Ustica, l’eterno ritorno dell’uguale

L’avvocatura dello Stato nega l’evidenza e rispolvera la vecchia tesi (infondata) della bomba a bordo del DC-9 inabissatosi nel 1980

Sembra incredibile, ma non sono bastate decine di prove, perizie, testimonianze. Non sono bastati i nastri tagliati, bruciati, distrutti. Non è bastata l’evidenza della presenza di 21 aerei di varie nazionalità che si trovavano in cielo, nella zona di Ustica, la sera in cui quel maledetto DC-9 esplose in aria. E, soprattutto, non è bastata nemmeno la sentenza della Corte Suprema di Cassazione dell’ottobre 2013, che a termine di un lungo e tormentato iter giudiziario ha stabilito in sede civile che sì, l’aereo di Ustica è stato abbattuto da un missile e che sì, ufficiali e generali al servizio dello Stato hanno tentato di depistare le indagini e di occultare la verità sulla morte di 81 cittadini italiani.

A due anni da quella storica sentenza, ecco la notizia diffusa ieri dall’Ansa: l’avvocatura dello Stato ha chiesto alla Corte di appello civile di Palermo il rigetto per prescrizione o infondatezza delle domande di risarcimento che il tribunale aveva concesso in primo grado a 18 familiari delle vittime della tragedia aerea di Ustica.

Dopo che la Cassazione aveva riconosciuto la validità della tesi del missile, i ministeri della Difesa e dei Trasporti erano stati infatti condannati a risarcire i famigliari di alcune vittime per non aver saputo garantire la sicurezza dello spazio aereo nazionale. Con una mossa a sorpresa, però, ora l’avvocatura dello Stato torna a mettere in discussione quella verità tanto faticosamente raggiunta, rispolverando l’ipotesi che a far esplodere l’aereo sia stata invece una bomba collocata al suo interno.

Secondo l’avvocato dello Stato Maurilio Mango, la vicenda di Ustica è stata “macroscopicamente influenzata” dal progressivo formarsi e consolidarsi di un “ingiustificato immaginario collettivo” che ha individuato la causa del disastro nell’abbattimento dell’aeromobile da parte di un missile. Secondo Mango, sarebbero stati i media nazionali a imporre all’opinione pubblica ricostruzioni “fantasiose” su una battaglia aerea di cui mancherebbe invece evidenza.

“Per una decina di anni dall’incidente – scrive Mango – le commissioni di inchiesta brancolavano nel buio, vi era assoluta mancanza di elementi e sono così nate molteplici supposizioni”. Si tratta di un’affermazione falsa, come facilmente verificabile leggendo gli atti della prima commissione ministeriale d’inchiesta istituita nel 1980, che a soli sei mesi dal disastro era arrivata a escludere definitivamente le ipotesi di guasto tecnico e di collisione in volo con un altro oggetto volante. Era il dicembre 1980. Meno di due anni più tardi, analisi chimiche rilevarono tracce di esplosivo su alcuni resti dell’aereo.

La prima perizia sulle cause della tragedia è stata depositata nel marzo 1989, quando i periti giudiziari affermarono che il DC-9 era stato senza ombra di dubbio colpito da un missile aria-aria, come del resto testimoniava la presenza sul tracciato radar di Ciampino di un altro aereo nei pressi del DC-9, un aereo che secondo esperti americani aveva virato in manovra di attacco. Purtroppo, come noto, non fu possibile disporre di altri nastri radar che avrebbero potuto offrire maggiori informazioni: essi risultarono distrutti o stranamente lacunosi.

È vero che alcuni periti, nel 1990, si dissociarono dall’ipotesi del missile che essi stessi avevano sottoscritto l’anno precedente, per abbracciare invece l’ipotesi della bomba, e quindi dell’attentato terroristico (compiuto da chi, però? Su questo, in assenza di rivendicazioni, non è mai stata avanzata alcuna ipotesi). Va anche detto, però, che l’unica prova da essi presentata fu l’accertamento del fatto che all’epoca della strage i controlli all’aeroporto di Bologna erano insufficienti. E l’aereo che il radar mostrava in manovra di attacco? Secondo i periti dissidenti, si trattava di un errore del radar, come era stato loro garantito dalla società costruttrice del radar stesso (società che però viveva di commesse dell’Aeronautica militare).

