Il default più pazzo del mondo

Il default argentino è un pasticcio internazionale che rischia di impedire in futuro la ristrutturazione di qualsiasi debito sovrano

[author] [author_image timthumb=’on’]https://fbcdn-sphotos-e-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/30586_117755678246365_6400426_n.jpg[/author_image] [author_info]Alfredo Somoza, @alfredosomoza, è presidente di Icei, direttore di dialoghi.info e collaboratore per Esteri, Radio popolare. www.alfredosomoza.com[/author_info] [/author]

10 novembre 2014 – In teoria lo scorso agosto l’Argentina ha subito un secondo default, dopo quello devastante del 2001. In pratica, però, ciò non è vero. Tutto risale alla sentenza, poi avallata dalla Corte Suprema, con la quale il giudice newyorkese Thomas Griesa ha interpretato il principio del pari passu in modo originale.

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Il principio secondo il quale gli obbligazionisti vanno trattati tutti nello stesso modo significa infatti, molto semplicemente, che nessuno può essere privilegiato in caso di insolvenza. Invece, a prescindere dal fatto che oltre il 90% dei creditori avesse accettato la ristrutturazione dei crediti con uno sconto tra il 30 e il 40% del capitale iniziale, Griesa ha stabilito che i fondi speculativi che avevano rastrellato i titoli dopo il default pagandoli tra il 10 e il 15% oggi hanno diritto a riavere il 100% del valore nominale più gli interessi.

Se l’Argentina accettasse la sentenza, questo principio di pari passu a rovescio si estenderebbe automaticamente anche a quei creditori che già avevano accettato l’accordo con lo Stato. Un pasticcio internazionale che rischia di impedire in futuro la ristrutturazione di qualsiasi debito sovrano: anche perché ciò che è successo per via di questa sentenza potrebbe costituire un precedente valido pure al di là della giurisdizione statunitense.

Non a caso il G20 ha formalmente aperto un dibattito interno per arrivare a una legislazione che impedisca sentenze simili. Per esempio stabilendo al momento dell’emissione di debito che, in caso di insolvenza, ciò che deciderà la maggioranza dei creditori sarà vincolante per tutti. Altra conseguenza immediata di questa situazione è l’indebolimento della piazza di New York per il collocamento del debito sovrano intitolato in dollari USA: così questa vicenda indebolisce ulteriormente il ruolo del dollaro come moneta di riferimento mondiale, sempre più in discussione davanti ai crescenti flussi di scambi in valuta locale, soprattutto tra i Paesi BRICS.

Nel frattempo l’Argentina ha depositato presso la Bank of New York Mellon il denaro per pagare i creditori che avevano accettato il concambio post default. Somma che però è stata bloccata dalla Corte statunitense perché, secondo la sentenza, parallelamente l’Argentina dovrebbe pagare per intero i fondi avvoltoi favoriti da Griesa. Il grande paradosso di questa vicenda, dunque, è che il Paese teoricamente entrato in default ha i soldi per onorare la scadenza, quindi ha la liquidità necessaria per non entrare in default… ma quegli stessi soldi sono stati immobilizzati in una banca da una sentenza.

Stiamo parlando, com’è chiaro, di un pasticcio nel quale si è cacciata la giustizia statunitense, e di conseguenza gli Stati Uniti come piazza finanziaria. Le ripercussioni vanno molto oltre il ruolo dell’Argentina, o ciò che essa può rappresentare per l’economia mondiale. I vincitori, per ora virtuali, sono infatti i fondi speculativi che, grazie alla deregolamentazione dell’economia globale, possono scorrazzare sulle vaste praterie della speculazione scommettendo ora sulla scarsità di cibo, ora sul fallimento di un Paese. Una finanza spregiudicata che opera però legalmente. Per l’Argentina, che dopo 10 anni stava per rientrare nel mercato internazionale dei capitali e ora è in affanno per la ripresa dell’inflazione, si tratta di una batosta dagli esiti imprevedibili.

La morale di questo default senza precedenti, ma che crea un pesante precedente, è che, per far rientrare in un recinto di regole condivise i buoi scappati negli anni dell’ottimismo globale, dopo una lunga ricreazione la politica dovrà tornare a occuparsi di economia: non per trasformarsi essa stessa in imprenditore, bensì per farsi garante degli interessi dei cittadini.

 

 

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