L’alternativa serba

Un viaggio in quella parte di società civile serba che si dichiara antifascista, che si riprende spazi sociali e che crea dibattito politico

L’alternativa, anche in Serbia, si riappropria degli spazi muovendosi sul filo di un’azione antinazionalista, ribadendo i valori antifascisti e ballando al ritmo di musica hardcore.

Succede, per esempio, al centro giovanile culturale Crna Kuća (Casa Nera, o CK13), che si trova nel centro di Novi Sad ed è stato creato nel 2007 grazie al finanziamento della fondazione tedesca Schueler Helfen Leben. «L’idea è nata nel 2005 quando in seguito ad uno scambio giovanile, abbiamo visitato un centro culturale a Brandeburgo e abbiamo pensato di creare qualcosa di simile anche qui». A parlare è Višnja, una delle ragazze che lavora nel centro. «Nel 2007 le organizzazioni AKO e new mediacentar.org con il collettivo di studenti Kružok, hanno ottenuto il finanziamento iniziale tramite bando. Dopo un anno di preparazione il gruppo iniziale si è ridotto in seguito a conflitti interni, ma dal 2008 la struttura interna si è andata stabilizzando».

Le attività della Crna Kuća sono varie: c’è il collettivo della cucina vegana che ogni mercoledì organizza la cena sociale, un laboratorio di tedesco con i volontari madrelingua, l’Infoteka (nella foto sotto) con testi in serbo, inglese e tedesco, cicli di cineforum, laboratori pratici e tanti concerti di hardcore, rock, punk e musica sperimentale, con artisti locali e internazionali.

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Il 13 aprile 2007, giorno dell’inaugurazione, il giornalista Goran Davidović sul giornale Srpska politika definiva la Crna Kuća «un luogo cosiddetto alternativo, che si dedica all’indottrinamento dei giovani all’ideologia di sinistra e specialmente a quella anarchica, col fine di mobilitare ragazzi e ragazze alla lotta contro i nazionalisti serbi e a differenti aspetti di politica attiva. Per questo viene rivolta una speciale attenzione all’istruzione dei giovani in modo che si raggiungano un grado di autorganizzazione tali da renderli capaci di realizzare altre azioni politiche».

Premesso che visitando Crna Kuća difficilmente si sente parlare di anarchia, l’equivalenza antifascista-antiserbo rappresenta una visione politica dominante nel Paese

«Il centro giovanile è stato creato per combattere la crescita dell’estremismo di destra e del fascismo, per cui la prospettiva di impegno politico era chiara fin dall’inizio. Il contesto in Serbia – spiega Višnja – è complicato dato il recente passato che obbliga a concentrarsi su quanto avvenuto vent’anni fa, un tema contemporaneo che fa riferimento ad una scena politica che ha supportato crimini di guerra. Qualche mese fa un giornalista ci ha chiesto perché diffondessimo dei valori che sono contrari a quelli tradizionali. Ma se ormai essere antifascisti significa andare contro la struttura tradizionale, significa che abbiamo dimenticato che ci sono anche valori antifascisti nel nostro passato. Siamo di fronte ad un paradosso».

I valori antifascisti della rimpianta Jugoslavia c’erano e ci sono. Il 23 ottobre è il giorno in cui si celebra la liberazione dall’occupazione nazifascista del 1944. Alla manifestazione di Novi Sad il 23 ottobre 2014 hanno sfilato in centinaia sotto la pioggia per dire no al fascismo. Una manifestazione organizzata dai gruppi antifascisti locali non solo per ricordare la celebrazione ufficiale, ma anche per prendere le distanze da quanto avvenuto nel paese all’indomani dell’incontro calcistico Serbia–Albania del 15 ottobre, sospesa per ordinari scontri da stadio. Nei giorni seguenti all’incontro sportivo si sono moltiplicati nel Paese gli attentati incendiari ai danni di attività commerciali albanesi, anche nella multiculturale regione della Vojvodina.

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Altre le realtà presenti in città legate in qualche modo allo spazio CK13. Lì, qualche anno fa, è nata l’idea dell’occupazione della caserma “Arcibald Rajs”, vicino al centro cittadino. Come racconta Nikola, grafico professionista e cuoco vegetariano per passione, «il 22 dicembre 2011 l’abbiamo occupata con un network di almeno quindici organizzazioni; ciononostante, il 13 gennaio siamo stati sgomberati. Solo ad aprile siamo riusciti a recuperare le nostre cose che erano rimaste chiuse dentro». Il gruppo di attivisti di cui Nikola fa parte ha poi deciso di occupare un altro spazio creando il Društveni Centar che tradotto significa proprio Centro Sociale.

«Sebbene di quel gruppo iniziale sia rimasto solo io, in molti sentivamo il bisogno di avere uno spazio e considerando il disinteresse del Comune e il fallimento di tentativi di dialogo, occupare era l’unica soluzione. Per tre mesi ci siamo preparati ad occupare questo posto, un tempo sede di un laboratorio di verniciatura. Quando siamo entrati era inattivo da più di tre anni, sporco e inagibile. Abbiamo cominciato a lavorarci con l’idea di creare uno spazio cluster dove poter ospitare musicisti e visitatori».

