Charlie

Cosa succede oggi a Parigi? È difficile dirlo con esattezza. Doveva essere una manifestazione quella di oggi, una manifestazione repubblicana contro il terrorismo, è diventata praticamente un’occupazione cittadina.

Non c’è spazio, non c’è abbastanza spazio per far entrare tutti, il luogo di ritrovo previsto era Place de la République, ma la maggior parte dei manifestanti non è neppure riuscita a raggiungerla e chi è arrivato tra i primi probabilmente non riuscirà a tornare a casa prima di questa notte.

Non c’è spazio, dalla Gare du Nord fino a Nation passano chilometri di boulevard, quei boulevard parigini larghi, ampi, a più corsie per le macchine: oggi non c’è spazio neppure per uno spillo. Alle 14h, un’ora prima dell’appuntamento, Place de la République è già irraggiungibile. Alle 15h già non ci si muove più. Se doveva essere una risposta della Francia repubblicana contro il terrorismo e contro le strumentalizzazione dell’estrema destra è stata una risposta chiara e precisa, e soprattutto numerosa.

Sventolano bandiere di tutti i colori, oggi per strada ci sono migliaia di Charlie. Là davanti, davanti a tutti c’è il presidente Hollande, assieme ad Angela Merkel, Cameron, Netanyahu accanto al primo ministro palestinese. Una scena storica. Con loro c’è anche il nostro Matteo Renzi. Dietro di loro alla rinfusa altri capi di stato e i ministri del governo francese.

La politica sta davanti, troppo avanti, quasi un’altra manifestazione piuttosto che un apripista. Qui nei boulevard non c’è più spazio. Tutti cominciano a estrarre gli I-phone, collegamento diretto con BFMTV, sono le telecamere che raccontano e spiegano quello che succede. “Ma quanti siamo!”, “Sono partiti”, la notizia fa il giro delle strade, sembra che la prima fila di ministri abbia cominciato a muoversi. Qui invece continuiamo a essere immobili. I ragazzi si arrampicano sulle fermate degli autobus, sulle impalcature di un palazzo in ristrutturazione. Gli applausi e i canti arrivano a ondate, come la ola allo stadio, li senti arrivare da Place de la Republique e rapidi avvicinarsi fino a quando ti ritrovi ad applaudire, pochi secondi dopo stanno già applaudendo alla Gare du Nord.

Le immagini nel frattempo fanno già il giro del mondo e in tempo reale passano dalle telecamere della televisione francese ai satelliti per ritornare ai tablet e agli I-phone che ora molti armeggiano per capire cosa sta succedendo. L’AFP dice che ci sono più di un milione di persone, ma a giudicare da Avenue Magenta ce ne devono essere almeno tre volte tanto. La copertura mediatica è al massimo, sembra di essere alla finale dei mondiali di calcio, nel frattempo il primo piano di François Hollande e Angela Merkel che marciano compatti fa il giro della rete.

Quello che sta succedendo a Parigi probabilmente lo sa solo chi sta seguendo BFMTV o l’AFP in diretta, qui dalla strada la sola certezza è che c’è veramente un sacco di gente. Il popolo francese ha saputo dimostrare ancora una volta che quando è necessario, che quando serve sa scendere in piazza e manifestare. Non urlano i francesi, non ce n’è bisogno, i numeri e la presenza popolare di massa bastano alla grande per far passare chiaro un messaggio fondamentale: la Francia crede nella Repubblica, condanna il terrorismo e il razzismo. Dimostrando che si vuole scendere in piazza serve ancora a qualcosa. E che quando serve: si fa! Punto e basta.

Dopo gli applausi, quando ormai è chiaro a tutti che Place de la République oggi non riusciremo a vederla qualcuno comincia a cantare la Marsigliese, l’inno della repubblica. Chissà cosa ne avrebbero pensato i disegnatori di Charlie Hebdo morti nell’attentato di mercoledì che nella Repubblica credevano a con la quale spesso litigavano. Ma ormai la faccenda è andata ben oltre i confini dei 17 morti, è diventata faccenda di stato. Questione pubblica.

Al di là delle telecamere, di internet, della stampa e dell’incredibile copertura mediatica di questi giorni i francesi hanno aperto un immenso dibattito pubblico, che da tre giorni a questa parte può essere ascoltato ovunque: dal macellaio, alla fermata dell’autobus, in covoiturage, dal fruttivendolo o al bar. Ovunque in Francia non si parla d’altro: “Adesso cosa succederà?” passato l’effetto choc della prima ora, sorpassato il trauma di aver scoperto che i conflitti possono arrivare fino a Parigi, cuore dell’Europa. Riscoperta finalmente l’importanza della libertà di stampa, almeno per qualche giorno e nonostante Charlie Hebdo lo leggessero tutto sommato in pochi. Adesso la domanda sulla quale i francesi si interrogano è una sola: quale sarà il prossimo evolversi della situazione? Ci saranno altri attentati?, gli elettori si riverseranno alle prossime elezioni a votare l’estrema destra di Marine Le Pen? Entreremo in una nuova guerra? Le risposte non arriveranno certo oggi, e neanche nei prossimi giorni. Perché l’eredità coloniale la Francia se la porta dietro fin dalla guerra in Algeria. Perché i conflitti etnici latenti e la balcanizzazione dell’Esagono crescono da tempo, è arrivato il momento di fare delle scelte, dietro alla Francia tutto l’Occidente aspetta con ansia. Perché François Hollande, che da quando è all’Eliseo non ha avuto molta fortuna, oggi ha imbroccato la frase giusta: “Parigi oggi è la capitale del mondo”.

Una cosa è sicura, siamo passati a un nuovo livello di questo conflitto latente tra l’Occidente e il Medio Oriente, da mercoledì qualcosa è cambiato. Gli americani dopo l’11 settembre entrarono in guerra, la Francia non è gli Stati Uniti, ma qualcosa dovrà pur fare. L’hanno imposto oggi milioni di cittadini, riempiendo i boulevard e schiacciandosi uno contro l’altro per tutto il giorno, mettono pressione a Hollande e al suo governo. Dimostrando ancora una volta che il popolo francese è sovrano, antifascista e repubblicano. E che quando serve: si fa!

Questo articolo è dedicato alle 2000 persone uccise a Boko Haram in Nigeria giovedì scorso, che oscurati dall’attentato di Parigi hanno avuto una copertura mediatica quasi nulla. Questo articolo è dedicato anche agli appassionati e sinceri lettori di Charlie Hebdo, che l’hanno acquistato per anni e che continueranno a credere nella stampa indipendente, anche quando i riflettori della République saranno puntati altrove.



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