Immaginari (post)coloniali

Un gruppo di ricercatori vuole promuovere la rielaborazione del passato coloniale italiano creando un archivio condiviso e partecipato. Per andare oltre gli stereotipi, verso una normalizzazione del nostro rapporto con l’altro, lo straniero

di Cora Ranci
@coraranci

 

26 novembre 2014 – Perché in Italia abbiamo così tante difficoltà a entrare in relazione con l’altro, con lo straniero? Le cronache degli ultimi tempi rendono questo interrogativo più attuale e pressante che mai. Sono gli italiani che sono razzisti? Oppure sono le politiche istituzionali a essere inadeguate? Mentre le polemiche imperversano nei salotti tivù e sui social network, tra le lamentele dei sedicenti “non razzisti” e le accuse di “buonismo”, si rischia di perdere di vista il cuore della questione. Che non riguarda solo Mare Nostrum o Frontex Plus, ma anche l’immaginario collettivo in cui siamo immersi e che, in modo più o meno evidente, ci condiziona.

È a partire da questa considerazione che un gruppo di ricercatori, universitari e non, indaga da tempo l’origine degli stereotipi culturali attraverso cui gli italiani interpretano il loro rapporto con lo straniero. Giulia Grechi, antropologa visuale, e Viviana Gravano, storica dell’arte contemporanea – fondatrici del magazine roots§routes – hanno raccolto intorno al progetto “Immaginari post-coloniali” una vasta rete di studiosi che condividono l’idea che, proprio per superare i molti stereotipi, sia importante che l’Italia rielabori il suo passato coloniale.

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Ma cosa c’entra il passato coloniale italiano, che risale alla metà del XIX secolo fino all’epoca fascista, con il fenomeno migratorio che viviamo oggi, quasi un secolo dopo?

Secondo gli ideatori del progetto “Immaginari post-coloniali”, la nostra cultura continua a essere intrisa di stereotipi razzisti che risalgono al periodo coloniale, e che la mancanza di rielaborazione di quel passato ha impedito di superare. L’occupazione italiana dell’Africa è infatti un capitolo rimosso dalla memoria storica condivisa. Molti italiani non conoscono i crimini commessi dagli italiani in Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia non solo in epoca fascista, ma anche prima, durante l’epoca liberale durante la quale venivano poste le basi dell’unità nazionale italiana.

Grechi e Gravano hanno così deciso di aprire una riflessione collettiva su questo passato rimosso, chiamando tutti gli italiani a contribuire alla costruzione di un archivio condiviso del colonialismo italiano. Un archivio che conterrà le immagini e gli oggetti quotidiani presenti nelle case di molti italiani che testimoniano di quella lunga fase in cui l’Italia è stata una potenza coloniale a tutti gli effetti.

L’appello è rivolto a tutti: se conservate in casa vostra una fotografia mandata dal fronte, una lettera, una cartolina, la dicitura di un documento ufficiale, o anche il quaderno delle elementari di vostro nonno, potrete inviarlo a Immaginari post-coloniali – qui le istruzioni, e per chi è interessato il consiglio è di seguire la pagina Facebook del progetto. L’oggetto verrà fotografato e scansionato, e vi sarà restituito. La sua riproduzione digitale andrà a comporre l’archivio, navigabile on-line, che diverrà un vero e proprio mosaico delle memorie pubbliche e private del colonialismo italiano.

“Perché esiste una memoria intima del colonialismo, conservata nelle piccole “collezioni” private delle persone che hanno vissuto quel periodo, chiuse nei cassetti e nelle soffitte. I nostri padri, le nostre madri, i nostri nonni sono (spesso inconsapevolmente) gli ultimi custodi di tante storie del periodo coloniale, che col passare del tempo sarà sempre più difficile recuperare”.

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Faranno parte dell’archivio anche le rappresentazioni dei popoli colonizzati presenti nelle pubblicità o nelle riviste popolari. Spiegano Grechi e Gravano: “Ci interessano le bustine di zucchero, gli striscioni negli stadi, le pubblicità storiche o contemporanee di caffè, detersivi, biscotti o alcolici con immaginari intrisi di stereotipi su di “Noi” e sugli “Altri”. Ci interessano Orzowei, il romanzo di Alberto Manzi del 1955, e la serie televisiva che ne hanno ricavato negli anni ’70, ma anche i Mondo Movies italiani degli anni ’50-’60 e i Cannibal Movies degli anni ’70. Ci interessano tutti gli oggetti e le immagini con cui molti di noi sono cresciuti felicemente da bambini e adolescenti, intrisi di esotismo e di un certo modo di guardare a noi stessi e agli altri, tra desiderio e repulsione. (…) Ci occuperemo di comprendere il modo in cui tutti questi immaginari, che sono la base della cultura popolare italiana, abbiano formato una specie di sceneggiatura sotterranea, con la quale ancora oggi interpretiamo o rappresentiamo l’altro, il “diverso”, e noi stessi”.

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L’archivio non sarà un semplice contenitore di memorie e oggetti, ma una piattaforma aperta che nelle intenzioni delle ricercatrici dovrà sin da subito entrare in contatto col tessuto sociale. Artisti, performer, musicisti, scrittori e studiosi verranno infatti invitati a lavorare sui contenuti dell’archivio e a produrre opere che riescano a farlo dialogare, affinché possa uscire dai circoli ristretti della ricerca per essere diffuso a un pubblico più vasto.

Immaginari (post)coloniali sarà realizzato in collaborazione con: IRSIFAR – Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, AMM – Archivio Memorie Migranti, il Centro Studi Postcoloniali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, e il Centro Documentazione Memorie Coloniali di Modena.

Si può sostenere il progetto inviando un bonifico al conto corrente bancario intestato a Routes Agency: IT 05 V 07601 03200 001022112849

 

 

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