L’altro volto dell’Angola

La potenza economica africana non gradisce critiche all’entourage del presidente Dos Santos:
la storia di una cooperante italiana
espulsa solo per aver incontrato persone sgradite al governo

Nairobi (Kenya) – Sono passati quasi sette mesi da quando Ketty Tirzi, una cooperante italiana che lavorava per  un programma dell’Unione Europea è stata cacciata dall’Angola con l’accusa di aver incontrato dei giovani che criticano il presidente del paese, in carica ormai dal 1979, José Eduardo Dos Santos.

Nessun incontro clandestino alla James Bond in bugigattoli nascosti chissà dove o messaggi in codice. No, gli incontri sono avvenuti alla luce del sole, convegni e riunioni di fronte ad autorità angolane e straniere, fra cui dipendenti di varie ambasciate europee. Incontri che avevano l’obiettivo di “rafforzare il dialogo fra la società civile e le autorità”, secondo quanto si legge fra gli obiettivi del progetto curato dalla Tirzi. Ma probabilmente in Angola un gruppo di una società civile non vale come un altro.

Chi critica duramente il presidente viene bollato come illegale e l’onta si propaga a chiunque dia spazio o voce a queste critiche. Alcuni di questi giovani in passato sono stati accusati del reato di “crimine contro lo Stato” per aver dato del “dittatore” al presidente angolano e hanno passato mesi in carcere preventivo. Sono proprio questi incontri che non sono stati graditi dal governo di Dos Santos e che hanno fatto espellere la nostra connazionale.

Un’espulsione avvenuta senza che per mesi nessuno protestasse. La prima a esprimere sconcerto per la vicenda è stata una eurodeputata portoghese, Ana Gomes, che ha scritto all’allora rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri, Cathrine Ashton. La parlamentare si è dichiarata “estremamente preoccupata dal presunto atteggiamento della delegazione dell’Ue a Luanda che in questo caso non ha agito nell’interesse della signora Tirzi” né “ha agito per proteggerla”

 

KETTY TIRZI E I DISSIDENTI

Ketty Tirzi ha lavorato in Angola per molti anni, fin dal 1997. Fino al maggio scorso era capo dell’assistenza tecnica del progetto Paane, programma di appoggio agli attori non statali finanziato dall’Unione Europea con 3 milioni di euro. Un progetto partito nel 2013 e che sarebbe finito nel 2015, con gli obiettivi, si legge nel sito, di “contribuire alla partecipazione della società civile nella lotta alla povertà e rafforzare il dialogo della società civile con autorità locali e nazionali”. Per fare questo il Paane negli ultimi anni ha avuto vari incontri, sempre sotto il benestare dell’Ue, con una serie di associazioni femminili, giornalistiche, mediche, cattoliche.

Uno degli ultimi incontri che la Tirzi ha organizzato è avvenuto all’inizio di febbraio scorso, quando insieme ad un consulente del Paane per la prima volta ha incontrato il gruppo Central 7311. Si tratta di una serie di giovani blogger e attivisti politici antigovernativi che prendono nome dal 7 marzo 2011, quando in Angola, 6 mesi prima delle elezioni presidenziali, fu convocata una manifestazione contro il presidente angolano José Eduardo Dos Santos, in carica dal 1979, per chiedere le sue dimissioni. Durante quella marcia furono arrestati manifestanti e giornalisti.

Un giovane vicino a questo gruppo e per niente gradito al governo è Manuel Nito Alves. Il suo nome ha fatto il giro del mondo nel settembre del 2013, quando allora 17enne, venne arrestato per aver fatto stampare delle magliette in cui dava del dittatore al presidente e lo insultava. E’ stato in galera oltre due mesi e una volta liberato, ha “sfidato” il governo indossando la maglia per cui era stato arrestato durante il funerale di un giovane. Quest’ultimo, ucciso dalla polizia, mentre appendeva manifesti politici non lontano dalla casa del presidente.

Durante questo incontro si è parlato di come le nuove generazioni possono grazie a social network, blog e nuove tecnologie, diventare dei cittadini consapevoli ed è stato affrontato il tema della libertà di espressione. Comunque dopo quest’incontro, sia la delegazione dell’Unione Europea a Luanda, sia la Cooperazione spagnola che l’ambasciata tedesca si sono dimostrati interessati a incontrare il gruppo Central. Addirittura il governo della Merkel in quei mesi voleva organizzare un viaggio a Bonn per alcuni componenti del gruppo Central per far prendere loro parte ad una conferenza internazionale sul blogging e uno di loro nell’agosto scorso ci è effettivamente andato.