Ma poi, questa fantomatica bomba, dove sarebbe esplosa? Nella toilette dell’aereo, dice una perizia del 1994, senza riuscire però a spiegare come mai la latrina del gabinetto è rimasta intatta, mentre il relitto dell’aereo (come tutti possono constatare visitando il Museo della Memoria di Ustica, a Bologna) è stato ridotto a pezzetti più piccoli di una mano.

La perizia è tuttavia autorevole, redatta da illustri esperti internazionali, come ripete da anni anche l’on. Giovanardi. Peccato che all’epoca in cui fu presentata (si parla di oltre un decennio fa), i magistrati la giudicarono affetta da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio” da renderla inutilizzabile.

Ma non è tutto. Quegli esperti, coordinati dal prof. Aurelio Misiti (che nel 2007 dichiarò in un’intervista a Repubblica riferendosi a Berlusconi: «Mi faccia ministro, anche sottosegretario può andare. Se non gli garba mi nomini delegato del governo. Ma prima si presenti con i soldi. Venti miliardi di euro e passo con lui»), quei periti, dunque, non furono fedeli al giuramento che li vincolava al segreto istruttorio, perché durante i loro accertamenti intrattennero stretti rapporti proprio con alcuni generali dell’Aeronautica militare imputati nel procedimento giudiziario. La storia è lunga e ricca di particolari tanto inquietanti quanto chiarificatori (per un resoconto, si legga l’articolo di Fabrizio Colarieti).

Sono questi, dunque, i signori che tuttora sostengono la tesi della bomba. La loro posizione appariva già circondata di una sospetta aurea di faziosità in anni in cui la mancanza di una verità giudiziaria imponeva, per lo meno, la presa in considerazione di entrambe le ipotesi con la stessa dignità e lo stesso beneficio del dubbio. Dopo la sentenza della Cassazione del 2013 , dove si legge che la tesi del missile è “abbondantemente e congruamente motivata” e “ormai consacrata nella giurisprudenza”, la posizione dell’avvocatura dello Stato pare l’eterno ritorno dell’uguale, anche quando ormai si è fuori tempo massimo.

Ricordiamoci, poi, delle telefonate registrate quella notte, tra gli operatori dei radar. Si parla di “Phantom”, di “traffico americano intenso”, di “portaerei”. Fantasie giornalistiche? No, sono prove acquisite dalla Procura della Repubblica di Roma.

 

L’audio originale di una telefonata intercorsa la sera della strage tra gli operatori radar di Roma Ciampino e Martinafranca

 

Pare ridondante, a poche settimane dal 35° anniversario della strage di Ustica, doverlo scrivere ancora una volta che quella del missile è una verità acquisita, conquistata, da cui non si può più tornare indietro. Ma la cronaca di questi giorni rende necessaria qualche puntualizzazione, se non addirittura una rinfrescata alla memoria. Ché quando ci si riferisce a fatti noti e lontani nel tempo, spesso la conoscenza storica lascia spazio alle polemiche strumentali, in un calderone di confusione e mistificazione che finisce per far credere al cittadino comune che chissà, magari è pure vero che è stata una bomba a causare quella strage, e che probabilmente no, la verità non la sapremo mai. Invece, manca solo l’ultima informazione: la nazionalità di quel missile. Manca, insomma, la targa di quell’aereo, e come noto la rosa dei sospettati è oramai molto ridotta. Ma grandi parti di verità sono acquisite, e non possono essere gli interessi privati di pochi a mettere in discussione quelle che ormai sono pagine scritte di storia italiana.

 

 

 

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