Non è un gioco

Cina, bufera sulle multinazionali del giocattolo. Discriminazioni. Sequestri di documenti. Ambienti di lavoro pericolosi. Una Ong cinese accusa Mattel, Disney e Hasbro. Ma loro danno la colpa alle fabbriche

 

di Ernesto Corvetti

 

27 novembre 2014 – Mattel, Fisher-Price, Disney, Hasbro, Crayola, sono tra le multinazionali del giocattolo su cui punta l’indice un rapporto di China Labor Watch (CLW). La Ong con sede a New York denuncia continue violazioni dei diritti del lavoro nella catena delle subforniture oltre Muraglia. L’indagine si è svolta da giugno a novembre 2014 in quattro impianti nel Guangdong dove si costruiscono balocchi come la Barbie, Topolino e i Transformers: Mattel Electronics Dongguan (MED), Zhongshan Coronet Toys (Coronet), Dongguan Chang’an Mattel Toys 2nd Factory (MCA) e Dongguan Lung Cheong Toys (Lung Cheong).

590x393xbarbie,P20cina.jpg.pagespeed.ic.m4Q7vHlccJ

Violazioni Multiple
Con il metodo incrociato della presenza in fabbrica sotto copertura e delle interviste agli operai fuori orario di lavoro e dietro garanzia di anonimato, CLW ha rilevato 20 violazioni “giuridiche ed etiche” del lavoro. Nel lungo elenco, compaiono procedure di assunzione discriminatorie, sequestro dei documenti personali dei lavoratori, assenza di esami medici nonostante condizioni di lavoro anche pericolose, violazioni sia nella formazione sia nelle procedure relative alla sicurezza, macchinari non scuri, contratti di lavoro incompleti o inesistenti, straordinari fino a 120 ore al mese, salari non corrisposti, assicurazioni sociali pagate solo in parte, rotazione frequente tra turni di giorno e di notte, inquinamento ambientale, procedure di licenziamento e pratiche manageriali illegali, boicottaggio dei controlli e assenza di efficaci strumenti di reclamo e di rappresentanza sindacale.
Il comunicato sottolinea che, rispetto a una precedente ricerca del 2007, poco o nulla è cambiato.

L’esternalizzazione strozzina
Il problema di fondo, denuncia l’organizzazione, risiede nel fatto che le multinazionali del giocattolo fanno ricadere sulla catena delle subforniture tutti i rischi imprenditoriali e il peso della flessibilità. Dividono i propri ordini tra decine o addirittura centinaia di fabbriche e fabbrichette, mettendole in competizione tra loro. Ognuna fornisce solo una piccola parte della merce e le grandi multinazionali possono spostare facilmente i loro ordini tra i fornitori, che restano in posizione contrattuale cronicamente debole. Così, sono costretti ad accettare il prezzo di produzione voluto dalla grande società, ma dato che i giocattoli devono essere qualitativamente perfetti – dio ci scampi che qualche pargolo di Park Avenue si strozzi ingoiando la testa di una Barbie – l’unico fattore flessibile è il costo del lavoro, cioè l’ultimo anello della catena.

 

Tutto marketing
Questo sistema – aggiunge CLW – fa comodo anche a livello di immagine, nel caso emerga qualche irregolarità. In tal caso, per la grande multinazionale è facile gettare la croce sulle spalle del subfornitore o magari, in funzione concorrenziale, su qualche altro cliente della fabbrichetta. “Se la pressione dell’opinione pubblica si fa troppo intensa, le aziende di giocattoli sostengono che la fabbrica non ha rispettato il loro codice di condotta e, su questa base, la fanno finita con quello specifico stabilimento”. In questo modo, una società di giocattoli può fare la parte dell’impresa “etica”, che si batte per i diritti dei lavoratori.
La Ong rileva violazioni anche in quelle fabbriche controllate direttamente dalle multinazionali, che in tal caso cercano di incolpare generici “vizi di settore”.

Trasparenza della filiera e ruolo del sindacato
Insomma, per porre rimedio si tratterebbe di istituire procedure per rendere trasparente tutta la filiera produttiva, dice la Ong: una soluzione che negli ultimi tempi ricorre spesso non solo per i diritti sul lavoro, ma anche per il problema della riduzione dell’inquinamento.
Ci vorrebbe poi un sindacato indipendente che fa il suo mestiere. Ma qui si entra nel politico, perché in Cina tale sindacato non esiste. Il CLW sottolinea come proprio nel Guangdong ci sia in corso un processo di riforma del Zhonghua Quanguo Zonggong Hui (federazione pan-cinese dei sindacati), che di fatto è una corporazione controllata dal Partito. In questo processo sperimentale di riforma – si dice – le multinazionali potrebbero intervenire, incoraggiando l’elezione diretta dei rappresentanti di fabbrica. Insomma, dando un taglio a ciò che ha consentito loro ampi margini di profitto negli ultimi trent’anni. Piuttosto idealista.

 

pubblicato su Lettera43

Sosteneteci. Come? Cliccate qui!

associati 1

.

 



Lascia un commento