crede che la rivolta di Kiev sia nata come una battaglia per la dignità umana contro un sistema corrotto e ipocrita. «Io chiedo ai miei concittadini dell’Est, di essere un po’ più open-minded. Di non credere così facilmente alla propaganda russa. L’Europa ci è vicina. Non bisogna fare come i bambini a cui si propone un piatto da assaggiare e scuotono la testa così, solo per principio».

II sindaco di Lviv, Andrij Sadovyj è uno dei personaggi più amati dalla piazza di Euromaidan. Convinto europeista e contrario a un’influenza russa sull’economia, crede che la rivoluzione sia ancora in corso. «L’Ucraina è un solo paese e deve difendere l’integrità del suo territorio. Il nuovo presidente dovrà comportarsi con onore e dignità, così l’Europa sarà fiera di noi».

Nella locale piazza dedicata ai morti di Maidan, si celebra una messa ogni ora. La comunità ortodossa locale è molto attiva. Volontari del partito nazionalista Svoboda tengono un presidio informativo. Nelle vie del centro storico sfilano regolarmente piccoli gruppi di manifestanti, sporadici ma dall’aspetto inquietante. Vestiti di nero, compatti, imbracciano motoseghe spente al petto. Pravyj Sektor. Una formazione neonazista che aveva pochissimo seguito ma dopo aver dato man forte militare al movimento, adesso non perde occasione per mostrarsi in pubblico.

Per ricordare, forse, chi ha le armi.

 

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