S’avanza la guerra/3

Analisi sui conflitti globali. Quando la guerra prende il posto della politica

 

di Bruno Giorgini 

 

19 ottobre 2014 – Ritornando in Medio Oriente (MO), luogo polveriera del mondo, la madre di tutte le battaglie è stata e è la questione israelo-palestinese. L’Europa e gli USA pagano il prezzo di questa ferita da decenni aperta fino alla marcescenza senza che sia stata trovata una soluzione giusta di pace.

Qui in particolare si addensano le violazioni della legalità internazionale, le risoluzioni dell’ONU che Israele non ha rispettato si contano a decine mentre lo stato ebraico rifiuta ostinatamente di rispettare i confini stabiliti nel 1948 e allargati con la guerra dei sei giorni e altre successive, incentivando invece l’installazione dei coloni nei territori occupati.

U.S. President Obama meets Israel's Prime Minister Netanyahu at the United Nations in New York

Questa colonizzazione forzata, premessa implicita al Grande Israele stigmatizzata anche dal fedele protettore americano, di fatto è ostacolo anche alla realizzazione di due stati per due popoli, che essendo caduta la possibilità di un comune stato israelo-palestinese forse la migliore, rimane l’unica via d’uscita per pacificare il territorio e l’intera area. Dalla parte palestinese fioriscono inevitabilmente le tentazioni e le azioni armate, spesso terroriste, formando intere generazioni di donne e di uomini che interamente si dedicano alla guerra. Se si riuscisse a spegnere questo ininterrotto focolaio di conflitto che alimenta e propaga guerra, intolleranza, fanatismi da decenni, probabilmente comincerebbero a dipanarsi soluzioni di pace praticabili nell’intero MO. Qui l’impotenza degli Stati Uniti emerge a tutto tondo, testimoniando in modo palmare come la politica della superpotenza che sola pretende di esercitare il comando, sia fallimentare. Ci sono problemi così intricati e complessi che necessitano una convergenza molto larga per essere risolti. Problemi per cui anche la forza militare di uno degli eserciti più agguerriti del mondo come Tsahal risulta inadeguata, a meno di non creare un deserto abbattendo milioni di esseri umani, cosa che di fatto aprirebbe la terza guerra mondiale dispiegata.

La attuale situazione appare similare se non isomorfa su scala globale a quella che precedette le guerre balcaniche degli anni ’90, ma lì prese corpo pure una pervicace volontà dei responsabili politici, tutti appartenenti al vecchio ufficio politico del partito comunista, di regolare vecchi e nuovi conti, anche personali, con le armi.

Questa volontà operò a tutti i livelli cercando e trovando nei vari nazionalismi e antichi rancori etnici la legna per il fuoco che intendeva accendere. Poi venne il tempo dei massacri, della pulizia etnica, degli stupri di massa, e delle lacrime postume fino alla attuale sistemazione dove il fuoco ancora cova sotto la cenere. Intanto l’Europa al meglio faceva orecchie da mercante, al peggio sceglieva, come la Germania tutta sola, di riconoscere l’ indipendenza della Slovenia quasi ancor prima degli sloveni, accelerando la disgregazione, senza aver prima definito il quadro politico istituzionale che avrebbe potuto rendere il processo pacifico e condiviso, forse. Ci volle l’intervento aereo degli USA per rompere l’assedio di Sarajevo, mentre le truppe dell’ONU pur presenti, lasciarono i cittadini “mussulmani” di Srebrenica alla mercé delle milizie serbe di Mladic che ne fecero strage. Dopo la Bosnia, prima abitata in pace da persone di diversa religione, cultura, etnia, fu spartita, cantonalizzata è il brutto termine tecnico, tra serbi, croati, e i cosidetti bosniacchi, spesso ancor oggi confidenzialmente chiamati in Croazia “i turchi”.

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È quindi avvenuto che uomini e donne di fede mussulmana ma di grande tolleranza e spesso amicizia verso i fedeli di altre religioni, inchiodate/i a un ruolo religioso nonché sottoposti/e a ripetuti attacchi in nome della difesa e vittoria della cristianità, che i croati tanto quanto i serbi sbandieravano, si siano radicalizzati/e e, per così dire, rappresi in una identità islamica divenuta predominante se non unica.

L’attuale situazione appare similare se non isomorfa a quella delle guerre civili balcaniche, ma c’è da sperare sia che le volontà guerrafondaie siano limitate e ininfluenti sia che da qualche parte emerga uno svincolo, una azione politica in grado di far recedere i venti di guerra, seppure a tutt’oggi la storia sembri andare a rotta di collo verso l’uso sempre più generalizzato della forza per regolare le controversie tra stati, tra popoli, religioni, etnie, culture. Da ultimo la crisi globale con le gigantesche disuguaglianze sia dentro i singoli paesi che tra un paese e l’altro, produce drastiche taglienti fratture mentre la battaglia per i mercati si arroventa. Fa impressione guardare l’assetto dei capitali alla vigilia della Grande Guerra descritto da Piketty nel suo Le capital au XXI siécle perché somiglia assai a quello attuale.

In fine, che si può fare contro la guerra. I popoli e i cittadini di Cosmopolis sembrano assenti, non compaiono se non nei sondaggi. I governi di pace sono pochissimi, su 162 nazioni soltanto 12 – tra cui il Brasile – non sono a tutt’oggi impegnate in alcun fronte e/o azione di guerra (fonte l’Institute for Economics and Peace). I movimenti pacifisti sono muti, d’altra parte non è chiaro cosa potrebbero, perché per un verso è pur vero che le pratiche dell’Isis non possono essere tollerate e per l’altro la deriva di collisione tra i giganti USA, Russia e Cina appare ben difficile da arginare, non foss’altro per le energie che mettono in campo.

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Intanto i partiti della sinistra europea e mondiale estenuati si occupano di altro e sono in generale privi di una visione strategica da quel poi, il loro orizzonte stando tutto dentro la NATO e il fronte occidentale, oppure rinchiuso dentro i confini nazionali. Ogni tanto si leva la voce del Papa, arrabbiata se non furiosa contro tutte le intraprese di guerra e i mercant d’armi, ma solitaria, nè compare all’orizzonte una rivolta delle coscienze. Forse L’Europa, o almeno il Parlamento europeo, o qualche gruppo parlamentare potrebbe assumere iniziative di pace. Per esempio gli onorevoli potrebbero andare in Ucraina a vedere come stanno le cose, visitando entrambi i fronti, monitorando lo stato delle popolazioni e dei prigionieri, le eventuali violazioni dei diritti umani eccetera, quindi tornando renderne edotti i loro elettori. Penso ai tre deputati italiani eletti nella lista Tsipras, o a altri/e della stessa parte politica. Sarebbe poco, pochissimo, comunque meglio di niente ma non accadrà.

Fine

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