Stupro di massa

La guerra nella Rep. Dem. del Congo, dove la violenza sulla donne è diventata paradigmatica di una strategia della sopraffazione

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/07/10566619_1396506580386967_1438872477_n.jpg[/author_image] [author_info]di Matteo Zola. Giornalista professionista, classe 1981, ha lavorato a Narcomafie occupandosi di crimine organizzato transnazionale. E’ fondatore e direttore di East Journal, quotidiano online sulla politica dell’Europa orientale. Si occupa di Africa collaborando con Nigrizia. Nel tempo libero scrive di critica letteraria, sua vera passione.[/author_info] [/author]

18 ottobre 2014 – Ci sono villaggi dal nome dimenticato, come Zalanambangu, in remote regioni dell’Africa centrale, lontane dai media, dove la guerra non finisce mai. E la guerra ha oggi un’arma nuova e antichissima, lo stupro. Lo stupro di massa è una delle caratteristiche delle guerre africane e, in particolare, del conflitto congolese.

Zalanambangu si trova infatti in Ituri, regione nord-orientale della Repubblica democratica del Congo. Qui le milizie di Paul Sadala, detto Morgan, sono arrivate una mattina come tante, hanno bruciato il villaggio, hanno violentato tutte le donne e le bambine, hanno rapito gli uomini. E’ un caso, il più recente, tra mille che restano sconosciuti. Se sappiamo qualcosa dello stupro di massa di Zalanambangu è perché alcune donne sono andate a farsi medicare dai medici delle Nazioni Unite che operano nell’area e che hanno denunciato, nel 2013, circa tremila casi di violenza sessuale. Benché triste, non sembra essere una notizia nuova. E invece c’è qualcosa di diverso.

Quello in Repubblica democratica del Congo è un conflitto a bassa intensità di cui poco si parla e che si protrae ormai da dieci anni, almeno dalla fine della Seconda guerra del Congo nel 2003 che causò circa 10 milioni di morti. La pace fu il frutto dell’integrazione delle milizie – in larga misura colpevoli di crimini di guerra – nell’esercito regolare e della costituzione di un nuovo stato in cui i signori della guerra sono diventati politici di spicco, ministri e generali.

 

 

I gruppi armati che non hanno visto le proprie richieste di “riconoscimento politico” accontentate, hanno continuato a combattere. Negli ultimi dieci anni il rimescolamento e la genesi dei gruppi armati è stata costante e non ha smesso di insanguinare le regioni del Kivu e dell’Ituri, già teatro della guerra. Le milizie di Morgan sono solo l’ultimo, e non unico, esempio di questo costante rimescolamento. Le regioni del Kivu e dell’Ituri sono lontane dalla capitale, Kinshasa, e il potere politico non arriva fin là.

A comandare sono i vecchi signori della guerra, quelli che insanguinarono il paese fino al 2003, che oggi vestono però i panni “legali” dell’esercito. Senza essersi mai mossi dalle loro roccaforti, senza avere mai lasciato il controllo delle miniere o delle terre, si sono limitati a cambiare casacca continuando come prima a predare indisturbati e trafficare droga, armi, legname, diamanti, oro, coltan e altri minerali. Spesso sono legati a stati esteri, come il Ruanda, di cui rappresentano una “quinta colonna” in Congo.

E’ necessario sottolineare che all’inizio della Prima guerra del Congo, nel 1996, i gruppi armati perseguivano scopi politici chiedendo l’accesso alla ricchezza per la propria etnia, oppure la tutela religiosa o la rappresentanza politica per il proprio gruppo. Per finanziarsi occupavano le aree agricole e minerarie trafficando le risorse. Progressivamente il traffico è diventato lo scopo della lotta relegando le rivendicazioni politiche in secondo piano. Nel 2011, finalmente, anche l’ONU definì quelle milizie come “gruppi di criminalità organizzata” (UNODC 2011).

La parabola delle guerre africane si palesa: le ragioni politiche lasciano spazio a quelle economiche e criminali, la guerra diventa necessaria perché, nel disordine, i traffici possono prosperare. E se dei traffici godono anche i vecchi signori della guerra, oggi generali dell’esercito, allora anche l’esercito è criminale. Il mantenimento del conflitto diventa così interesse dei nuovi politici e generali, già leader miliziani, e il crimine organizzato in Congo viene protetto e alimentato dai rappresentanti dello Stato.

I gruppi che restano fuori da questo network criminale, o che vogliono aumentare la propria quota di benefici, escono dall’ufficialità dell’esercito e ricominciano la lotta armata. Non ci sono motivi politici, solo sete di denaro. Lo stupro di massa diventa uno degli strumenti per aumentare le proprie “quote”.

Generalmente si ritiene che lo stupro di massa sia riconducibile alle ragioni della pulizia etnica che, seppur brutale, è un’arma politica poiché muta l’equilibrio etnico di una data regione, ma il Congo ci insegna che – venuta meno ogni ragione politica alla guerra – lo stupro di massa è oggi uno strumento economico teso a difendere il mercato criminale poiché, assoggettando la popolazione, traumatizzandola e “violentandola”, il gruppo criminale si assicura il controllo dell’area e quindi delle sue risorse.

Inoltre lo stupro produce un beneficio aggiuntivo nel caso in cui (le milizie, ndr) giungessero ad un accordo con l’esercito congolese che ne porti all’integrazione. Infatti, più una milizia accresce il proprio blasone attraversola violenza, maggiori possibilità ha di venire “invitata” a integrarsi nell’esercito regolare congolese.

Lo stupro di massa di Zalanambangu testimonia come cambiano le guerre africane. I sanguinosi conflitti dell’Africa vengono spesso spiegati ricorrendo a due chiavi di lettura: quella del conflitto per il controllo delle risorse che, per quanto vera, è assai riduttiva; e quella del conflitto etnico. Questa seconda, prediletta dai media, suggerisce una ri-primitivizzazione del continente africano e una sua sostanziale “irrazionalità”.

Così la violenza africana è rappresentata come “folle”, quindi incomprensibile, quando invece ha precise cause e precise soluzioni. Quella del Congo è una guerra alimentata da gruppi armati dediti alla crimine organizzato che godono di precisi appoggi politici interni ed esteri. E’ una “mafia” che va colpita nei suoi interessi economici, cioè i traffici illeciti, compiuti – va detto – con la connivenza dell’occidente e di altri paesi africani.

 

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