Cafè Moroc

Ricordi di un Marocco in bianco e nero, dalle vetrine dei suoi caffè

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2014/09/az.jpg[/author_image] [author_info]di Tano Siracusa. Dagli anni ’80 prova a fare informazione raccontando la quotidianità in molti paesi del sud del mondo. Con la fotografia soprattutto, ma negli ultimi anni anche con le parole e con i video. http://www.tanosiracusa.it[/author_info] [/author]

15 novembre 2014 – Una volta in Marocco i caffè erano luoghi di ombre e di specchi che le scheggiavano, profondi, bui, da dove si guardavano per strada passare le persone e il tempo. Ogni tanto qualcuno, un bambino, guardava trasognato da fuori, dalla strada, dentro il caffè.

Era un Marocco in bianco e nero, sgangherato e allegro, ma soprattutto ambiguo, dove ancora si poteva incontrare un arguto commerciante che, appena uscito dal carcere in cui era finito per debiti, vi invitava a dormire a casa sua oppure una ragazza che metteva il velo per civetteria e il giorno dopo, in jeans, quasi non la riconoscevi.

Dove due donne interamente coperte, velate, misteriose, entravano in un ristorantino e, parlando ad alta voce, eccitate, aspettavano che i clienti lasciassero qualcosa nel piatto per sfamarsi. Dove i gatti, tutti quei gatti pigri, sonnolenti, tenevano a bada gli scarafaggi.

 

 

Adesso il Marocco e i suoi caffè sono a colori. Come i televisori che, sempre accesi quando in tv c’è un match, raccolgono a volte le tifoserie contrapposte del Barça e del Real, con i marocchini che fanno il tifo per Ronaldo invece che per Messi. Ma, fatta eccezione per le partite, gli schermi televisivi, a volte grandi e panoramici, rimangono silenziosi e i caffè continuano ad essere luoghi dove si fuma molto e si parla poco, a bassa voce, dove c’è sempre un cameriere in movimento che forse gira a vuoto perché il tè alla menta non arriva, oppure è proprio il tempo che lì dentro rallenta. E fumano. Ogni tanto si sente l’odore del Kif o dell’hashish.

C’è chi legge il giornale, chi gioca a carte, chi lavora con il suo portatile. Ma la maggior parte dei clienti sorseggiano il tè o il cafè au lait e guardano le immagini sullo schermo, i servizi sui vari disastri che avvengono nel mondo. Sono tutti uomini. Nel Marocco andaluso, nella medina di Tangeri, ad Asilah, a Chaouen, sono tutti uomini.

A Marrakech, nei caffè della città moderna, è facile invece incontrare qualche donna, anche sola. Ed è così in molte zone moderne delle grandi città. Ma il Marocco è un paese di piccole cittadine e di villaggi. E di antiche medine. E in quel Marocco antico, nei caffè delle medine, la presenza delle donne è assai meno probabile.

Fondamentalmente per un occidentale i vecchi caffè in Marocco, per fortuna ancora tanti, sono luoghi di spaesamento. Il tempo, se ancora esiste, è fuori, sulla strada, oppure in quelle immagini caotiche che passano sugli schermi, dove si vedono esagitati che urlano, folle di disperati, guerre, atrocità, catastrofi. Il tempo è fuori, in un altro mondo.

 

 

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