24 marzo 1976: il golpe in Argentina

Un golpe sommesso e feroce. Quello argentino. È arrivato sottotraccia, meno eclatante di quello cileno, che si è fatto conoscere con il bombardamento del palazzo della Moneda apparso dagli schemi tv del mondo.

 di B.B.

 

Un golpe sommesso e feroce. Quello argentino. È arrivato sottotraccia, meno eclatante di quello cileno, che si è fatto conoscere con il bombardamento del palazzo della Moneda apparso dagli schemi tv del mondo. Una mattina come le altre quando fino al giorno prima il sogno del socialismo di Salvador Allende, unico stato in Sud America, riempiva gli occhi e i progetti della sinistra e degli idealisti del pianeta. In Argentina la debolezza di Isabelita Peron, seconda moglie di Juan Domingo Peron, è stata terreno fertile per la presa di potere dei militari che negli anni si erano preparati il terreno con le simil squadracce della morte italiane, un macabro modello che si ripropone, contro l’unica opposizione, i montoneros. E così il 24 marzo 1976 con agio e silenzio, tre generali prendono il potere, i capi di esercito Leopoldo Galtieri, marina Emilio Massera e aeronautica Orlando Ramon Agosti.

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A presiderla, è il generale Jorge Rafael Videla. In poche settimane viene realizzato il programma di governo, il cosiddetto Proceso de reorganización nacional, per creare una società “sicura”, con cardine la morale cristiana. Come viene messo a punto? Si scioglie il parlamento, i partiti, i sindacati e si sostituiscono i giudici della Corte suprema con capi militari. Insomma, puntale come sempre in ogni dittatura che si rispetti, avviene la sospensione dello stato di diritto e l’istituzione della pena di morte per i “reati contro lo Stato”, venduta come lotta contro il terrorismo. Peccato che terroristi erano diventati tutti coloro osassero esprimere un parere contrario: ogni critica era diventata attività sovversiva. Ma l’Argentina si distinse per una crudele peculiarità rispetto alle altre dittature, faceva scomparire le persone, non le arrestava e le teneva in carcere con accuse e processi burletta. No, troppo scomodo le faceva sparire così non c’era nemmeno la fatica di dover renderne conto ad alcuno. Alla fine della dittatura il bilancio è ignobile: circa 30 mila persone sparite, i cosiddetti “desaparecidos”, il neologismo che come disse Jorge Luis Borges, l’Argentina impose al mondo. Tra le decine di migliaia di vittime molte erano italiane. E così i parenti di alcune si sono costituiti parte civile contro i militari responsabili della loro scomparsa. E in Italia viene istruito il primo processo nel 1983, e riattivato nel 1989 contro il generale Suarez Mason, Santiago Omar Riveros (e altri) per omicidio plurimo aggravato contro contro i cittadini italiani in Argentina, che si è concluso con una sentenza di condanna il 6 dicembre 2000.

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(“Alle ore 16 «In nome del popolo italiano…» la II Corte d’Assiste di Roma condannava all’ergastolo due generali Suarez Mason e Santiago Omar Riveros per omicidio plurimo aggravato e a 24 anni diversi militari argentini, facendo propria la richiesta dal P.M. Francesco Caporale. Gentili, Giancarlo Maniga e Luigi Cogodi, avvocati di parte civile, Enrico Calamai, console italiano a Buenos Aires 1976-’77, Sandro Sessa, Presidente Lega per i Diritti dei Popoli di Milano, il giurista Salvatore Senese, Lita Boitano e Estela Carlotto, ci sono dei particolari – giuridici, politici, storici e umani – da prendere in considerazione”. I militari argentini devono rispondere dell’assassinio di Laura Carlotto, Roberto Morresi, Lucio Mazzocchi, Daniel Ciuffo, Martino Mastinu, Mario Marras e del sequestro del neonato Guido Carlotto e Alberto Fabbri).
Un grande risultato. Facciamone la storia. Cosa lo ha permesso avvocato Maniga?

L’articolo 8 del codice penale. Nel determinare la sfera di efficacia nello spazio della legge penale, l’ordinamento italiano ha adottato il principio che si suole definire di “territoralità temperata”. Vale a dire: ha adottato, come la maggior parte degli Stati moderni, il principio di territorialità, (art. 3 C.P.: la sfera di efficacia della legge penale è delimitata dal territorio dello Stato, obbligando tutti coloro che vi si trovino, cittadini e stranieri; art. 6 C.P.: i reati commessi nel territorio dello stato sono puniti secondo la legge italiana). Ma lo ha mitigato introducendo criteri di tutela penale dell’autorità statale e del cittadino italiano all’estero. Per cui, prevista dall’art. 7 C.P. la perseguibilità in Italia e secondo la legge italiana di particolari reati commessi all’estero, da cittadini o da stranieri, in quanto lesivi della sovranità statale, amministrativa e monetaria, ha pure previsto, in forza dell’art. 8 C.P., la perseguibilità in Italia di delitti politici commessi all’estero, anche da stranieri, a danno di cittadini italiani. I gravissimi fatti di cui si tratta si configurano, per lo più, come reati di omicidio aggravato e/o di sequestro di persona aggravato (lasciando, eufemisticamente, solo tale ultima configurazione delittuosa per la grande maggioranza dei casi, le sparizioni senza ritorno, pur dovendo essere ben certo che si è trattato, sempre, di efferati omicidi, per i quali il mancato ritrovamento dei cadaveri ha reso più atroce il dolore dei parenti sopravvissuti ma di più ardua configurazione il palese reato di omicidio).