 

LA CACCIATA

I primi contatti strani Tirzi li riceve il 28 aprile. Un suo collega viene contattato da un componente della delegazione Ue che le dice che devono riunirsi per “questioni delicate”. Riunione che viene annullata poco dopo dicendo che si erano sbagliati. “Quando abbiamo ricontattato la delegazione Ue – ricorda Tirzi – la persona che aveva telefonato ha risposto che la questione ‘non era più al suo livello’ e che non ne sapeva più niente”.

Il 29 aprile con l’indagine sulla Tirzi forse già avviata il Paane realizza una conferenza internazionale all’Università Cattolica di Luanda, finanziata tra gli altri anche dall’ambasciata norvegese, e che viene aperta da un intervento di Gordon Kriecke, capo della delegazione Ue a Luanda. Al centro dell’incontro i governi locali: in Angola infatti i capi delle province non vengono eletti ma sono nominati dal presidente e questo crea da anni polemiche anche perché le elezioni vengono continuamente rimandate. A quell’incontro c’è anche Nito Alves che a un certo punto prende il microfono e inizia a gridare accuse contro il presidente angolano.

“A maggio l’atteggiamento di amici e colleghi della delegazione Ue era molto strano – ricorda Ketty Tirzi – mi chiedevano come stessi e facevano queste telefonate paventando questioni delicate. Poi maggio è passato freneticamente fino a quando il 23 maggio arriva sul telefono di un mio collega un messaggio che mi invita a presentarmi agli uffici dell’Immigrazione con il passaporto e il biglietto per tornare in Italia”. Praticamente l’anticamera dell’espulsione. Da quel giorno Tirzi viene messa sotto la protezione dell’ambasciata italiana, e dopo alcuni giorni lascia il paese dopo che l’immigrazione ha marchiato con un timbro blu il suo visto sul passaporto annullandolo senza alcuna spiegazione.

L’ambasciata non vuole rilasciare dichiarazioni ufficiali ma fonti interne hanno spiegato che la nostra rappresentanza ha chiesto spiegazioni sull’episodio sia al governo angolano che all’Unione Europea senza però ricevere mai risposta.

Due giorni prima la partenza della Tirzi durante una riunione fra i paesi membri dell’Ue testimoni raccontano che alcuni componenti della delegazione hanno dichiarato di aver saputo da più di un mese, cioè da metà aprile dell’investigazione angolana sulla Tirzi, ma era stato imposto di non parlarne, né con la Tirzi, né con la nostra ambasciata. Tutti hanno taciuto, mentre la Tirzi continuava a portare avanti quegli incontri tanto odiati dalle autorità angolane, senza che l’Ue si preoccupasse di informarla di ciò che stava accadendo o di tutelarla in qualche modo.

La delegazione dell’Unione Europea a Luanda contattata non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione.

“Non so perché mi abbiano buttato fuori dal paese – prosegue Tirzi – penso che gli incontri con la Central 7311 abbiano influito tanto ma credo che i governi non debbano aver paura delle critiche anche le più aspre. Si deve sempre cercare il dialogo ed è per questo che ho voluto questi incontri fatti sempre alla luce del sole nelle sedi di ong locali e anche nell’ambasciata tedesca. Volevamo avvicinare  gli adulti e le ong alla generazione di giovani che usano la tecnologia. La delegazione Ue ha fatto molto poco per tutelarmi ed è triste che cittadini europei che si trovano nella mia situazione non vengano difesi”.

 

LE MEZZE VERITA’ DELLA ASHTON

Dopo l’espulsione della Tirzi (ricordiamo, siamo a maggio scorso) del caso se n’è parlato poco. Ci sono state richieste di spiegazioni formali da parte della nostra ambasciata e da parte della delegazione Ue ma nessuna protesta, nessuna presa di posizione netta. Le autorità hanno preferito una linea soft. Forse proprio in vista della visita di Renzi avvenuta a fine luglio e che oltre all’Angola ha toccato Mozambico e Congo. L’Angola negli ultimi anni è diventato un paese sempre più strategico per l’Italia. Da anni proseguono fra il governo angolano e la nostra Difesa contatti per la fornitura di mezzi militari vista la massiccia espansione militare programmata da Dos Santos nei prossimi anni. Si tratta di miliardi di dollari messi sul piatto dal presidente angolano e che fanno gola a molti paesi occidentali.

