La locomotiva d’Africa rischia di deragliare?

La Nigeria si trova ad affrontare due grossi problemi: l’eccessiva dipendenza dal petrolio, l’instabilità provocata a nord da Boko Haram. Così alla vigilia delle elezioni presidenziali

Forse non tutti lo sanno, ma la Nigeria è il primo paese africano per dimensioni dell’economia e ha ormai di gran lunga superato il Sud Africa: tra il 2000 e il 2013, il prodotto interno lordo è aumentato a una media annua del 9,9%, un tasso “cinese” e il più elevato in tutta la regione. Con un PIL pari a 522 miliardi di dollari (grossomodo lo stesso della Polonia o del Belgio) e una popolazione di 180 milioni di abitanti (l’Etiopia, la seconda per numero di abitanti, ne ha appena la metà), il paese ha enormi possibilità di sviluppo.

Dal 1999 la Nigeria porta avanti una politica di riforme e con un’inflazione sotto controllo, deficit contenuti, un debito sostenibile, è riuscita ad attrarre investimenti stranieri specialmente nel settore energetico.

Nel 2014 i nuovi dati hanno mostrato un paese assai meno dipendente dal petrolio che in passato al punto che il ministro della finanze, la signora Ngozi Okonjo-Iweala, ha dichiarato che i nigeriani dovrebbero «cominciare a pensare al paese come a un paese non petrolifero».

Il petrolio, benedizione e condanna

L’ottimismo di Ngozi Okonjo-Iweala è però smorzato dai dati sulle vendite del petrolio. Il calo del prezzo del greggio nel 2014 si è fatto sentire in un paese in cui l’oro nero continua a rappresentare una quota preponderante tanto delle esportazioni (il 95%) quanto degli introiti statali (il 75%). Malgrado gli sforzi il paese resta afflitto dal “male olandese” che colpisce quei paesi troppo dipendenti da un’unica risorsa. La decisione dell’Opec di mantenere la produzione a 30 milioni di barili al giorno, per contrastare la produzione statunitense del sempre più competitivo shale oil, ha avuto un impatto non indifferente sull’economia nigeriana che, per chiudere in pareggio il bilancio, avrebbe bisogno di un prezzo del petrolio di 118 dollari al barile, praticamente il doppio dell’attuale. La situazione è dunque meno florida di quel che sembra e non a caso è il Sud Africa, e non la Nigeria, a rappresentare il continente africano nei BRICS. La locomotiva africana è lanciata a tutta velocità ma manca di un progetto a lungo termine. Il paese, ad esempio, esporta petrolio crudo in quantità ma la mancanza di raffinerie lo costringe a importare petrolio raffinato,con costi elevati. Dare alla Nigeria le necessarie infrastrutture per la raffinazione sarà un dovere del nuovo presidente, chiunque sia.

Le incognite del futuro

L’outlook per il 2015 è stato rivisto al ribasso di due punti percentuali da parte del FMI, assestandosi a un 4,8% che risente, anche, dell’instabilità interna dovuta alla minaccia di Boko Haram. Il paese era infatti riuscito a entrare nell’orbita delle grandi multinazionali americane, “attenzionato” dal Wall Street Journal nel 2014, ma rischia di perdere molta della sua appetibilità se non riesce a risolvere il problema del jihadismo. Perché se è vero che Boko Haram non potrà arrestare la crescita complessiva del paese, avendo il proprio raggio d’azione lontano dai centri economici del Sud del paese (nella regione di Lagos e nel Delta del Niger), è altrettanto vero che la sua presenza in aree già depresse non potrà che impoverirle ancora di più bloccando qualsiasi sviluppo e approfondendo il solco che già divide il Sud ricco dal Nord povero. I costi sociali ed economici per liberarsi da Boko Haram saranno elevati e anche se i jihadisti non potranno far deragliare la locomotiva nigeriana potrebbero riuscire a rallentarne la corsa.

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