“Stiamo affondando” – “Chiamate Malta”

Un anno fa, l’11 ottobre 2013, un assurdo mix di inefficienza e rimpalli provocava la morte in mare di circa 200 siriani. Amnesty International ricostruisce quelle ore, chiede giustizia per le vittime e azioni concrete per evitare nuove morti

 

di Redazione
tratto dal rapporto “Vite alla deriva” di Amnesty International

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11 ottobre 2014 – È venerdì 11 ottobre 2013 quando, all’incirca alle 17, un peschereccio che trasporta oltre 400 persone, in maggioranza famiglie siriane, compresi all’incirca 150 bambini, affonda a 111 km da Lampedusa e 218 km da Malta, in acque Sar maltesi (Sar significa Search and rescue, cioè gli spazi di ricerca e soccorso in mare di pertinenza di ogni paese). Vengono salvate 212 persone, si calcola che circa altre 200 siano morte nel naufragio. I cadaveri recuperati sono soltanto 26. Dalla tragedia di Lampedusa in cui hanno perso la vita in 366 è passata appena una settimana.

Il rapporto di Amnesty International “Vite alla deriva” nel capitolo “11 ottobre 2013: una tragedia prevedibile” ricostruisce quelle ore basandosi sui dati ufficiali dei Centri di coordinamento soccorsi in mare italiano e maltese.

Il peschereccio era salpato da Zuwara, in Libia, all’una di notte dell’11 ottobre. Tra i passeggeri c’erano anche alcuni medici siriani che viaggiavano con le loro famiglie. Uno di loro, Mohanad Jammo, di 40 anni, un medico di Aleppo che avrebbe in seguito lanciato le richieste di soccorso all’Italia e Malta.

Circa alle 3 del mattino la barca è accostata da un battello libico con a bordo diversi uomini armati di kalashnikov. Questi tentano più volte di fermare l’imbarcazione, sparando alla fine alcuni colpi contro il motore della barca. Alcuni passeggeri restano feriti e il peschereccio comincia a imbarcare acqua. All’alba, infine, il battello libico riparte.

 

Una delle infografiche che accompagna il rapporto "Vite alla deriva"

Una delle infografiche che accompagna il rapporto “Vite alla deriva”

 

Mentre l’acqua s’innalza rapidamente all’interno dell’imbarcazione dei rifugiati e migranti, il comandante chiede se qualcuno parla inglese e se ha un numero d’emergenza da chiamare. Si offre Mohanad Jammo.

Secondo i resoconti, Jammo ha chiamato il Centro di coordinamento soccorsi (Rcc) di Roma alle 11 antimeridiane fornendo la posizione della barca, e aggiungendo che a bordo c’erano molti siriani e oltre un centinaio di bambini, e che stavano imbarcando acqua. Mentre l’Rcc di Roma nega di aver ricevuto la chiamata alle ore 11, ha confermato altre due chiamate di Mohanad Jammo alle 12.26 e di nuovo alle 12.39, quando l’Rcc di Roma gli ha comunicato che la barca si trovava in acque Sar maltesi e che doveva chiamare le autorità Sar di Malta.

Poco dopo, alle ore 13, l’Rcc di Roma ha informato della situazione l’Rcc di Malta, aggiungendo che nella zona erano state localizzate anche due navi mercantili. Alle 13.05, l’Rcc di Malta ha preso in carico il coordinamento dell’operazione Sar.

Tuttavia, malgrado il fatto che ben due Rcc fossero stati informati della richiesta di aiuti urgenti da parte dell’imbarcazione e della sua posizione, e nonostante la presenza nelle vicinanze di una nave della Marina italiana, ai rifugiati e migranti per ore non è stato fornito alcun soccorso.

Alle 16.22, l’Rcc di Malta ha comunicato all’Rcc di Roma che uno dei suoi velivoli aveva individuato l’imbarcazione, che questa non era in posizione ferma, ma che avanzava a una velocità di 5/10 nodi. Alle 17, la barca si è ribaltata ed è affondata rapidamente. Alle 17.07, l’Rcc di Malta ha informato l’Rcc di Roma che molte persone erano finite in acqua e che necessitavano di assistenza da parte delle unità italiane. Alle successive operazioni di soccorso hanno partecipato sia unità maltesi che italiane, oltre che navi mercantili.

 

La copertina del rapporto di Amnesty International

La copertina del rapporto di Amnesty International

 

Le forze armate maltesi (Armed Forces of Malta – AFM) hanno raccolto 143 persone (109 uomini, 19 donne e 15 bambini), le unità italiane 56 (39 uomini, otto donne e nove bambini). Sono stati recuperati 26 cadaveri. Considerando che le persone salvate sono state 212 e che a bordo c’erano oltre 400 persone, si ritiene che i dispersi in mare siano stati circa 200.

