Messico, Chiapas: una storia di soldi, paramilitari, politica

La violenza come sistema di controllo e di potere

di Andrea Cegna
foto Pedro Anza/cuartoscuro 

Chalchihuitán è un municipio della zona Altos del Chiapas. Timidamente e per poco tempo in Messico si è parlato di quel lembo di terra perchè 5023 persone sono dovute scappare, e costruire un accampamento di fortuna sulla montagna.

Alcune sono morte di freddo. Venti anni dopo la mattanza di Acteal e l’inizio del fenomeno dei desplazados, l’orologio del Chiapas è tornato indietro.

Chalchihuitán è confinante con Chenalhó, il municipio da dove venivano i carnefici di Acteal.
E i paramilitari di ieri sono gli stessi oggi, mai disarmati e mai puniti, tutti tornati alla vita “sociale”.

Pedro Anza/cuartoscuro

Lo scontro tra Chalchihuitán e Chenalhó è vecchio, ed ha inizio negli anni ’70. Lo scontro è per un pezzo di terra. Diversi documenti firmati da Presidenti della Repubblica messicani assegnano, dalla metà degli anni ’80, quella terra a Chalchihuitán.

Le tensioni sono tornate forti nell’ultimo anno e ad inizio novembre i colpi d’arma da fuoco di paramilitari di Chenalhó portano la morte di un abitante del vicino municipio.

Tensioni accresciute dal tribunale Unitario Agrario della Zona (organo alla dipendenza dello stato del Chiapas) che, a differenza del documento presidenziale, ha riconosciuto, il 14 dicembre, che il terreno è di Chenalhó. Come 20 anni fa i paramilitari sono al soldo della politica, ad attivarli è la sindaca di Chenalhó Rosa Perez Perez, del partito Verde.

Lo stesso del presidente dello stato del Chiapas, Manuel Velasco. A Chalchihuitán governa il PRI, il partito stato.

A denunciare la crisi umanitaria e supportare i desplazados sono alcuni preti e la società civile di San Cristóbal de Las Casas. I partiti, anche di opposizione, inesistenti.

I campi in Chiapas sono un nodo. Le comunità rurali crescono velocemente, e l’accesso alla terra diventa materia di scontro. All’origine dell’escalation di violenza c’è sicuramente questo, come c’è lo scontro tra Pri e Verde nel Chiapas, anche se poi a livello nazionale i due partiti sono alleati nell’appoggio di un candidato presidente.

Ma chiacchierando con chi vive quel lembo di terra il problema sembra essere altro, l’arrivo degli Zetas.

Gli Zetas sono semplicisticamente inseriti nell’elenco dei presunti cartelli. Sarebbe meglio definirli trafficanti di droga e paramilitari.

Senza mai rilasciare una dichiarazione ufficiale in molti dicono “alla corte di Rosa Perez Perez sono arrivati gli Zetas, hanno armato alcuni abitanti di Chenalhó e adesso hanno armi di ultima generazione”.

E quando si chiede perché la risposta è comune “perché così possono coltivare marijuana ed eroina, ma coltivarla in un territorio conteso, così che non si possano trovare responsabilità dirette”. La paura è tanta. “Sono criminali incalliti, quelli uccido come hanno già fatto, per questo non posso rilasciarti un’intervista”.

Pedro Anza/cuartoscuro

Oltre 3000 persone hanno deciso di tornare nelle loro case ed in quei territori.

Mentre vivono lì dicono di aver paura, e di non poter andare nei campi a lavorare. Una situazione limite, derubrica dal governatore del Chiapas a “crisi umanitaria terminata”.

Questa brutta storia di cronaca ci racconta un lato del Messico che non si vuole vedere: certamente i trafficanti di droga esistono, così come diversi gruppi criminali, ma non sono tanto i gruppi a contendersi i territori quanto una parte dei poteri che li governano che si servono dei loro servigi.