Confesso che ho suonato

L’autobiografia del jazzista milanese Gaetano Liguori: un magnifico tributo alla vita e alla sua bellezza

di B. B.

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17 dicembre 2014 – È un documento di un’epoca, che scorre a passo veloce. Una biografia che rimbalza da un punto di vista personale a uno collettivo, in un gioco di continui rimandi. Dalla musica alla città di Milano, dalla politica ai viaggi e la solidarietà, dal cinema, agli amori e ai passaggi esistenziali. Confesso che ho suonato, l’autobiografia del jazzista Gaetano Liguori, alterna informazioni e aneddoti divertenti, digressioni e analisi politiche scritte con uno stile secco e preciso, ironia e gusto per lo sberleffo.

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Mai ci fu più sincerità da parte di chi scrive nel raccontarsi: Gaetano Liguori, uno dei padri del free jazz italiano, è così anche nella vita. E così le parole scivolano via veloci come in una conversazione di chi si è buttato nella vita con gusto, molti sentimenti e un discreto coraggio. Ne ha guadagnato parecchio e non ha intenzione di smettere questa abitudine. Si passa dall’infanzia al Corvetto, quartiere di periferia a Milano vissuta in un famiglia della media borghesia napoletana (il padre è stato uno dei migliori batteristi italiani), ai suoi esordi al Piper, storico locale di Leo Wachter, fino a grandi momenti di vita musicale della città al centro della produzione musicale negli anni ’60 all’Ambrogino d’oro conquistato “da grande” l’anno scorso.

Tutti momenti che il Comandante (in onore alle sue posizioni politiche mai celate), come alcuni amici lo chiamano, ha vissuto in prima persona. Assaggi puntuali di storia della musica con dettagli di prima mano: jazz, musica classica e leggera. A partire da quelli al Conservatorio dove ha studiato e ora insegna. Qui ha scoperto Karlheinz Stockhausen (è stato folgorato dalla sua rivoluzione musicale) e ha incontrato Luciano Berio. È stato a fare jam con i grandi e ha lavorato con Demetrio Stratos.

Ma siccome Gaetano Liguori è uno che ama prendere posizione (lo racconta anche il suo libro precedente Un pianoforte contro) ci sono molte pagine nel suo libro dedicate al Movimento studentesco di cui ha fatto parte (tenendo un leggendario concerto in Statale) e alla sua attività a favore della lotta per il popolo palestinese (uno dei suoi dischi cult è la Cantata Rossa per Taal al Zaatar in collaborazione con Giulio Stocchi, Demetrio Stratos, il padre Pasquale Liguori e Roberto Del Piano bassista dell’Idea Trio, la sua storica formazione) e la liberazione del popolo Saharawi, agli spettacoli contro la mafia (100 passi dal Duomo) e quelli per i Giusti, coloro che hanno assunto una responsabilità personale per difendere i più deboli e opporsi alle derive antidemocratiche e repressive in collaboraborazione con Gariwo di Gabriele Nissim. A partire da Nelson Mandela.

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Perciò questo libro è anche il racconto di una generazione, quella del ’68, che era profondamente convinta di cambiare il mondo. E in parte ci è riuscita, nonostante alcune colossali sconfitte. Un affresco dell’Italia che stava urlando un nuovo modo di vivere e aveva preso, non senza sacrifici (anche umani) la decisione di avere un nuovo passo. Un’opera che arriva fino a oggi per raccontare cosa ne è stato.

Ma in realtà ci sono tanti protagonisti in queste pagine, non solo Liguori: Milano, la musica, il cinema, i viaggi, gli ideali, la psicoanalisi, le arti marziali, la spiritualità e l’esoterismo, la storia e anche le donne. Sotto forma di mogli, compagne, amanti e amiche. Tutti i personaggi di questa lista esistenzale sono attraversati da passione e spesso hanno creato dei dischi o dei brani o anche direzioni da prendere. Dal film I magnifici sette, visto in un fumoso cinema da bambino Gaetano una regola di vita con la quale Liguori scegli e amici e e collaboratori (il suo primo gruppo i G.V. Men, Giuseppe Verdi men, è stato formato così). I grandi amici fidati. Da un viaggio in Nicaragua, con rispettivo incontro con i Sandinisti e fidanzata dell’esercito di Liberazione arriva il disco Que Viva Nicaragua. Ma gli esempi sono numerosissimi in quest’opera che secondo me è un magnifico tributo alla vita. E alla sua bellezza.

 

 

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