Quando l’anno scorso la nave Cavour ha toccato Luanda i più alti generali angolani hanno sfilato negli hangar dell’ammiraglia italiana per osservare missili, droni, armi d’assalto videosimulazioni di voli in elicottero. Per qualche settimana girò voce che gli angolani volessero comprare anche la portaerei Garibaldi e non erano pochi i vertici militari felici dell’idea. Ma poi qualcuno nel governo Letta si oppose e non se ne fece più nulla.

Ma ancor più che per la difesa l’Angola è importante per l’energia. Renzi lo ha ribadito proprio lo scorso due dicembre quando dopo il blocco deciso da Putin del gasdotto Southstream, il presidente del consiglio ha dichiarato che il rapporto est-ovest è strategico, ma che è anche importante “esplorare ancora con più determinazione il rapporto con l’Africa” e ha citato Congo, Mozambico e proprio Angola. Nei giorni precedenti alla visita di Renzi in Africa, la vicenda di Ketty Tirzi è stata trattata da qualche media italiano, angolano e tedesco, ma né Renzi, né l’allora ministro degli Esteri Federica Mogherini hanno affrontato la vicenda in maniera pubblica durante la visita.

Addirittura la Ashton, in una lettera di risposta all’unica eurodeputata che si sta occupando di questa vicenda, la quale le chiedeva di portare la vicenda della Tirzi all’ordine del giorno di una riunione ufficiale Angola Ue lo scorso ottobre, ha risposto tagliando corto. In sostanza ha spiegato che il progetto Paane stava proseguendo comunque, che i paesi che finanziavano il progetto non hanno richiesto l’intervento dell’Ue e lo stesso Renzi durante la visita di luglio non ne aveva parlato con le autorità angolane. In sostanza, se non se ne preoccupa il governo italiano perché dovrebbe farlo l’Europa?

In realtà la Ashton ha detto alcune mezze verità. Prima, vero che è il progetto Paane sta proseguendo ma molte delle attività sono state annullate. Anche la ricerca sulle nuove tecnologie che tanto interessava il governo Merkel e quello della Gran Bretagna è sparita dal programma. Così come le attività sulla campagna civica, sui giovani e l’ambiente. E poi, soprattutto, come fa la Ashton a sapere cosa si sono detti Renzi e il presidente angolano se nessuno, neanche il nostro ambasciatore è stato presente all’incontro?

Quando la Ashton è andata via e il suo posto è stato preso dalla Mogherini non ci sono stati grandi passi avanti in questa vicenda.

 

ANGOLA LIBERA?

L’Angola è un paese che negli ultimi anni ha avuto una crescita economica elevata grazie alle risorse naturali di cui è ricca. Nonostante ciò nel paese ci sono ancora grosse sacche di povertà mentre il presidente è stato criticato dalle associazioni dei diritti umani per l’atteggiamento nei confronti dell’opposizione. Un esempio è il fatto che negli ultimi due anni vari gruppi politici antigovernativi hanno chiesto più volte di manifestare, ma ogni volta la manifestazione è stata vietata, spesso con giustificazioni strampalate. Una volta il governo di Luanda ha detto che non si poteva manifestate a causa di una gara ciclistica. In quelle ore e nei luoghi richiesti non si vide nessuna bicicletta passare. Un’altra volta il governo dichiarò che alla stessa ora e nello stesso luogo il partito di maggioranza aveva convocato una manifestazione di sostegno al presidente. La marcia effettivamente avvenne, ma la gente venne a sapere che sarebbe avvenuta, solo dopo che l’opposizione aveva presentato la sua richiesta.

L’Angola è al 124 posto al mondo per la libertà di stampa. Vero è che la posizione è salita negli ultimi anni ma restano enormi passi avanti da fare. Le critiche dure e il dissenso spesso non sono benvisti e non è raro che giornalisti non graditi vengano perseguitati. Secondo Transparency international l’Angola è fra i 15 paesi più corrotti al mondo mentre la classe dirigente al potere è pressoché immutata dal ’79.

 

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