America Latina: la rabbia degli esclusi

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8 Novembre 2019

Le politiche neoliberiste applicate in Cile sin dal periodo della dittatura del generale Pinochet, continuate senza modifiche sostanziali sino ad oggi,  hanno provocato un accumulo di frustrazione nella popolazione che é esplosa in una rabbia incontrollata che sta mettendo letteralmente a ferro e fuoco l’intero paese. Ma il problema non è solo cileno. Riguarda quasi tutti gli Stati  latino americani, caratterizzati da forti disuguaglianze, ingiustizia e corruzione.

In Cile la scintilla che ha acceso le polveri della rivolta é stato l’aumento del costo del biglietto della Metropolitana di Santiago decretato dal governo neoliberista del presidente Piñera che, oltre ad essere il presidente della Repubblica, é anche uno degli uomini più ricchi del paese con un capitale personale stimato di oltre due miliardi e mezzo di dollari.

L’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana era di appena 30 pesos (meno di  5 centesimi di Euro), ma sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sufficienti a fare esplodere una rabbia repressa da troppi anni nei confronti di un sistema che ha escluso la maggioranza della popolazione favorendo l’accumulazione della ricchezza solo per pochi. Dalle proteste per il biglietto della metro, le decine di migliaia di persone scese in piazza in tutto il paese hanno chiesto da subito molto di più.

Hanno chiesto che dopo oltre 40 anni di abusi si cambiasse finalmente il sistema neoliberista implementato sin dalla metà degli anni ’70 dalla dittatura e continuato senza modifiche sostanziali sino ad oggi. Un sistema politico economico che ha sfruttato la maggioranza della popolazione per dare benefici a pochi. Un sistema di governo che ha portato il Cile ad essere uno dei paesi caratterizzati dalle maggiori disuguaglianze al mondo.

Un paese dove, secondo studi recenti della Commissione Economica per l’America Latina CEPAL, l’1% della popolazione più benestante possiede il 26,5% della ricchezza; mentre il 50% degli abitanti più poveri dispongono appena del 2,1% delle risorse.

Non solo il Cile: la rabbia della popolazione latino americana é generalizzata

In realtà, pur essendo il Cile un caso emblematico per essere stato il primo ad applicare il modello politico economico neoliberista che ha condotto alle distorsioni che analizzeremo in dettaglio più avanti, sono molti – quasi tutti – i paesi latino americani che soffrono in maggiore o minore misura gli stessi problemi. L´America latina è infatti la regione con i maggiori indici di disuguaglianza al mondo. Ben 8 dei 10 paesi più disuguali del pianeta sono latino americani. Secondo dati della ONG Oxfam il 10% della popolazione più benestante della regione possiede il 71% della ricchezza, mentre il 70% più  povero dispone di appena il 10% delle risorse. In pratica il mondo al contrario…

L’estrema concentrazione della ricchezza va di pari passo con l’estrema concentrazione del potere, il cui esercizio é posto al servizio delle élite dominanti piuttosto che della popolazione in generale. Questa situazione crea forti squilibri rispetto all’effettivo esercizio dei diritti da parte dei cittadini, che quindi diffidano fortemente delle istituzioni che dovrebbero difenderli perché ai loro occhi – con ragione – tali istituzioni appaiono difendere non il popolo nel suo complesso, ma i privilegi di una minoranza dominante.

È così che questa dinamica, già di per se elemento di tensione, ha avuto bisogno solo della miccia costituita dalla criticità dell’attuale ciclo economico latino americano, con un PIL regionale in crescita di appena lo 0,2% – cioè nulla – per fare esplodere la rabbia di coloro che si sentono esclusi da un sistema ingiusto che, nella maggior parte dei paesi latino americani, beneficia solo una minoranza.

La situazione ad Haiti, in Colombia, Brasile, Argentina, Ecuador

Anche se poco diffusa dai mezzi di comunicazione, la rivolta ha preso quindi fuoco ad Haiti, il paese più povero dell’America latina e il secondo al mondo per livelli di disuguaglianze secondo la Banca Mondiale, dove sin dallo scorso mese di febbraio sono in corso forti manifestazioni contro la corruzione del governo di destra neoliberista e l’aumento del costo della vita. Proteste che continuano sino ad oggi e che purtroppo hanno già provocato 78 morti .

