Boyhood

“Boyhood”, di Richard Linklater, con Patricia Arquette, Ethan Hawke, Ellar Coltrane e Lorelie Linklater. Orso d’argento alla Berlinale 2014 per la miglior regia. Nelle sale dal 23 ottobre

 di Irene Merli

 

23 ottobre 2014 – Un film da record. Anzitutto i numeri: Boyhood è stato girato in 12 anni, tra il 2002 e il 2013, per raccontare la crescita di un bambino in una famiglia con i genitori divorziati dai 6 anni all’entrata al college. La troupe si riuniva per 4-5 giorni l’anno, quando il protagonista era piccolo, e più avanti per un mese consecutivo, in incontri che il ragazzino descriveva come “campo estivo”. Niente trucchi e parrucche per i due attori adulti, che hanno sempre recitato con i loro abiti personali, entrando e uscendo con pazienza dal ruolo e non solo: Patricia Arquette ha dovuto impegnarsi a non ricorrere a nessun intervento di chirurgia estetica per tutta la durata del film. Così sullo schermo, nei 165 minuti di proiezione, vediamo crescere realmente Mason (Ellar Coltrane, 2 anni in più del suo personaggio) e la sorella Samantha, mentre i loro genitori (Hawke e Arquette,) altrettanto realmente invecchiano.

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Il risultato è un romanzo di formazione ed insieme un affresco sull’essere ragazzi americani oggi. Davanti ai nostri occhi scorre infatti la vita “comune” di Mason, dall’inizio delle elementari fino alla maggiore età: la “boyhood” come dicono negli Usa. Certo, per lui e la sorella non sono 12 anni tutti positivi. Il padre riesce sempre a rimanere vicino ai ragazzi, anche se vive lontano e poi si rifarà una famiglia. La madre ha invece la tendenza a trovare mariti non eccezionali, costringendo i figli a cambiare città e quindi case, scuole ed amicizie. Nonostante tutto, Mason e Samantha riescono ad avere un rapporto forte e solido con tutti e due, fino all’ingresso all’università. Perché Mason senior e Olivia, a loro volta, si confrontare con le difficoltà dell’essere genitori in un contesto in continua evoluzione e anche se sbagliano ce la mettono tutta.

Ad essere celebrato nel film, in effetti, è il cambiamento, nei suoi momenti di normale svolgersi in cui si leggono le emozioni delle persone come fosse una luce a trapassarle. Il risultato è di incredibile verosimiglianza: si ride, ci si commuove, si ha una sensazione del tutto unica, difficile da spiegare ma nettissima: quella di vedere la vita vera di un ragazzino americano che cresce e si forma come individuo. Non per nulla, dopo una “prima” negli Usa uno spettatore ha chiesto a Linklater dove aveva trovato una famiglia così! Forse il motivo è il realismo estremo, forse il fatto che la trama è stata molto improvvisata e nessuno, neppure il regista, sapeva come sarebbe andato avanti il film prima della fine della lavorazione, montaggio compreso.

Boyhood è insomma un esperimento straordinario ed innovativo, che non ha nulla del documentario né tantomeno del reality, perché qui si recita e da professionisti. E poiché non usa trucchi né sostituisce gli attori via facendo, Linklater realizza uno dei sogni del cinema: mostrare la vita mentre si svolge, attraverso la potenza comunicativa di corpi veri che cambiano e invecchiano. Per questo è un film da vedere, senza alcuna esitazione, e secondo le entusiastiche critiche americane si candida già alla vittoria di un Oscar.

 

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