Il voto all’ombra di Boko Haram

A pochi giorni dalle elezioni presidenziali in Nigeria l’azione del gruppo jihadista nel nord del Paese continua a influenzare le scelte dei due candidati principali

Il prossimo 28 marzo si terranno le elzioni in Nigeria. Si voterà per il presidente della Repubblica e per il rinnovo del Parlamento regionaleche si articola nella Camera dei rappresentanti e del Senato federale. Queste elezioni – le quinte dopo la fine del regime militare del 1999 – sono le più incerte della presente storia politica nigeriana, complicate anche dalla presenza di Boko Haram, gruppo jihadistaattivo nelle regioni nord-orientalidel Paese.

Tra i quattordici candidati alla poltrona presidenziale sono solo due quelli che si giocano la vittoria, il presidente uscente Goodluck Jonathan, cristiano del sud, e l’ex presidente Muhammadu Buhari, musulmano del nord.

Quest’ultimo accusa Goodluck Jonathan di non rispettare il patto non scritto che prevede l’alternanza di un cristiano e un musulmano (per un massimo di due mandati) alla poltrona presidenziale. Già nelle scorse elezioni del 2011 i musulmani si sentirono defraudati, ritenendo che fosse venuto il loro turno. Questa volta, sotto la minaccia di Boko Haram, la situazione è assai più infiammabile.

Come funziona il voto

In base alla Costituzione del 1999, scritta all’indomani della fine del regime militare, l’elezione del presidente è vincolata all’ottenimento della maggioranza assoluta dei voti nazionali e, allo stesso tempo, ad almeno un quarto dei suffragi in un minimo di 24 stati federati su 36 (i due terzi, dunque) e nel distretto della capitale Abuja. Se uno di questi requisiti non dovesse essere soddisfatto, dopo sette giorni sarà obbligatorio tenere un ballottaggio tra i due candidati più votati. Vista l’incertezza di queste elezioni, è assai probabile che il 28 marzo non avremo il nome del nuovo presidente nigeriano. La Nigeria è un Paese federale ma le suddivisioni non sono state fatte su base religiosa, tribale o etnica (le etnie in Nigeria sono centinaia) bensì cercando di far coesistere il maggior numero di minoranze così da scongiurare spinte secessioniste.

Il rinvio del voto

Le elezioni erano inizialmente previste per il 14 febbraio ma – ufficialmente a causa dell’offensiva di Boko Haram, che rende difficile votare nelle regioni del nord – il voto è stato posticipato al 28 marzo. Queste settimane dovrebbero servire al presidente Jonathan per riprendere il controllo della situazione al nord, dimostrando al contempo l’efficacia delle proprie iniziative militari. È però assai improbabile che l’esercito nigeriano riesca, in sei settimane, dove ha mancato in quattro anni. Non solo, il rapporto di Jonathan con l’esercito non è dei migliori: Jonathan è il primo presidente che non proviene da ambienti militari e ha approfittato dei fallimenti nella repressione di Boko Haram per sostituire alcuni alti papaveri dell’esercito con uomini a lui fedeli. L’esercito si trova così attraversato da conflitti, disunito e scoraggiato, incapace di porre un freno all’offensiva jihadista. L’unica speranza di Jonathan è la coalizione messa in piedi nelle ultime settimane a seguito di un appello, disperato, del presidente ai suoi partner africani. Ha risposto il Ciad, mettendosi alla guida di una alleanza che ha dimostrato sul campo propria la superiorità militare: nel giro di pochi giorni Boko Haram è stato scacciato da Gambaru e Ngala, due importanti snodi commerciali al confine fra Nigeria e Camerun. Quello del Ciad è un aiuto interessato che ha, alle spalle, Parigi e il disegno francese di allargare la propria sfera di influenza anche su aree tradizionalmente non appartenenti alla francophonie, come la Nigeria. La presenza di Goodluck Jonathan a Parigi, in occasione della marcia in memoria delle vittime dell’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo, va vista come un “tributo” offerto dal presidente nigeriano alla Francia che, dopo la guerra in Mali, supporta indirettamente la Nigeria nella lotta contro Boko Haram.

Il rivale, Muhammadu Buhari

Buhari, musulmano del nord, si era mostrato condiscendente con le richieste di Boko di introdurre la shari’a nelle regioni settentrionali. I suoi oppositori lo indicano come una quinta colonna del jihadismo mentre i suoi sostenitori ricordano il suo pugno duro contro i nemici dello stato all’epoca del suo precedente mandato presidenziale (1983-1985). Ma Buhari va ricordato anche per altro. Dall’alto dei suoi 72 anni è stato implicato nel colpo di Stato che portò Yakubu Gowon al potere nel lontano 1966, ricordato per il pugno duro contro gli oppositori politici (che lui chiamava “nemici dello stato”), si è poi candidato alla carica di presidente nel 2003 (sfidando Obasanjo), 2007 (sfidando Umaru Yar’Adua) e 2011 (sfidando per la prima volta Goodluck Jonathan), sempre senza successo. In queste nuove elezioni, però, una nuova sconfitta non pare scontata, anzi. E se le sue quotazioni sono così in rialzo si deve soprattutto all’incapacità di Goodluck Jonathan che, oltre al già citato fallimento contro Boko Haram, è responsabile anche di una situazione economica difficile, con disparità sociali interne enormi tra un sud ricco e un nord povero. Non a caso le regioni più povere sono quelle nord-orientali, controllate da Boko Haram. La Nigeria è la “locomotiva d’Africa”, ma il rischio è che la locomotiva deragli.

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