La rabbia si è espressa anche in Colombia, il quarto paese al mondo per indice di maggiori disuguaglianze dove, sin dall’inizio dell’anno, ci sono state per settimane manifestazioni con blocchi stradali contro il governo neo liberista di Ivan Duque da parte delle associazioni indigene che protestavano per i continui omicidi di leaders sociali e attivisti in difesa dell’ambiente, che durante il 2018 hanno provocato in Colombia 155 morti secondo dati della Ong Somos Defensores. Oltre agli indigeni in Colombia protestano da mesi anche gli studenti liceali e universitari per chiedere l’aumento dei fondi pubblici destinati all’istruzione, promessi dal Governo e mai effettivamente abilitati.

Anche in Brasile, il quinto paese al mondo con maggiori disuguaglianze, negli ultimi mesi ci sono state manifestazioni  di massa contro le misure di taglio ai fondi destinati all’istruzione, alla salute e alle pensioni promosse dal governo di estrema destra caratterizzato dalla più ortodossa disciplina neoliberista del presidente Jair Bolsonaro. Un presidente eletto con l’appoggio della oligarchia economico finanziaria e dei gruppi ultra conservatori brasiliani, dopo che grazie a un discusso procedimento giudiziario veniva incarcerato il candidato della sinistra, sino a quel momento favorito, Luis Ignacio Lula da Silva.

E ancora in Argentina dove, dopo quattro anni di governo neoliberista del presidente Macri, il paese appare stremato da una inflazione al 60%, la terza più alta del mondo; una incidenza della povertà che colpisce il 35% della popolazione; il pesos argentino che ha perso cinque volte il suo valore in pochi anni; un crescita economica del – 3,1% del PIL prevista per il 2019, disoccupazione al 10% e un debito esterno colossale, con oltre 57 miliardi di dollari da ripagare al Fondo Monetario Internazionale.

Ed anche in Ecuador, dove proprio contro le misure stabilite dal governo del presidente Lenin Moreno per fare fronte al prestito di 10 miliardi di dollari finanziati dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, poche settimane prima della cilena si era rivoltata in massa la popolazione. Moreno, un presidente eletto da una coalizione di sinistra che ha poi da subito tradito per governare con la destra imprenditoriale del paese, ha inizialmente usato la mano dura lasciando sul terreno 7 morti e centinaia di feriti, alcuni molto gravi.

Per le dimensioni raggiunte dalla protesta, guidata dalle organizzazioni indigene, Moreno ha poi dovuto retrocedere e negoziare dichiarando che ritirava l’insieme delle misure. Solo così si è placata, almeno momentaneamente, la rabbia della popolazione dell’Ecuador. Un paese caratterizzato da ingiustizia e iniquità, dove il 20% della popolazione più benestante possiede il 54% della ricchezza e 90% delle terre produttive, mentre il 20% più povero – composto fondamentalmente da popolazione indigena – dispone di appena il 4% della ricchezza e 9% delle terre.

 

La situazione emblematica del Cile: le ragioni dell´esplosione della rabbia
Per capire meglio le ragioni del malessere della popolazione latino americana dopo decenni di applicazione di sistemi di governo neoliberista, diventa emblematico analizzare la situazione proprio del Cile, il primo dei paesi della regione ad aver applicato il modello a metà degli anni ’70 durante la dittatura del generale Pinochet.

Con i suoi poco più di 18 milioni di abitanti il Cile dispone di un PIL pro capite di 24mila dollari, simile per intenderci a quello del Portogallo.
Il problema non é quindi la ricchezza prodotta nel paese, ma dove si concentra e se – oltre che come – la stessa viene (ri)distribuita.

In pratica si tratta della questione già trattata dal famoso pollo di Trilussa: “…secondo le statistiche d’adesso risulta che te tocca un pollo all’anno: e se nun entra nelle spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso …. perch’é c’è un antro che ne magna due”. In Cile é successo che qualcuno si mangiasse molto piú dei due polli di Trilussa. Lasciando il resto praticamente a digiuno.

Alcuni dati emblematici spiegano bene la situazione, il perché della protesta e della conseguente diffusa richiesta della popolazione cilena di realizzare un cambiamento radicale del sistema.

A fronte infatti di una media statistica che evidenzia come abbiamo indicato un PIL pro capite di 24mila dollari succede che nella realtà il 50% dei lavoratori cileni guadagnino meno di US$ 560 e, il 70%, meno di US$ 770 al mese.

Cioè che il reddito monetario della maggioranza assoluta della popolazione non sarebbero i famosi 24mila dollari, ma – Trilussa docet – un terzo o meno di tale importo.

