Un viaggio in Nigeria, patria di Boko Haram

Pensieri e riflessioni di un inviato di ritorno dal Paese africano che a febbraio andrà alle urne per eleggere il nuovo presidente. E che, nel frattempo, continua a subire le violenze del gruppo terroristico

[author] [author_image timthumb=’on’]http://www.buongiornoafrica.it/wp-content/uploads/2012/06/raffa01.jpg[/author_image] [author_info]di Raffaele Masto. @RAFFAELEMASTO. Faccio il giornalista e lavoro nella redazione esteri di Radio Popolare. Nei miei oltre venti anni di carriera ho fatto essenzialmente l’inviato. In Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa, continente nel quale viaggio in continuazione e sul quale ho scritto diversi libri dei quali riferisco in altri spazi del blog www.buongiornoafrica.it. Insomma, l’Africa e gli africani, in questi venti anni, mi hanno dato da vivere: mi sono pagato un mutuo, le vacanze e tutto ciò che serve per una vita di tutto rispetto in un paese come l’Italia.[/author_info] [/author]

24 novembre 2014 – Il blog Buongiorno Africa è stato fermo una settimana. Sono stato in viaggio in Nigeria, uno dei paesi più colpiti dal terrorismo di matrice islamica. Arrivato in Italia, dopo 24 ore di vuoto di notizie a causa dei voli aerei, constato che mentre ero in viaggio Boko Haram ha continuato la sua azione distruttrice.

 

boko-haram-nigeria

 

Un’altra carneficina è stata compiuta nel nord-est della Nigeria, vicino al confine con il Ciad. Solo pochi giorni fa, mentre ero sul posto, erano stati massacrati 45 abitanti di un povero villaggio che si chiama Azaya Kura, i miliziani avevano preso possesso della cittadina di Chibok dove nello scorso aprile sono state sequestrate oltre duecento studentesse.

Quest’ultima strage ha fatto almeno cinquanta morti, è stato praticamente distrutto un remoto villaggio di pescaori e agricoltori al confine con il Ciad sul lago omonimo. Tutte le vittime sono state sgozzate o falciate da raffiche di Kalashnikov. Il nome del villaggio è Doron Baga, una località già attaccato in passato dai miliziani fondamentalisti che qui lo scorso agosto hanno ferocemente combattuto contro i militari inviati dal governo centrale di Abuja. Molti abitanti erano fuggiti abbandonando tutto ma altri erano rimasti.

Il copione di quest’ultimo massacro è stato simile a quello di altri sanguinosi raid. I miliziani sono piombati sul villaggio a bordo di motociclette sparando contro qualunque cosa si muovesse. Hanno sgozzato chi non era riuscito a fuggire o era ferito, incendiato case e rubato generi di prima necessità e viveri. Poi sono spariti nella savana.

Tutto questo è avvenuto mentre il paese si avvia verso le elezioni presidenziali di febbraio e la campagna elettorale si è già rivelata durissima e senza esclusione di colpi. Mentre lasciavo la Nigeria la polizia sparava candelotti lacrimogeni all’interno del parlamento di Abuja dove era nata una rissa provocata dai parlamentari dell’opposizione che non volevano rinnovare lo stato di emergenza al Nord.

Alla fine lo stato di emergenza, chiesto e ottenuto quasi un anno fa dal presidente Jonathan, è stato sospeso. Uno sgarro verso il capo dello stato uscente che, secondo le previsioni, rimane comunque il favorito della consultazione.

Ma febbraio è ancora lontano e la Nigeria, paese complesso, lacerato, contradditorio e paradossale , potrebbe riservare sorprese. Di fatto, per ora, Boko Haram potrà intensificare i suoi attacchi nel nord dove, per effetto della sospensione dello stato di emergenza, non ci sarà nemmeno più l’esercito schierato per fronteggiare questi miliziani spietati che sempre più stanno mostrando di voler entrare con i piedi nel piatto delle prossime elezioni.

Insomma anche Boko Haram fa campagna elettorale e si inserisce nelle lacerazioni di questo paese. Dopo una settimana di viaggio in questo paese la convinzione che la Religione e l’Islam non c’entrano nulla si è fatta più forte.

 

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