Timor Est, una terra contesa

[note color=”000000″]

Il blog racconterà di Timor Est, il più giovane stato asiatico, che occupa la parte orientale di un isolotto nel Pacifico, a ridosso dell’equatore, a pochi passi dall’Australia. Si parlerà dei suoi abitanti, poveri, allegri, pigri, delle loro abitudini, della loro vita, e delle loro storie. Il blog è una relazione d’amore con quest’isola incantata, tutta da scoprire, che sta lottando per crearsi una sua identità e un suo luogo dopo secoli di controllo coloniale, terminato solo una decina d’anni fa. [/note]

[author] [author_image timthumb=’on’]https://www.qcodemag.it/wp-content/uploads/2013/12/Il-volto-di-Fabrizio-1.jpg[/author_image] [author_info] Fabrizio Fontana. 35 anni. Ama ascoltare. Da qualche tempo vive a Dili, in Timor Leste, dove trascorre le sue giornate insegnando, studiando la lingua e la cultura dell’isola, passeggiando e oziando. È interessato alla permacultura, alla salvaguardia ambientale, alla natura, ma soprattutto a trovare un modo di vivere che sia in sintonia con il benessere dell’essere umano. Pensa che ogni situazione sia una storia da raccontare. In questo periodo scrive di Timor Leste, ma per caso, perché ora vive lì. [/author_info] [/author]

18 dicembre 2013 – Di Timor Est si conosce il nome, come spesso accade con i luoghi dove occorrono gravi tragedie, che per alcuni giorni li rendono protagonisti delle cronache nei telegiornali e giornali. Dili è la capitale, una cittadina umile, povera, bruciata dal sole. Ci sono arrivato in aereo, da Bali, che è la forma più consueta per entrare a Timor. L’aeroporto è piccolo, un capannone basso tra la polvere. I cartelli sono in portoghese e un foglio appeso al muro informa che i cittadini lusitani possono entrare senza visto.

Timor è stata una colonia portoghese per vari secoli, ha raggiunto l’indipendenza per pochi giorni una quarantina d’anni fa e subito è stata occupata dalla vicina Indonesia, con il beneplacito e le armi degli Stati Uniti, come d’abitudine durante i bui anni della guerra fredda, sotto la guida di Kissinger. L’occupazione indonesiana è stata breve ma cruenta e ha lasciato un paese devastato e ingombro di cadaveri. Tutti a Timor hanno familiari o amici uccisi durante quel periodo.

Ora, per staccarsi dall’influenza indonesiana e crearsi una sorta di identità, il paese cerca di rifarsi al passato portoghese. Le due lingue ufficiali sono portoghese e tetum, seppure il primo non lo parli praticamente nessuno. Si sta cercando di risolvere questa incongruenza; nelle scuole le materie si insegnano in portoghese, i libri sono tutti in questa lingua, anche se quasi sempre neppure gli insegnanti sono in grado di parlarlo. Portogallo e Brasile stanno lavorando per formare una nuova classe di parlanti portoghese tramite borse di studio e scambi internazionali verso Brasile e Portogallo e invio di insegnanti, ma finora i risultati sono scarsi.

P1080393

Non solo la lingua ma anche la valuta è d’importazione. A Timor si utilizzano i dollari. Sono banconote tutte stralciate, logore, spesso quasi illeggibili. Normalmente la gente non usa portafogli, non ce n’è bisogno perché le banconote sono poche e vengono appallottolate nelle tasche. Le monete invece sono timoresi, le chiamano centavos e hanno lo stesso valore dei dollari.

Nonostante la povertà generalizzata, i prezzi sono alti, e Dili è tra le città più care nel sud est asiatico. Questo in parte è dovuto all’assenza di un’economia propria. Cibo, medicine, beni industriali, tutto arriva dall’estero e trattandosi di un’isola sperduta nell’oceano Pacifico, il percorso è lungo. In parte è dovuto alla presenza ingombrante di decine di organizzazioni internazionali, ONG, ONU, militari che hanno portato numerosi lavoratori appartenenti al ricco mondo occidentale, che con la loro capacità d’acquisto hanno contribuito alla crescita dei prezzi, almeno nella capitale.

A pochi passi dal centro

In questo momento Timor Est è attratto nel vortice dello sviluppo economico basato quasi esclusivamente sul petrolio e sugli aiuti internazionali, che crea un’illusione di benessere e fomenta l’aumento di automobili, inquinamento e diseguaglianza sociale. La scommessa è vedere come questa popolazione ottimista, ingenua e allegra riuscirà a gestire il confronto con la società globalizzata e le sue rapaci esigenze.



Lascia un commento