Asilo, la CEDU: «In Italia rischio trattamenti degradanti»

La CEDU sospende il trasferimento dalla Svizzera all’Italia di una famiglia afghana. «In Italia potenziale rischio di essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti»

tratto da MeltingPot

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7 novembre 2014- La Corte Europea dei Diritti Umani si è espressa a maggioranza sul caso Tarakhel v. Switzerland deliberando che il trasferimento del nucleo familiare verso l’Italia, disposto dalle autorità svizzere ai sensi del Regolamento di Dublino, avrebbe sollevato il pericolo di violazione dell’Articolo 3 della CEDU in assenza di garanzie da parte delle autorità italiane circa l’accoglienza idonea dei minori e la coesione del nucleo familiare.

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La sentenza interviene sul caso di un rifiuto delle autorità svizzere di esaminare la richiesta di asilo di una coppia afgana con sei figli e la successiva decisione di trasferimento in Italia, paese in cui la famiglia aveva fatto ingresso il 16 luglio 2011.

In particolare la Corte ha rilevato che, visto l’attuale stato del sistema di accoglienza in Italia e in assenza di informazioni circostanziate circa la specifica struttura di destinazione del nucleo familiare, le autorità svizzere non si trovavano in possesso delle necessarie assicurazioni che una volta rimpatriati in Italia i richiedenti asilo avrebbero potuto accedere alla protezione internazionale in maniera conforme alle necessità dei minori e del nucleo di rimanere coeso.

La sentenza si pronuncia sulla vicenda della famiglia Tarakhel, la cui storia potrebbe essere esemplare dell’odissea compiuta da centinaia se non migliaia di nuclei familiari, adulti, persino minori non accompagnati in fuga da guerre e conflitti: dopo lunghe peregrinazioni dall’Afghanistan al Pakistan, dall’Iran alla Turchia, i coniugi Tarakhel e i loro figli raggiunsero via mare la Calabria, per venire poi assegnati al Cara di Bari. Poi la scelta di abbandonare il centro, forse per le sue condizioni o più semplicemennte perché l’Italia mai era stata la meta del loro lungo viaggio. La famiglia quindi parte alla volta dell’Austria da dove viene rispedita in Italia e poi ancora cerca fortuna in Svizzera, dove Tarakhel e la sua famiglia decidono di cominciare la loro nuova vita in Europa. Ma la libertà di scegliere dove far crescere i propri figli non è certo un diritto scontato. Così la famiglia di Tarakhel deve fare i conti con il Regolamento Dublino e con il rifiuto della Svizzera di esaminare la domanda di protezione disponendo il trasferimento della famiglia in l’Italia, paese di primo ingresso.

Ma in questo caso, a differenza di quanto avviene nell’esperienza quotidiana di migliaia di richiedenti asilo, è intervenuta la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che imprime a questa storia un corso diverso, spezzando così l’automatismo d’ufficio con cui i paesi dello spazio Schengen riammettono all’Italia, ai sensi del Regolamento di Dublino, chi in Italia non vuole rimanere.

La Corte precisa che “senza entrare nel dibattito circa l’esattezza dei dati disponibili, è sufficiente per la Corte notare l’evidente discrepanza tra il numero di richieste asilo presentate nel 2013, pari a 14.184 entro il 15 giugno 2013 secondo il Governo italiano, e il numero di posti disponibili nelle strutture appartenenti alla rete SPRAR (9.630 posti), dove – sempre secondo il governo italiano – sarebbero stati ospitati i richiedenti. Inoltre, dato che la cifra per il numero di domande si riferisce solo ai primi sei mesi del 2013, il dato per l’anno nel suo complesso è probabile sia notevolmente superiore, indebolendo ulteriormente la capacità di accoglienza del sistema SPRAR.”.

Basta pensare che solo nel 2014 (fino ad ottobre), a fronte di 152.000 arrivi, sempre secondo i dati del ministero dell’Interno, vi sono circa 61.000 migranti presenti in strutture d’accoglienza. Se 32.000 (sempre secondo il Ministero) sono ospitati in strutture temporanee e 12.000 nella rete SPRAR, circa 17.000 (improbabile!!!) dovrebbero trovarsi nei CARA e nei CPSA. Degli altri 90.000 invece, si sarebbero inspiegabilmente perse le tracce…

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Evidentemente si tratta di chi ha abbandonato l’Italia o si trova a vivere al di fuori dei centri in cui comunque non avrebbe potuto trovare spazio. Non è certo una novità. Le condizioni dei centri in Italia sono state più volte documentate, a queste si aggiungono le violenze che in queste settimane, a seguito della circolare sulle “identificazioni forzate”, hanno attraversato le strutture. Migliaia di richiedenti asilo e rifugiati poi si trovano a vivere in case occupate o sistemazioni di fortuna.

La CEDU insomma, con la sentenza, pur affrontando lo specifico caso della famiglia, sembra alludere alla necessità di non applicare meccanicamente e genericamente il regolamento Dublino III, per procedere alle riammissioni solo dopo una ponderata analisi della situazione dei richiedenti, valutando nel dettaglio se nel paese di primo ingresso la protezione internazionale è garantita oltre al rilascio di un titolo di soggiorno.

Se questo paese è l’Italia, raccomanda la Corte, allora occorre che le autorità italiane forniscano informazioni circostanziate e convincenti circa il progetto di accoglienza e di inserimento in caso di rinvio nel paese. In assenza di tali elementi, la domanda di asilo è di competenza dello Stato in cui si trova a vivere il richiedente.

La stessa Commissione UE ha commentato la Sentenza annunciando che “valuterà attentamente i suoi contenuti e le sue possibili implicazioni per il funzionamento del sistema di asilo in Italia e nell’Unione europea. Tuttavia, spetta in primo luogo agli Stati membri trarre le conclusioni da questo giudizio, e, in particolare, valutare quali implicazioni essa dovrebbe avere per le decisioni che si possono adottare in merito ai «trasferimenti Dublino” in Italia, oltre che per il modo in cui tali trasferimenti vengono effettuati. La Commissione segue da vicino la situazione in materia di asilo in Italia, in particolare, dato il gran numero di arrivi via mare in Italia lo scorso anno, ed è in stretto e regolare contatto con le autorità italiane. Sono state adottate misure concrete per sostenere l’Italia nei suoi sforzi per migliorare la situazione sul terreno”.

Una sentenza importante quindi, che ci aspettiamo possa bloccare i prossimi rinvii verso l’Italia in aumento anche a causa della Direttiva ministeriale con cui si autorizzano le questure italiane a identificare i richiedenti asilo in arrivo sul territorio nazionale con l’uso della forza contro la loro volontà, legittimando violenze fisiche al limite della tortura .

Senza dubbio un orientamento che conferma anche la legittimità di quella libertà di scelta e di movimento che migranti e rifugiati da tempo rivendicano sfidando quotidianamente le frontiere interne allo spazio europeo, determinati a ribadire il diritto ad autodeterminare il corso della propria vita, come accaduto in forma collettiva e pubblica proprio a Chiasso, quando con il No Border Train migranti, rifugiati e cittadini solidali si sono opposti alla chiusura della frontiera tra Italia e Svizzera.

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