La geopoetica di Sheikh Jarrah

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20 Gennaio 2022

Demolita la casa della famiglia Salhiya

Esistono geografie dei margini, che definiscono spazi liquidi; insignificanti per molti, determinanti per qualcuno. Sheikh Jarrah, sulla strada per il Monte Scopus, due chilomentri a nord della Città Vecchia a Gerusalemme, è una di queste.

Le abitano persone, prima di tutto, e le loro storie. Per certi versi solo quelle che qualcuno racconterà, se non si impara a raccontarle da soli. Per risultare interessanti, però, pur personali, devono essere capaci di parlare al mondo intero.

La storia della famiglia Salhiya, e quella della loro casa, è una di queste, solo che potrete solo immaginarla, perché il 19 gennaio quella casa è stata distrutta dai bulldozer.

La polizia israeliana si è recata a casa della famiglia Salhiya, all’alba, è ha posto fine alla vita e alla storia di quella casa minacciata di distruzione dal 2017, che grazie a quella famiglia minacciata di sfratto da anni, oggetto di una campagna di sostegno nei Territori palestinesi e all’estero, e ne ha evacuato i membri, secondo un video diffuso dalla stessa polizia d’Israele.

“Durante la notte, la polizia ha attuato l’ordine di sgomberare gli edifici illegali su un terreno destinato a una scuola per bambini che necessitano di cure speciali a Gerusalemme Est”, riporta la polizia in una nota, aggiungendo che la famiglia Salhiya aveva “più volte rifiutato il consenso a restituisci questa terra”.

Le storie si nutrono di parole e, leggendo, si può immaginare che quella casa fosse occupata illegalmente, ma non si racconta che quella famiglia abitava quella casa in modo illegale solo per una decisione di una parte.

Secondo la legge israeliana, infatti, se gli ebrei possono provare che la loro famiglia viveva a Gerusalemme Est prima della guerra del 1948 e della creazione dello Stato d’Israele – quando la parte orientale della città venne assegnata agli arabi – possono chiedere il ripristino dei loro “diritti di proprietà”. Tuttavia una legge omologa non esiste a compensazione per i palestinesi che hanno perso le loro proprietà nella parte occidentale della città. E le famiglie palestinesi affermano di aver acquistato legalmente le loro proprietà dalle autorità giordane, che controllarono Gerusalemme est dal 1948 al 1967.

Quindi la famiglia Salhiya non occupava abusivamente, come fanno ogni giorno decine di migliaia di coloni in tutti i territori palestinesi occupati, case che non gli appartengono, ma sono vittime della giustizia di una parte sola. E pensate a quale meccanismo neo – coloniale sia per i palestinesi quello di poter sperare di ottenere giustizia solo ricorrendo alla Corte Suprema israeliana, cioè a un organo dell’occupante.

Video di Le Nouvel Observateur

Ma chi è la famiglia Salhiya? Mohammed Salahiya, per esempio, è uno che nella convivenza pacifica ci ha creduto così tanto da sposare Lital, ebrea israeliana. Una di quelle storie che all’informazione mainstream piacciono tantissimo, perché sono quell’idea di ‘pacificazione’ che – non si capisce bene perché – deve normalizzare l’occupazione.

Nessuno, però, la racconta se il tema è quello di uno dei tanti atti che legalizzano l’occupazione e l’esproprio delle terre. Perché rovina la narrazione. Quella casa l’aveva costruita il padre di Mohammed, prima del 1967, quando gli israeliani hanno occupato militarmente la zona orientale di Gerusalemme. Su un terreno che aveva regolarmente acquistato dal governo giordano, che per le Nazioni Unite aveva la sovranità territoriale su Gerusalemme Est.

Mohammed, Lital e la loro famiglia allargata, di quindici persone, sono in mezzo a una strada. Diciotto tra coloro che hanno tentato di difenderli sono stati arrestati. Sono ventotto le famiglie, come gli Salhiya, interessati da questo tipo di procedimenti di sgombero a Sheikh Jarrah, che resiste da anni, e che nella primavera scorsa aveva di nuovo incendiato le relazioni nella Palestina occupata con gli israeliani.

Circa 210mila israeliani vivono a Gerusalemme Est in insediamenti illegali secondo il diritto internazionale. Israele considera l’intera città di Gerusalemme come sua capitale, come dichiarato unilateralmente dal suo parlamento, mentre i palestinesi vogliono fare di Gerusalemme Est la capitale dello stato a cui aspirano.

Ormai sempre meno le loro storie vengono raccontate, sempre di più le raccontano da soli. Il colonialismo, e l’occupazione, si nutre anche della riscrittura del passato e della capacità di ridisegnare i luoghi secondo una visione che mira a cancellare l’altro. I palestinesi tentano di resistere, e non smetteranno di farlo, anche solo per tenere vivo il loro diritto alla memoria. Anche solo per ricordare a tutti che là, un tempo, c’era la casa della famiglia Salhiya.