L’obbligo di proteggere la vita in mare è sancito dal diritto internazionale marittimo, dagli standard internazionali sui diritti umani oltre che dalla legislazione interna sia italiana che maltese.

La morte di circa 200 persone, in maggioranza rifugiati in fuga dalla guerra, in acque dove erano disponibili i soccorsi, che erano stati ripetutamente richiesti, deve ottenere giustizia.

È ragionevole – conclude il rapporto di Amnesty international – chiedersi se le autorità italiane e quelle maltesi siano intervenute tempestivamente e impiegando tutte le risorse che avevano a disposizione per salvare i rifugiati e migranti e se eventuali ritardi nei soccorsi abbiano contribuito al naufragio. Sia le autorità italiane che quelle maltesi hanno sostenuto di essere intervenute in conformità ai loro obblighi.

Il rapporto di Amnesty evidenzia almeno tre violazioni degli obblighi di Ricerca e soccorso da parte di Italia e Malta:

–       il fatto che il comandante dell’unità della Marina italiana Libra non abbia diretto la propria nave a tutta velocità verso la barca che chiedeva aiuto, come richiesto dalla Convenzione Solas per la salvaguardia della vita umana in mare;

–       che le autorità italiane non abbiano impartito all’unità l’ordine di procedere a tutta velocità verso la barca in difficoltà, come richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos);

–       che le autorità maltesi non abbiano fornito assistenza all’imbarcazione dopo aver preso in carico ufficialmente l’operazione, come stabilito dalla Convenzione Sar sulla ricerca e soccorso in mare, garantendo il coordinamento e la cooperazione con altri stati, in questo caso l’Italia.

Amnesty international esprime anche preoccupazioni e raccomandazioni per l’immediato futuro delle politiche migratorie europee. “Il 27 agosto 2014 – si legge – la Commissione europea ha annunciato che Frontex avrebbe avviato una nuova operazione, denominata Tritone, a integrazione dell’operazione italiana Mare Nostrum”.

Per Amnesty però è dubbio che Frontex, “un’agenzia che era stata creata per controllare le frontiere” dell’Unione Europea, sia in grado “di incentrare le proprie operazioni sul soccorso delle persone e garantire accesso all’asilo”.

 

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Una delle infografiche che accompagna il rapporto “Vite alla deriva”

 

Critica anche la posizione verso il Regolamento di Dublino, la cui ultima revisione, in vigore dal 1° gennaio 2014, “ha ancora una volta perso l’occasione di provare ad adottare un approccio sostanzialmente differente circa la questione della responsabilità nell’esame delle domande d’asilo”. Secondo Amnesty, sarebbe indispensabile “consentire ai richiedenti asilo di spostarsi laddove hanno vincoli familiari più ampi o legami più forti e prospettive di integrazione e assistenza migliori.

“Si dovrebbe – prosegue il rapporto – prendere in considerazione di consentire a coloro cui è stato concesso lo status di rifugiati o di protezione sussidiaria di spostarsi all’interno del territorio dell’Ue nel momento in cui è riconosciuto il loro status. Una riforma di questo tipo andrebbe in qualche modo ad affrontare le preoccupazioni legate ai flussi migratori di paesi come l’Italia e Malta che di fatto disincentivano i due paesi dallo svolgere operazioni Sar”.

Infine, ci sono parole molto chiare sulle responsabilità delle morti in mare: “Il rapido aumento dei rifugiati e dei migranti disposti a correre i rischi che comportano questi lunghi viaggi a bordo di imbarcazioni fatiscenti e sovraffollate non è soltanto il prodotto di un’accresciuta instabilità in Medio Oriente e del deterioramento della situazione in Libia negli ultimi 12 mesi.

È anche la conseguenza della progressiva chiusura delle frontiere terrestri europee e della mancanza di canali sicuri e regolari per i migranti e i rifugiati che intendono raggiungere l’Europa”.

E ancora: “Smantellare la rete di scafisti e trafficanti che sfruttano e maltrattano coloro che cercano disperatamente di raggiungere le spiagge europee è altrettanto necessario, ma non è, di per sé, una soluzione in grado di fronteggiare forze ben più forti in gioco. A lungo termine, l’Ue e i suoi stati membri dovranno riflettere su come potranno essere alla fine aperte vie più sicure e regolari per entrare in Europa sia per i migranti sia, e in special modo, per i rifugiati che costituiscono quasi la metà di coloro che arrivano irregolarmente via mare”.

 


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