Cine tempestose

Negli anni ’50 un gruppo di studenti italiani si avventurò alla scoperta della Cina maoista. Un documentario ripercorre le loro storie

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/06/Schermata-2013-06-15-alle-20.39.17.png[/author_image] [author_info]di Francesca Rolandi. @FrancescaRoland. Storica, ha portato a termine un dottorato in Slavistica e si occupa di studi sulla Jugoslavia socialista. Ha vissuto a Belgrado, Sarajevo, Zagabria e Lubiana e ha provato a raccontarle per PeaceReporter, Osservatorio Balcani Caucaso, Cafebabel e Profili dell’Est[/author_info] [/author]

25 ottobre 2014 – Una manciata di decenni possono essere un baleno o un macigno, a seconda dei casi. Ma nella memoria dei primi liuxusheng italiani, gli studenti che si recavano nella Cina maoista e che hanno scoperto di propria mano un Paese del quale si conosceva pochissimo, sembrano essere un baratro rispetto al presente, in cui i rapporti con la Cina sono diventati quotidiani.

Il documentario di Sergio Basso, Cine tempestose, ricostruisce la realtà degli studenti italiani catapultati in un Paese che la guerra e la rivoluzione comunista avevano scosso negli anni immediatamente precedenti e di quelli che vi fecero ingresso dopo la rivoluzione culturale, durante la quale gli scambi culturali con l’Europa occidentale si interruppero. Un mondo che alla fine degli anni ’50 si poteva raggiungere, come racconta Renata Pisu, con un viaggio a tappe: dall’Italia al Nord Europa, da qui in Unione Sovietica e fino a destinazione con un aereo che doveva fermarsi ogni due ore per il cambio carburante.

.

 

Una società apparentemente impegnata a cancellare le sue tracce di un passato millenario, nonché i segni degli avvenimenti recenti, come la rivoluzione culturale. E dove le voci sfuggivano, ma ritornava la parola sui muri con i dazibao, manifesti critici verso le autorità, più o meno eterodiretti. Dove si girava in bicicletta e dove poteva anche capitare che le biciclette venissero rubate, ma nel quale la parola furto era impronunciabile.

Nei racconti degli ex studenti, la Cina si celava ai loro occhi al di fuori del quartiere-ghetto occidentale nel quale vivevano, isolati “per la loro sicurezza”, controllato dalla disciplina del partito. E nella quale le ferree regole della morale sessuofoba e puritana del regime potevano essere aggirate solo con stratagemmi. Sugli sporadici rapporti con la popolazione cinese pesava sempre l’ingombrante presenza del Partito, che interveniva anche per impedire i rapporti di amicizia tra cinesi e stranieri.

La Cina è stata per i liuxusheng un laboratorio, dove si sono confrontati in modo diretto con un mondo altro e spesso impenetrabile, e con un modello politico che aveva un’estrema risonanza, spesso distorta, anche in occidente. Gli esiti furono vari, ma molto spesso lasciarono un segno profondo: molti di loro contribuirono, come traduttori o docenti, al contatto con la cultura cinese, ma ci fu anche chi abbracciò la lotta armata.

Il documentario di Sergio Basso dà voce all’esperienza di un mondo ormai in parte scomparso, ma ci restituisce anche la freschezza della scoperta, la curiosità, l’incontro/scontro con l’alterità.

.

.

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1

.



Lascia un commento