Resistenza multimediale

Giacomo Ulivi ed Emilio Po furono fucilati il 10 novembre di 70 anni fa. Li ricordano un archivio digitale e un’app per smartphone

 di Giulia Bondi

 

“Tisbe mia adorata ed amabile sposa, so quanto male t’ho fatto e il dolore che lascio a te con le mie due piccole creature Meri e Maurizio, che spero in avvenire siano degne ed abbiano stima di te come di già nella loro tenera età l’hanno ora. (…)  Per ora sta ancora in casa fino a guerra finita per poter tirare avanti meglio la famiglia tutti assieme oggi e sempre.”

10 novembre 2014. Questo è un brano della lettera che Emilio Po, 28 anni, falegname, comunista, scrive alla moglie prima di andare incontro alla morte. Era stato catturato dai fascisti l’8 novembre 1944, mentre preparava ordigni esplosivi per i Gap, i gruppi di azione patriottica. Lo avrebbero fucilato due giorni dopo, il 10 novembre, in piazza Grande, a Modena. Morirono con lui il 19enne Giacomo Ulivi, studente antifascista, e Alfonso Piazza, soldato siciliano rimasto bloccato al nord dopo l’8 settembre, ed entrato nella Resistenza.

Parole semplici, quelle di Emilio Po, che testimoniano come la lotta di Liberazione sia stata anche lo spazio per fare emergere alla politica persone dei ceti popolari, le cui capacità di leadership e di impegno sarebbero rimaste ingessate e bloccate nell’Italia fascista.

 

ulivi lettera

 

Negli stessi giorni, scriveva due lettere anche il suo compagno di carcere, Giacomo Ulivi. Una per la madre, dolce e rassicurante, con parole simili a quelle che Emilio Po sceglie per i suoi cari. La seconda, più nota e complessa, è per gli amici. Un testamento spirituale che rivendica l’importanza dell’impegno politico e rifiuta ogni forma di rassegnazione.

“L’egoismo, dicevamo, l’interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l’ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della “cosa pubblica”, insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri.

Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!”

Giacomo Ulivi, studente universitario, era entrato in contatto con la Resistenza  nella zona di Parma. Catturato l’11 marzo 1944, riuscì a fuggire e nascondersi a Modena. Arrestato altre due volte, torturato, fu condannato a morte insieme a Po e Piazza il 9 novembre, in seguito all’occupazione partigiana di Soliera avvenuta sei giorni prima, e fucilato l’indomani.

Le lettere di Po e Ulivi sono pubblicate, insieme a quelle di altre decine di condannati a morte della Resistenza, nell’archivio on line ultimelettere, che mette a disposizione, con diverse possibilità di ricerca, i fondi archivistici donati all’Istituto Nazionale per il Movimento di Liberazione in Italia da Piero Malvezzi (tra il 1985 e il 1986) e da Mimmo Franzinelli (nel 2005), assieme a numerosa altra documentazione, messa a disposizione da archivi di enti e associazioni e da privati (nella maggior parte dei casi famigliari delle vittime).

 

Liberazione

 

 

A settant’anni dalla fucilazione di Emilio Po, Giacomo Ulivi e Alfonso Piazza, un’altra iniziativa multimediale contribuisce alla diffusione della storia della Resistenza. Si tratta di nove applicazioni gratuite per smartphone, realizzate dalla Rete degli Istituti storici dell’Emilia-Romagna, che consentono di visitare le città capoluogo della regione scoprendo i luoghi dell’antifascismo, della Resistenza, della solidarietà verso prigionieri alleati ed ebrei, della violenza fascista, della vita quotidiana negli anni della guerra.

Il sito Resistenza mAPPe raccoglie tutti i testi e le descrizioni dei luoghi. Tra quelli di Modena c’è anche l’appartamentino nel quale Emilio Po preparava i suoi ordigni, che sarebbero stati poi utilizzati negli attentati dei Gap, i Gruppi di azione patriottica.

A Parma si può scegliere di fermarsi davanti alla sede del giornale “Il Piccone”. Il giornale, dopo esser stato per qualche tempo l’organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista), prima che le autorità lo chiudessero per motivi di natura economica o più probabilmente per ragioni politiche, divenne nel dicembre1942 organo clandestino degli studenti e dei giovani antifascisti iscritti al partito comunista di Parma.

Dopo l’8 settembre 1943 il gruppo di studenti avversi al regime riuscì a stampare solo due edizioni viste le condizioni critiche in cui il lavoro clandestino doveva svolgersi. Nonostante questo i pochi fogli stampati furono importanti per diffondere per le vie della città le idee antifasciste e per sollecitare la partecipazione e l’impegno di tutti. Con il titolo «Il Piccone in montagna» il giornale riprese vita all’interno della 47ª Brigata Garibaldi. Cambiò anche la sua funzione, non più un mezzo di diffusione di ideali antifascisti, ma strumento per favorire il dialogo tra i partigiani e la popolazione delle montagne.

 

schermata resistenza mAPPe da computer

 

A Rimini si può scoprire la “Casa delle staffette”, residenza di uno dei responsabili militari dei partigiani, Attilio Venturi, e della moglie Rosina Donini (Margherita), che teneva i contatti diretti tra il PCI clandestino, il CLN e la Resistenza, operando in un’area che andava da Forlì a Cattolica.

Luoghi ricordati da lapidi, come il modenese “Tvajol ed Furmajin”: lo spazio nel quale morì, gettandosi dalla torre Ghirlandina, Angelo Fortunato Formiggini, editore e intellettuale, suicidatosi per protestare contro le leggi razziali promulgate nel 1938.

E luoghi che non hanno lapidi, perché erano le sedi provinciali dei partiti fascisti, luoghi di violenza e torture, o al contrario perché erano spazi clandestini, di cospirazione, che nemmeno negli anni successivi si è voluto o potuto segnare con una “memoria di pietra”.

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