Il 21 agosto 2014 la polizia ha posto sotto sequestro lo spazio e cambiato la serratura, approfittando di una pausa estiva. Cosa facevano e chi disturbavano i ragazzi del centro sociale di Novi Sad? Concerti punk e hardcore (nella foto sopra), festival culturali e dilazionate azioni di solidarietà per la comunità rom.

Lo spazio è situato nel cosiddetto quartiere cinese (Kineska Cetvrt) anche se di cinesi non se ne vede neanche l’ombra. In questa zona, tra il Limanski Park e il Danubio, si trovano un locale rock, una discoteca, un’associazione culturale e qualche bar. Non ci sono abitazioni per cui tutto il rumore prodotto si perde nel parco o sulle sponde del Danubio. Da agosto si sono moltiplicati i giorni di protesta organizzati dagli attivisti alla sede del Društveni Centar ancora chiusa dai sigilli delle autorità.

Il 14 ottobre 2014 è uno di questi giorni di protesta durante il quale Nikola racconta il suo punto di vista. «Pur di riprendere possesso di questo posto abbiamo anche proposto di pagare un affitto simbolico, ma ci hanno proposto un altro spazio a 800 euro al mese. Ma chi può pagare queste cifre? Tutti i nostri eventi erano gratuiti con la possibilità di donazione».

C’è però chi sottolinea che occupare è illegale. Per Nikola, invece, «è pazzesco tenere degli spazi pubblici distrutti quando qualcuno sarebbe disposto a renderli nuovamente vivi a costo zero. E noi siamo entrati in un luogo di proprietà pubblica inutilizzato da cinque anni e non affittabile. Questo spazio è tanto nostro quanto loro. Anche se fosse stata una proprietà privata inutilizzata, avremmo avuto diritto ad entrarci». Ma da dove nasce la necessità di avere uno spazio come il Društveni Centar a Novi Sad?

«Non è mai stata nostra intenzione fornire un servizio alla città, questo è uno spazio dove la gente può esprimersi e partecipare» prosegue.«Non ci sono molti spazi dove vedere concerti di band locali e internazionali hardcore punk gratis fuori dal circuito mainstream, che funziona tramite un sistema di donazioni facoltative e il lavoro di volontari. Pur di riavere lo spazio, dove peraltro ci sono ancora le nostre cose, abbiamo cercato di trovare un accordo, abbiamo anche pensato di costituire un’organizzazione formale in modo da diventare un interlocutore più forte, sebbene la cosa non ci interessi e non ci rappresenti. Non dobbiamo sentirci in obbligo di offrire nulla in cambio alla politica istituzionale, siamo noi che dovremmo pretendere ciò che ci spetta».

Un posto occupato, l’arrivo dell’estate, uno sgombero, le proteste e gli avvocati al lavoro, nulla di strano insomma. Poi, pochi giorni fa, arriva la notizia della riapertura del Društveni Centar, anche se non è ben chiaro con quali accordi.

Differente la storia di Inex Film, spazio occupato da un gruppo artisti a Belgrado (nella foto sotto). Inex Film era un’azienda di produzione cinematografica che ha chiuso nel 2005. Cinque anni dopo, il collettivo Mikroart ha deciso di prendere possesso del posto dove ora lavorano numerosi artisti, vengono organizzate esibizioni e proiezioni di film e documentari. Circa trenta persone coinvolte nella gestione, dieci i presenti all’assemblea di una fredda domenica di dicembre.

Belgrado, la grande e iperurbanizzata metropoli, nasconde al suo interno un’interessante trama urbana.

Se, da un lato, la capitale si prepara ad affrontare il progetto Beograd na vodi – Belgrado sull’acqua a cui molti cittadini si sono già opposti, dall’altro si allungano i tempi di attesa per chi vuole legalmente ottenere spazi per scopi sociali o artistici. La campagna Open about public space ha deluso le aspettative degli artisti che l’avevano lanciata, tanto da indurli ad occupare lo spazio oggi noto col suo nome di sempre, Inex Film appunto.

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«Questo – spiegano i promotori – è uno dei pochi spazi che vede nella messa in circolo dell’arte e dello scambio culturale, e non nel profitto, il suo principale obiettivo. Prima volevamo avere uno spazio per poter organizzare le nostre attività senza che altri ci lucrassero, poi abbiamo allargato l’idea». Un’idea che è la medesima da cui in città è nata anche l’occupazione del cinema Zvezda. «Siamo qui e il cinema è nostro» si legge su un volantino che spiega l’azione.

«Per troppo tempo abbiamo assistito alla svendita dei cinema, al marcire dei musei, al decadere delle biblioteche, a come l’arte si trasformi in merce e la buona cultura in proprietà privata».

Parole semplici e familiari. Con le dovute differenze, infatti, in un contesto in cui ogni società civile restando frammentata per sua natura non può e non deve ritrovarsi in un unico modello identitario, sembra che antifascismo, antirazzismo, difesa del patrimonio culturale e degli spazi sociali continuino a costituire un patrimonio di valori comuni propri di un’idea diversa di cittadinanza. Quella stessa idea nella quale si muove anche l’alternativa serba.

 

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