E quindi si è potuto procedere….

La presenza fra le vittime di numerosi cittadini italiani, residenti in Argentina, rende applicabili le norme penali sopra citate, consentendo di perseguire in Italia quei fatti e di procedere contro i responsabili argentini.

Un’avventura non da poco. Come è iniziata?

Siamo stati incaricati dalla Lega Internazionale per i Diritti dei Popoli (dopo che molti fascicoli erano arrivati al Tribunale di Roma) di seguire alcune vicende perché bisognava fare giustizia negata in Argentina dove le leggi garantivano l’impunità ai responsabili di quegli omicidi. Il presidente Ricardo Alfonsin infatti dopo la dittatura aveva dichiarato la morte presunta degli scomparsi per poter procedere legalmente per gli eredi, per esempio. Ma nel frattempo erano iniziati alcuni processi contri i militari (tra gli altri, nel 1985 Massera condannato all’ergastolo), così Alfonsin, che si era incaricato della “riconciliazione” promulga due leggi Punto Final e Obedienza debida, dopo una serie di segnali minacciosi che arrivavano dall’esercito al suo governo. La Ley del Punto Final, che imponeva un termine di 60 giorni per aprire nuovi procedimenti penali, trascorsi i quali le passate violazioni non sarebbero più state perseguibili. Nonostante ciò i magistrati riescono a rinviare a giudizio quasi 400 militari… Non contento nel 1987 promulga la Ley de la Obediencia Debida (obbedienza dovuta), sulla base della quale chi aveva eseguito ordini superiori era ritenuto non responsabile, per aver operato in virtù di «obbedienza dovuta». In sostasnza si presumeva l’assuluzione anche per tutti coloro che avevano agito in quei frangenti eseguendo crimini efferati per esecuzione di un ordine. Questa legge permise che potessero rimanere tutti impuniti con la presunzione prevista dalla legge, non demandata alla verifica di un giudice.

Quali processi sono ancora in corso?

C’ è in corso quello per il Plan Condor. Nel 2011 è terminato anche quello contro i responsabile dell’Esma, l’Escuela di Mecanica dell’Armada (ESMA), un luogo detenzione e di tortura. Sono stati difesi tre cittadini di origine italiana e sono stati condannati all’ergastolo, tra gli altri, l’ammiraglio Emilio Massera  (morto prima della fine del processo, ndr) l’ex capitano di corvetta Alfredo Astiz e il “Tigre” Jorge Acosta, uno dei più efferati torturatori dei tempi della dittatura.

Dall’Argentina espatriarono in quegli anni il 10% dei suoi abitanti. Perché i desaparecidos?

Non si doveva far sapere nulla. Nulla di visibile come lo stadio di Santiago in Cile. Non erano necessari neppure interrogatori e processi burletta. Se la polizia non li aveva visti, il governo non capiva, la Chiesa non si pronunciava, le carceri non registravano la loro presenza, i magistrati e i tribunali non ne avevano traccia. Tutto più facile.

Che gravi “crimini” avrebbero commesso alcuni desparecidos?

Per esempio Martuno Mastinu, per cui siamo stati parte civile contro il generale Eduardo Suarez Mason, era un sindacalista che difendeva gli scaricatori al porto. Ma ancora più assurda è la cattura di Roberto Morresi, un giovane studente circa ventenne cui furono trovati in macchina dei giornali studenteschi con in copertina il titolo “Evita montonera”.

Un riscatto per l’Italia che durante la dittatura era stata furbescamente pavida. Gli interessi economici hanno prevalso sui diritti umani?

Sì l’Italia ha fatto finta di niente e anche la Chiesa. Ti racconto questa: l’Ambasciata italiana fu avvertita qualche giorno prima del golpe e la sua sola preoccupazione fu quella di munirsi di doppie porte elettroniche, del tipo oggi in uso all’ingresso delle banche; fu così impedita qualsiasi possibilità di rifugiarsi di corsa.

Ma c’è stato in quegli anni vero oblio rispetto alla dittatura argentina.

Si probabilmente dettato dai fruttusi legami economici tra i due Paesi. Alcune indagini dicono di intrecci di potere che facevano capo alla loggia P2 per cui si dichiara che la maggior parte della Giunta militare argentina fosse legata alla P2 di Licio Gelli, quando era al massimo del suo potere. E il generale Massera giocava a tennis col Monsignor Pio Laghi, Nunzio apostolico della Santa Sede in Argentina….

Questo processo ha portato un risultato storico che ha avuto ripercussioni anche in Argentina?

Ha contribuito a riaprire la discussione sulla necessità di giustizia. E molti processi ricominciarono. Il nuovo presidente Nestor Kirchner, decretò l’abrogazione retroattiva delle leggi sull’impunità, nel 2005, la Corte suprema avallò la decisione e nel 2007 dichiarò nulli gli indulti di Menem. I diritti umani sono diventati fondamentali per interpretare fenomeni politici, economici e sociali ed anche religiosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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