Con questi livelli di reddito, in Cile il cittadino deve poi pagare praticamente tutto, perché i servizi essenziali – istruzione, salute, acqua, luce, trasporti, pensioni, ecc. – sin dall’epoca della dittatura di Pinochet sono stati privatizzati. Lasciati in balia del “libero mercato”. Che tanto libero in realtà non è, perché in mano a gruppi economici dominanti che fanno capo a poche famiglie. Tra le quali proprio quella del Presidente Piñera.

Prendiamo ad esempio il costo dei trasporti, il cui ultimo pur minimo aumento é stata la miccia che ha acceso le recenti proteste.  In Cile i trasporti sono tra i più cari al mondo ed evidenziano in maniera chiara le contraddizioni del sistema neoliberista. L´Università Diego Portales ha calcolato infatti che per una famiglia cilena con un reddito basso i trasporti possono arrivare ad incidere sino al 30% della disponibilità economica mentre, per il segmento più benestante, l’incidenza risulta essere di appena il 2%.

Una situazione simile si evidenzia con l’assistenza sanitaria. In Cile é stata privatizzata attraverso il sistema delle Isapres, che ha come interfaccia un sistema pubblico che non risponde alle esigenze minime richieste dalla maggioranza della popolazione, che finisce quindi per pagare, spesso indebitandosi, i servizi essenziali.

Oppure il sistema di istruzione secondaria e soprattutto universitaria. Un corso di laurea costa in media oltre 20 mila Euro, condizione che rende il Cile a parità di potere d’acquisto il paese con le tasse universitarie più alte di tutti i paesi membri OCSE. Per le famiglie che non possono pagare di tasca propria, l’accesso agli studi universitari in Cile si basa sul credito offerto dal sistema bancario con garanzia statale agli studenti che applica tassi di interesse del 6% annuale. Una condizione che obbliga i giovani, che una volta terminata l´Università accedono a impieghi spesso mal retribuiti, a ripagare il debito contratto per studiare durante un tempo che in molti casi supera i 20 anni.

Non va meglio a chi termina la vita lavorativa. In Cile infatti sin dal 1980 è stato privatizzato anche il sistema pensionistico attraverso la creazione delle AFP (Administradoras de Fondos de Pensiones) gestite da potenti istituzioni finanziarie, dove ciascuno durante la vita lavorativa versa a un fondo personale per poi ricevere una pensione. A causa delle basse retribuzioni e spesso della precarietà dell’impiego, sommato a una gestione non equa del sistema, risulta che l´80% dei pensionati cileni ricevano dalle AFP importi più bassi della retribuzione minima vitale.

E ancora l’acqua, che in Cile é stata privatizzata sin dal 1981 o la corrente elettrica, tra le più care della regione. O il costo degli immobili il cui prezzo, secondo uno studio dell’Università Cattolica, è aumentato del 150% negli ultimi 10 anni a fronte di un aumento di appena il 25% delle retribuzioni.

È cosi che per fare fronte alle esigenze la maggior parte delle famiglie cilene sono obbligate a indebitarsi. Sino ad arrivare ad essere le più altamente indebitate dell’America latina, raggiungendo secondo dati della stessa Banca Centrale l’astronomico livello del 73% del reddito.

Livello che a sua volta genera un alto livello di morosità, che in Cile supera i 4 milioni  di persone, delle quali ben 3 milioni sono giovani con meno di 30 anni, che hanno iniziato ad indebitarsi sin da quando erano appena adolescenti per pagare gli studi universitari.

Si tratta di una situazione infernale. Non sorprende quindi che, dopo essere stata a lungo repressa, la rabbia del popolo cileno sia sfociata nelle proteste con tutti stiamo seguendo. Dopo un primo momento di forte repressione, con tanto di dichiarazione dello stato di emergenza e coprifuoco, con i militari per le strade che ricordavano il periodo nero della dittatura, il governo Piñera ha mostrato poi “comprensione” verso la popolazione e una apparente volontà di correggere la situazione.

Ma questo non è stato sufficiente a placare la rabbia. Le manifestazioni continuano ancora oggi chiedendo che il proprio Piñera rinunci. La popolazione, in Cile come nel resto dei paesi latino americani, non crede infatti che coloro che rappresentano il gruppo di potere economico, prima ancora che politico, che da tanti anni perpetua il sistema abbia realmente la volontà – e sia in condizione di assicurare l’intensità – del cambiamento richiesto.

La rabbia di coloro che per tanto tempo si sono sentiti esclusi non sarà placata sino a quando non apparirà chiaro che le élite dominanti si siano fatte abbastanza da parte. Per lasciare anche alla maggioranza della popolazione che non lo ha mai ricevuto, la possibilità di assaporare almeno una parte del famoso pollo di Trilussa.